Armenia-Azerbaijan, venti di guerra in Caucaso? [di Anna Mazzone]
Il regime di Baku abbatte un elicottero lungo la linea di contatto. Il conflitto dimenticato del Nagorno Karabakh potrebbe riesplodere Armenia-Azerbaijan, due Paesi lontani e una guerra dimenticata, ma non ancora terminata. Al centro un lembo di terra, la repubblica di Nagorno Karabakh (NK, il giardino nero di montagna), che a oggi è ancora uno “Stato sospeso“, oltre che conteso. Nel 1994 è stata siglata una tregua tra il NK l’Armenia e l’Azerbaijan, ma la pace è ancora lontana e – soprattutto – l’escalation di violenza lungo i confini del Nagorno Karabakh non fa prevedere nulla di buono. Da una parte c’è l’Azerbaijan, il regno degli Alijev, un feroce regime islamico che si tramanda di padre in figlio. Un regime con il quale i governi di tutto il pianeta fanno affari e tendono a chiudere un occhio, in virtù dei fiumi di petrolio che sgorgano a Baku e dintorni e in barba alle più elementari norme dei diritti umani, puntualmente calpestate dagli Alijev, a cominciare dalla libertà di espressione e di stampa. Dall’altra parte c’è l’Armenia, una repubblica cristiana che non può contare né sul gas né sul petrolio per far sentire la sua voce sul palcoscenico internazionale, e che ha gran parte della sua popolazione sparsa in tutto il mondo dopo la diaspora seguita al genocidio perpetrato dai Giovani Turchi nel 1915. Insomma, in comune i due Paesi hanno solo il fatto di essere ex repubbliche sovietiche. Il conflitto del Nagorno Karabakh è stato tempisticamente “sfortunato“. Nel momento in cui esplodeva gli occhi del mondo erano puntati sui Balcani e sulla loro guerra nel cuore dell’Europa. Eppure, ci sono stati più di 30.000 morti e la pace ancora non c’è. Anzi, a giudicare dagli ultimi fatti, sembra che si allontani sempre di più. Negli ultimi mesi l’Azerbaijan ha alzato l’asticella delle provocazioni. Tradotto: il regime azero ha cominciato a sparare. Circa un mese fa, a fine ottobre, Alijev ha preso parte a un incontro a Parigi tra i presidenti di Armenia, Azerbaijan e Francia. Sul tavolo del negoziato promosso dall’Ue e dall’OSCE il consolidamento della tregua tra i due Paesi. Ma, nonostante le buone intenzioni espresse a Parigi, Alijev quando torna a casa fa di testa sua e il 12 novembre, durante esercitazioni militari regolarmente notificate agli azeri, viene abbattuto un elicottero del Nagorno Karabakh che volava in addestramento sopra le posizioni armene. L’elicottero si schianta nell’area neutrale tra Armenia, Azerbaijan e Nagorno Karabakh. Baku ammette l’abbattimento ed Europa e OSCE reagiscono chiedendo indagini sul campo e di poter accedere tramite la Croce Rossa Internazionale al sito dell’abbattimento. Ma, in barba alla convenzione di Ginevra, Baku nega per 10 giorni agli ispettori e agli operatori umanitari di recarsi nell’area interessata. I soldati azeri tengono sotto costante fuoco il sito dello schianto dell’elicottero, che – secondo il Nagorno Karabakh – non era armato né trasportava munizioni. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre le forze speciali del NK svolgono un’operazione di recupero dei resti dei 3 aviatori e della scatola nera dell’elicottero, neutralizzando le postazioni di due cecchini azeri, che vengono uccisi. Se non è guerra questa, poco ci manca. Quelle tra Armenia e Azerbaijan non sono solo scaramucce di Paesi molto lontani da noi, ma sono il frutto della costante (e impunita) violazione del diritto internazionale e umanitario da parte di Baku. Gli Alijev giocano a sfidare la pace, dando un duro colpo alla sicurezza e alla stabilità dell’intera regione. Senza poi tenere conto dei rischi per la sicurezza energetica