Periferie urbane, violenza e cattiva politica [di Antonietta Mazzette]
La violenza che si sta diffondendo nelle periferie urbane, a partire da Milano e Roma, ha cause e protagonisti sociali diversi, ma è l’esito sia di una disattenzione della politica italiana degli ultimi quarant’anni verso le condizioni di vita dei cittadini, sia di scelte orientate verso strategie di marketing volte a rendere le città competitive in termini di attrazione e di consumo. Strategie che hanno riguardato le parti delle città più appetibili sul mercato, a partire da quelle pregiate sotto il profilo storico-architettonico. Le politiche di marketing per loro natura sono indifferenti alle condizioni di vita delle persone (e perciò al loro disagio). In quest’ottica le periferie, soprattutto quelle per così dire di nuova generazione, hanno subito i cambiamenti delle funzioni produttive urbane ma senza godere dei benefici derivanti dalle politiche di rigenerazione. E se le aree attraenti dal punto di vista economico sono entrate in un processo di riconversione perché oggetto di interesse pubblico e privato, quelle che non avevano le qualità urbanistiche, spesso sorte illegalmente, sono diventate sempre più terra di nessuno. O meglio, sono diventate luoghi conflittuali dove è inevitabile, in assenza di governo, che prevalga la logica del più forte nell’esercizio del controllo del territorio. La violenza connessa alle condizioni sociali difficili, immediatamente richiama il problema della sicurezza urbana e riconduce alla Tolleranza Zero dell’allora sindaco Giuliani, applicata pedissequamente anche nelle nostre città. Ma se in America del Nord ha portato come conseguenza, non tanto quella di intervenire sulle cause della violenza e del degrado, quanto alla diffusione di esplicite forme di privatizzazione, per cui i residenti proprietari della loro abitazione pagano le tasse ai privati in cambio di pulizia, allontanamento delle persone sgradevoli, controllo e sicurezza. In Italia siamo ben lontani da questi fenomeni di privatizzazione, sia come cultura che come pratica politica, ciò non toglie però che l’aver ignorato le condizioni materiali dei cittadini abbia portato un numero crescente di persone ad essere più esposte al degrado e alla violenza, oltre che al controllo del territorio da parte della criminalità organizzata. In altre parole, il non aver governato i processi di espansione e di inurbamento di nuove popolazioni, ha portato ad accentuare quei fenomeni di città duale, così come sono stati descritti da Manuel Castells – il quale però si riferiva soprattutto alle megalopoli dei Paesi in rapido sviluppo e non alle città dei Paesi a sviluppo avanzato come l’Italia -, e che più recentemente ha portato Bernardo Secchi nei suoi ultimi sforzi intellettuali a dedicare attenzione alla città dei ricchi e a quella dei poveri. Uno degli effetti di questa assenza di governo, o se si vuole, di cattiva politica, è stato che gli interessi comuni che costituivano la base del legame sociale di una comunità urbana sono stati smantellati, in campo è rimasta in forma esasperata la necessità di difendere gli interessi individuali: l’esasperazione è tanto più grande quanto più si è fragili e marginali. Tutto ciò è accaduto anche perché si è abbandonato lo strumento della pianificazione (che significa visione del futuro e regole condivise), mentre sono state adottate pratiche politiche suscettibili di modifiche a seconda degli interessi particolari in campo (si pensi alla corruzione) e dell’appeal mediatico. È questo il disastro urbano che abbiamo oggi di fronte, e i segni di violenza – sia che si tratti di occupazione abusiva e di espulsione violenta degli abitanti regolari dalle case ALER di Milano, sia che si tratti di assalto al centro di accoglienza di Tor Sapienza a Roma – sono i manifesti avvisi di un degrado umano e sociale diffuso, grazie per l’appunto a decenni di cattiva politica e di sguardi rivolti altrove. Che fare? Certamente bisogna riportare alla legalità le parti della città coinvolte nei fatti di violenza, ma ciò non può avvenire senza interventi pubblici volti a risanare le periferie, partendo dai bisogni primari delle persone (casa, lavoro e istruzione) e interloquendo con loro. |