La Repubblica 15 novembre 2014. La direttrice spiega perché non rinnoverà il contratto: “Su punti come ricerca, conservazione e divulgazione non può esserci compartecipazione di pubblico e privato”.
Cristiana Collu CRISTIANA Collu lascia il Mart di Rovereto. Il 31 gennaio scade il suo contratto da direttore. Anche se dovessero decidere di rinnovarglielo, lei non resterà. Non ci sono più le condizioni. “Le cose finiscono“, dice. In tre anni ha ereditato la macchina modello del museo d’arte contemporanea al tempo della crisi. Ha riallestito la collezione con il progetto della Magnifica ossessione e visto la progressiva riduzione del contributo della Provincia autonoma di Trento. Ha messo Antonello da Messina a confronto con gli artisti di oggi e vissuto l’avvicendamento di due presidenti: da Franco Bernabè a Ilaria Vescovi, in carica dallo scorso aprile.
Non ci sono più le condizioni per restare?
“Un ciclo si è concluso. Il mio contratto era di durata triennale. E non è mai stato messo in discussione. Se la questione doveva porsi, andava fatto subito dal nuovo cda. C’era bisogno di rilanciare e di comunicare una certa visione del museo. Sarà la stessa degli anni precedenti? Di cosa si occuperà il Mart? Invece prevale una sorta di indefinitezza, probabilmente dettata dalla crisi generale che investe le istituzioni culturali oggi. Ma questa indefinitezza diventa poco interessante per un professionista”.
Mancano delle linee guida chiare in questo momento?
“La presidenza ha dato una risposta a un cambiamento in atto in Trentino. In una provincia finora virtuosa, il Mart è stato esposto a una maggiore ricerca di fondi esterni: un fundraising più importante, rimandato per anni, ma che ora si è reso necessario”.
L’idea di puntare sul fundraising e su investimenti privati riduce la possibilità per un museo di fare ricerca e mantenere una qualità di offerta alta?
“Per me no. Il Mart può essere il primo museo a puntare sulla conciliazione di questi due aspetti che sembrano inconciliabili in qualsiasi museo pubblico. Manca ancora un contorno preciso. Ma ormai guardo questa cosa da lontano. Resta da dire che su alcuni punti il matrimonio tra pubblico e privato è impossibile. La gestione di un’istituzione culturale ha ambiti che non devono prevedere compartecipazioni”.
Quali sono questi ambiti?
“Il core business del museo, la sua l’identità vera e propria. Quello che il museo deve fare: la ricerca, la conservazione, la divulgazione, le sfide che lancia, il rischio che si prende nel momento in cui decide di interpretare la realtà attraverso l’unica modalità che ha. Con le immagini, le opere d’arte. Prima bisogna avere chiare queste premesse. Trovare dei fondi privati viene in un secondo momento. Al Mart questo non si è capito, ma forse non l’ho capito io”.
Quando ha ereditato da Gabriella Belli la direzione del Mart, diceva “la crisi può essere un’occasione”
“Basta. Non se ne può più di queste definizioni. La mia nuova definizione di crisi è “le cose stanno così”. La crisi è finita. La crisi è un punto di rottura. Dopo, segue un processo di adattamento. Le opportunità sono altrove adesso, non nella crisi. Dobbiamo immaginarci come se fossimo il passato del futuro. Altrimenti il futuro ci sfugge”.
Il curatore David Thorp, che lei ama citare, ha detto: “un’istituzione artistica del XXI secolo deve essere splendida quando è ricca, eroica quando non ha denaro”. Questo eroismo a Rovereto c’è o non c’è?
“Se sei povero e hai due figli, non puoi non mandarli entrambi all’università. Bisogna diventare eroi e riuscirci. L’estetica della recessione porta a essere molto protettivi e a una produzione culturale che perde aderenza. Si cerca un prodotto che garantisca i numeri, gli introiti. Come se fossero gli unici indicatori”.
La preoccupa il futuro del museo?
“No: il Mart è un’istituzione solida e spero possa contare ancora sulle persone che l’hanno voluta per tutto questo tempo. Se lo merita”.
La rivista online Artribune ha scritto che il suo progetto per il Padiglione Italia della Biennale è stato scartato per avere sforato il budget richiesto dal ministero
“Ho rispettato l’unica indicazione data: 400mila euro. Tutti i progetti possono essere ridimensionati o costare di più”.
Il progetto vedrà la luce da un’altra parte?
“Era pensato per Venezia, ma il tema, che non mi va di raccontare, mi sta molto a cuore e non è detto che non possa essere declinato in un altro modo”.
Ci sono nuovi incarichi all’orizzonte? A Roma, magari?
“Per adesso non ho un posto dove andare. Dovrei muovermi da dove mi trovo solo perché mi si offre qualcos’altro? In questo caso non è così. Ovviamente mi auguro di non rimanere un solo giorno senza lavorare”.
Come deve essere un direttore del Mart, ora che lo sa?
“Deve portare la propria visione e agire in modo non condizionato. Altrimenti non è un ruolo che ha molto significato”.
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