dell’Europa. “L’abbattimento dell’elicottero armeno da parte dell’esercito azero è l’ultimo e il più grave di una serie di episodi che si stanno verificando lungo il confine armeno-azero e rischia di riaccendere un conflitto ventennale che sembrava essere sopito“, dichiara a Panorama.it il senatore Aldo Di Biagio della Commissione Difesa. E aggiunge: “L’Italia, con la Presidenza del Consiglio dell’Ue, dovrebbe farsi promotrice affinché non si sottovaluti una situazione altamente critica per l’intera area del vicinato europeo e si evitino mosse che, invece di condurre al dialogo tra i due Paesi, comportano una escalation della tensione“. Se Baku andasse nuovamente alla guerra contro l’Armenia, Bruxelles dovrebbe cominciare a temere seri problemi riguardo alle sue forniture. Il crocevia di gas e petrolio passa proprio da lì. La retorica anti-Armenia e pro-guerra per il regime di Baku è diventata una litania. Una sorta di ninna nanna con cui cullare i suoi sudditi. Il dittatore Alijev negli ultimi anni ha aumentato in modo esponenziale le spese militari, diffondendo l’armenofobia e cercando di provocare la reazione armena per trovare un casus belli. Per ora Yerevan ha mantenuto i nervi saldi, ma quanto potrà ancora resistere agli attacchi azeri, che si moltiplicano giorno dopo giorno?. L’abbattimento dell’elicottero privo di munizioni delle forze armate del Nagorno Karabakh da parte dell’esercito azero lungo la linea di demarcazione tra l’Azerbaigian e il NK non è stata solo una gravissima violazione dell’accordo di cessate il fuoco del 1994 e un atto vile costato la vita a tre aviatori armeni, ma rappresenta una pericolosissima scintilla nella polveriera del Caucaso. E di altre “scintille” oltre a quelle già presenti di certo non si sente il bisogno. Propio come agli inizi degli anni ’90, quello che succede nel Nagorno Karabakh oggi tende a essere messo sotto il tappeto di fronte ad altre emergenze: l’Ucraina e la guerra al Califfato dei terroristi dell’Isis sono le priorità della comunità internazionale. Ma sottovalutare i drammatici segnali che provengono da Baku potrebbe innescare una nuova miccia nel cuore del Caucaso e sarebbe un disastro per l’intera regione, proprio quando la Federazione russa si appresta a tagliare il nastro dell’Unione eurasiatica, che ufficialmente nascerà il 1 gennaio del 2015. Il gruppo di Minsk, (Francia, Russia e Stati Uniti) ha duramente ammonito l’Azerbaijan a rispettare la parola data e ha chiesto a Yerevan e Baku di mantenere il cessate-il-fuoco. Ma la sensazione in Nagorno Karabakh è che la situazione stia scivolando di mano ai grandi arbitri internazionali, Usa e Russia in testa. Una nuova guerra polverizzerebbe le strutture per l’estrazione e il trasporto degli idrocarburi dall’Azerbaijan verso l’Europa, che (anche per questo) a lungo ha assunto un atteggiamento bonario nei confronti di Baku. Bruxelles ha trattato Alijev come un discolo viziato, che alla fine fa sempre quello che vuole. E il presidente azero ha risposto minacciando una nuova guerra contro l’Armenia, non solo a parole, ma cercando attraverso la cosiddetta “caviar diplomacy” di racimolare sostegno e consensi in Europa. La “diplomazia del caviale” altro non è che la comprovata corruzione di vari parlamentari europei e nazionali, di diversi partiti e nazionalità. Una prassi “diplomatica” azera ampiamente diffusa a Bruxelles e Strasburgo, che più volte è stata al centro di denunce da parte della stampa. L’Armenia rischia di essere nuovamente coinvolta in una guerra proprio alla vigilia delle commemorazioni del centenario del genocidio. Anche oggi, come un secolo fa, il mondo resterà a guardare?
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