La tragica banalità della discriminazione [di Raffaele Deidda]

Eccidio Addis Abeba

Esiste in Italia un pietismo ipocrita, di destra. E’ quello che definisce gli immigrati disperati senza riflettere sul fatto che chi varca il mare o attraversa il deserto per affrontare una nuova vita coltiva, al contrario, la speranza. Non è forse di sinistra l’ottimismo della volontà? Eppure conviviamo con l’ipocrisia che porta a multare i lavavetri ma non fa muovere un dito per stroncare il traffico delle ragazze dell’Est Europa o dell’Africa che vengono stuprate, percosse e troppo spesso uccise lungo le strade dove si consuma il piacere a buon prezzo. Fa poi davvero molto male quando al pietismo si sostituisce la brutale discriminazione, quando gli italiani sfogano i peggiori istinti nei confronti dello straniero immigrato. A cui sembra lecito poter lanciare sassi e tirare dietro bottiglie, mentre volano i peggiori insulti e le minacce più terrificanti.

In rete è molto condiviso un post che recita: “Ragazzo ventenne che ridacchi con gli amici e dici che ogni immigrato lo legheresti dietro la tua auto fino a quando non è ‘cancellato’, sappi che la tua idea non è molto originale. Fu infatti questo uno dei trattamenti che le squadre delle Camicie Nere riservarono agli abitanti di Addis Abeba, nel febbraio del 1937, dopo il fallito attentato al Viceré Graziani. Gli italiani uccisero in quell’occasione circa 12.000 persone”. E’ drammaticamente vero, anche se non si conosce il numero esatto delle vittime. Fonti etiopi hanno parlato di 30.000 vittime, la stampa straniera dell’epoca fra 3.000 e 6.000. Ci fu anche l’utilizzo indiscriminato dei gas tossici contro i civili e lo sterminio sistematico dei religiosi copti, rei di alimentare la resistenza.

Harold G. Marcus, autore del libro “A History of Ethiopia”, riporta: “Gli autisti italiani rincorrevano le persone per investirle col camion o le legavano coi piedi al rimorchio trascinandole a morte. Donne vennero frustate e uomini evirati e bambini schiacciati sotto i piedi; gole vennero tagliate, alcuni vennero squartati e lasciati morire appesi o bastonati a morte”. Il Duce Mussolini aveva telegrafato: “Nessuno dei fermi già effettuati e di quelli che si faranno deve essere rilasciato senza mio ordine. Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi e senza indugi”. Questo è storia, altroché il mito dell’italiano buono e generoso che si contrappone al crudele e sanguinario nemico!

L’italiano ricco di buoni sentimenti e nobili intenzioni che promette alla “faccetta nera bell’abissina” di liberarla dalla schiavitù, come da propaganda fascista. Occorre avere l’onestà di riconoscere che anche gli italiani sono stati capaci di atti vergognosi e infami, spesso nei confronti di popoli e nazioni che non avevano loro dichiarato guerra. Questa storia a quel ragazzo ventenne, e non solo, va fatta studiare.

L’Imperatore Hailé Selassié, prima dell’invasione italiana, aveva avviato molte riforme per far uscire il paese dall’isolamento internazionale e dare impulso all’economia etiope ingessata in una struttura medioevale. Non aveva invece voluto, o potuto, modificare la struttura di ripartizione del potere basata sulle classi, regolata da sistemi feudali in cui nobili e dignitari gestivano il potere concesso direttamente dall’imperatore.

Angelo Del Boca (il primo studioso italiano a denunciare le atrocità compiute dalle truppe italiane in Libia e in Etiopia) ha scritto: Qualunque sia il giudizio finale su Hailè Selassiè, la sua figura merita rispetto e considerazione. E’ impossibile non provare un senso di grande ammirazione e di riconoscenza verso l’uomo che il 30 giugno 1936, dalla tribuna ginevrina della Società delle Nazioni, denunciava al mondo i crimini del fascismo e avvertiva che l’Etiopia non sarebbe stata che la prima vittima di quella funesta ideologia. Per questo suo messaggio, malauguratamente non ascoltato, gli siamo un po’ tutti debitori.”

E come non riconoscere un grande senso della politica, da statista vero, nel discorso pronunciato il 5 maggio 1941 da Hailé Selassié a seguito della liberazione dell’Etiopia dall’invasore italiano? “Poiché oggi è un giorno di felicità per tutti noi, dal momento che abbiamo battuto il nemico, rallegriamoci nello spirito di Cristo. Non ripagate dunque il male con il male. Non vi macchiate di atti di crudeltà, così come ha fatto sino all’ultimo istante il vostro avversario. State attenti a non guastare il buon nome dell’Etiopia. Prenderemo le armi al nemico e lo lasceremo ritornare a casa per la stessa via dalla quale è venuto”.

E’ poi vero che il malcontento della popolazione etiope crebbe con la rivendicazione sempre più forte di riforme democratiche. Vero è che Selassié gestì la giustizia in maniera arbitraria, favorendo i propri fedeli in base a mere logiche di potere. Vero è pure che represse spesso le rivolte nel sangue. Tutto vero ma tu, ragazzo di qualsiasi età, credi ancora che gli italiani siano stati migliori?

Non ci sono più alibi per l’ignoranza. La storia ora è tutta disponibile, anche in quel web che utilizzi per lanciare le tue terribili ipotesi di “cancellazione” dell’immigrato. Studia ragazzo, e arrabbiati con chi la storia non te l’ha fatta studiare.

2 Comments

  1. Fabio

    Ho letto il tuo scritto e l’ho trovato corretto ma bisogna contestualizzare la situazione di quel periodo. Questo non giustifica i cattivi comportamenti. A quell’epoca finita la prima guerra mondiale c’era molta miseria e gli europei più avanzati tecnologicamente degli altri stati della terra cercavano di accaparrarsi il ” posto al sole ” , anche noi italiani nel nostro piccolo ci comportavamo così nei confronti delle tribù africane , ci credevamo degli uomini superiori. Senza dubbio abbiamo fatto le stragi di cui racconti, purtroppo quando inizi una guerra, ” mors tua vita mea ” con questo non giustifico nessuno che voglia la morte di un altro. Detto questo, ho lavorato una decina d’anni in Africa, in Somalia, Mozambico, Namibia, non ho mai incontrato nessuno che parlasse male degli Italiani addirittura in Somali alcuni mi dicevano che si sentivano italiani ( 1980 ). Mi è capitato di dover chiedere ad un prefetto della Somalia, dei lavoratori da impiegare nei lavori che stavamo facendo a nord della Somalia e sentirmi dire : ” ma vuoi dei lavoratori normali o degli schiavi per i lavori più bassi ” . Credimi, c’è più razzismo tra loro che non tra noi, e non voglio stancarti a raccontarti episodi equivalenti. Devo dedurre, purtroppo che questo comportamento è intrinseco nell’uomo, questo non ci giustifica, se siamo più acculturati dovremmo anche comportarci meglio, ma a volte sarebbe sufficiente ascoltare il cuore . Ma non siamo peggiori ne dei francesi,russi,tedeschi,americani,inglesi,portoghesi,spagnoli…ecc., anzi…ciao. Fabio

  2. Carlo Gramignano Messina

    A coloro che vorrebbero cancellare l’immigrato che bussa alla porta del nostro paese, suggerirei la lettura attenta della “Storia dell’emigrazione italiana”, due volumi, pagg. 1500 c., a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, 2009, Donzelli editore. Solo allora, forse, riusciranno a dire qualcosa degna di attenzione.
    Gian Carlo

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