Il muro della Germania [di Raffaele Deidda]

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Il 9 novembre scorso si sono svolte le celebrazioni dei 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino, iniziate in Germania con uno squillo di tromba evocativo del crollo delle mura di Gerico. La cancelliera Angela Merkel, cresciuta nella Germania Est, ha poi posato una rosa in uno dei pochi tratti di muro ancora esistente. Quel muro, che impediva ai cittadini della Germania orientale di raggiungere la parte occidentale, si chiamava Antifaschistischer Schutzwall (Barriera di protezione antifascista).

Per 28 anni ha diviso in due la città, divenendo il simbolo della divisione tra Est e Ovest. Il 9 novembre 1989, sotto i colpi di piccone dei berlinesi, non venne giù solo il muro ma un intero sistema politico. Si infranse una concezione del comunismo che, originata con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 nel nome dell’uguaglianza, della giustizia e della socializzazione dei mezzi di produzione, aveva prodotto soprattutto in Unione Sovietica privazione della libertà, deportazioni, morti. Crollò anche la concezione economica della società comunista, sotto il peso della spinta ai consumi e della aspirazione alle soddisfazioni materiali dei cittadini dell’Est.

A venticinque anni dalla caduta del muro resta l’interrogativo se l’Europa sia oggi l’entità politica capace di affrontare e risolvere i problemi che vengono da un mondo globale e se ha una testa politica e un progetto che sviluppa l’intuizione dei padri fondatori dell’Unione Europea. Se riesce a superare la grave crisi che ha colpito gli Stati membri, rimasti indietro rispetto al resto del mondo “emergente” in tema di ricerca e d’innovazione tecnologica. Se lo Stato economicamente più forte, la Germania, stia lavorando per scongiurare il fallimento dell’Europa e per accelerare il processo di integrazione europea, oppure no.

E’ proprio un tedesco, l’ex ministro degli Esteri della Repubblica federale Joschka Fischer, a mettere sotto accusa la politica di rigore economico della Germania. Nel suo libro “Scheitert Europa?” (L’Europa fallisce?) commenta: “È triste vedere che, se l’Europa non avesse seguito le indicazioni di Mario Draghi, oggi l’euro non esisterebbe più!” La crisi, secondo Fisher, ha messo in luce una verità: l’euro, la moneta unica era stata ideata “per il bel tempo”. E in Europa il cattivo tempo economico dura ormai da oltre dieci anni. Il disastro finanziario europeo, a detta di Fisher, è stato accelerato nel 2008 dalla Cancelliera Merkel col rifiuto di una soluzione comune per tutti i debiti e l’avvio della fase, tanto egoistica quanto deleteria, dello “ognuno per se”. Anche se l’Europa del nord difficilmente accetterebbe di finanziare gli Stati del sud ritenuti, spesso a ragione, portatori di inefficienze e di sperperi dovuti a spese incontrollate, corruzione, peculato, evasione fiscale.

Fischer ritiene comunque che la Germania stia condannando il Sud Europa a non uscire mai dalla crisi, imponendo una deflazione interna dei salari e dei prezzi, quasi fosse un accanimento pedagogico nei confronti dei partner meridionali. Questo nonostante l’Europa, nella Conferenza di Londra del 1952 le avesse abbonato tutti i debiti. Senza quel “regalo” la Germania non avrebbe riacquistato la credibilità e l’accesso ai mercati e non avrebbe certamente avuto il suo miracolo economico.

Intanto l’Eurozona si è trovata sul banco degli imputati in occasione del Vertice dei Capi di Stato e di governo del G20, in Australia. L’accusa è la a mancanza di crescita economica, a differenza degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Le previsioni di crescita sono riviste al ribasso: appena lo 0,8% nel 2014, l’1,1% nel 2015. Con la singolarità della parziale ripresa della “periferia” europea costituita da Spagna e Irlanda e dalla stagnazione del “nocciolo duro” composto da Germania, Francia e Italia.

La Germania è vista ferma, non solo in termini di crescita ma anche di politiche. Avrebbe bisogno anch’essa di riforme e di abbassare l’imposizione fiscale ma sembra refrattaria a farlo. Non sembra intenzionata a cambiare approccio alla politica economica europea e manifesta grande scetticismo sull’affidabilità di Italia e Francia nel fare le riforme annunciate. Eppure è ancora Fisher a sostenere: “Se l’Europa non riparte è colpa dei tedeschi che non creano domanda interna riducendo le tasse o aumentando gli investimenti pubblici”. E allora che fare? Forse bisognerebbe riscrivere la Carta Europea perché, dice sempre Fisher: “Rimane molto lavoro da fare alle persone di buona volontà per rimediare agli errori del passato”.

L’Europa, a venticinque anni dalla caduta del muro, non può rinunciare a consolidare politiche economiche comuni. Indietro non si può tornare.

 

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