Islanda, un’isola posta al limite del circolo polare Artico, estesa un terzo dell’Italia e con una popolazione 200 volte inferiore (320.000 abitanti). Terra poco abitata, se non per la capitale Reykjavík e qualche cittadina sulle coste. L’interno un deserto montuoso di ghiaccio e di lava con la caratteristica presenza dei vulcani e dei geyser. Il Paese aveva scelto di non aderire all’Unione Europea e neppure all’Unione Economica e Monetaria, scelta che rifletteva la cultura di un popolo geloso della propria autodeterminazione. Fa parte dell’Area Economica europea (costituita da Unione Europea e Associazione europea di libero scambio) e ha pieno accesso ai mercati europei godendo però di autonomia nella regolamentazione dell’agricoltura e della pesca.
Sono note le vicende che determinarono la grave finanziaria del 2008, sfociate nella nazionalizzazione della più importante banca islandese, la Glitnir Bank, e nel crollo della moneta. In sostanza la bancarotta del paese, con la sospensione delle attività di Borsa. Note anche le proteste dei cittadini di fronte al Parlamento, armati solo di pentole, uova e pomodori. Portarono nel gennaio 2009 alle dimissioni del primo ministro e di tutto il governo e alle elezioni anticipate. La proposta di legge del Parlamento per il risanare il debito con Gran Bretagna e Olanda, che prevedeva il pagamento di 3,5 miliardi di euro, fu rigettata dagli islandesi che si sarebbero dovuti far carico per 15 anni del debito maggiorato del 5,5%. Il referendum popolare del 2011 ha visto il No vincere col 93% dei voti contrari alla ratifica della legge. Furono arrestati banchieri e membri dell’esecutivo. Il paese si rifiutò di sottostare ai diktat del sistema finanziario globale, manifestando la volontà di determinare il proprio destino senza dover ricorrere all’esterno. Tipico orgoglio isolano.
Elementi meno noti li riferisce l’economista islandese Thorvaldur Gylfason. Scrive che, conquistata nel 1904 l’autonomia dalla Danimarca, l’Islanda abbia lavorato sodo e in maniera coesa. Supportata dalle abbondanti risorse naturali e in particolare il mare pescoso e la disponibilità pressoché illimitata di energia geotermica e idroelettrica. Coadiuvata dall’adozione di misure politiche ed economiche che hanno incoraggiato l’accumulazione del capitale e l’adozione di nuove tecnologie. Tanto che alla vigilia della crisi finanziaria il PIL pro capite, in termini di potere d’acquisto, era di circa 35.000 dollari, lo stesso della Germania. Reddito che l’Islanda ha usato responsabilmente, utilizzandolo per costruire una società solidale che ha assicurato la mobilità economica ed eliminato virtualmente la povertà.
I comportamenti disinvolti dei banchieri, con l’accumulo dei debiti e la promessa di falsi profitti, hanno poi portato all’insolvenza dei cittadini che non riuscivano a ripianare i mutui e i crediti concessi con basse garanzie, all’indebitamento delle banche verso l’estero, all’aumento dei tassi di interesse sui titoli di Stato, all’esplosione del deficit e del debito pubblico, alla svalutazione della moneta.
L’Islanda aveva privatizzato le sue banche tra 1998 e 2003, cedute a banchieri locali disponibili ad alleanze eticamente discutibili fra il sistema politico e quello finanziario. E’poco noto che nel 2006 le banche islandesi hanno erogato contributi “politici” pari a 8 dollari per islandese, un ordine di grandezza superiore ai contributi del settore finanziario negli USA. Alla vigilia della crisi, 10 dei 63 membri del Parlamento erano esposti con le banche per più di un milione di euro ciascuno. (Il Comitato Parlamentare Speciale d’Inchiesta, che lo scoprì, scelse di non rivelare quanti altri deputati fossero debitori delle banche per alcune centinaia di migliaia di euro). Soprattutto, a causa delle collusioni fra finanza e politica, le banche islandesi hanno perso l’equivalente di sette volte il PIL del paese precedente alla crisi. Un record mondiale. Il tasso di disoccupazione schizzato al 6%, percentuale modesta per i paesi europei ma elevata per un paese di 300.000 abitanti. O poco più.
Con la rapida e quasi indolore soluzione della crisi finanziaria, la rinascita economica islandese è oggi una realtà. Grazie alle azioni di austerity, al mancato pagamento dei debiti, alla svalutazione. Grazie, soprattutto, alla forte capacità di rinnovamento politico e sociale. Questo è il messaggio più importante che l’Islanda ci invia: il rinnovamento politico e sociale, indispensabile per accompagnare la rinascita economica, deve prevedere in primis l’eliminazione delle commistioni fra sistema politico e potere finanziario.
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Grazie per averci illuminato così egregiamente sulle condizioni di questa isola dei ghiacci e su come sia riuscita a risollevarsi dalla crisi, il mio auspicio è che queste soluzioni possano essere valide anche per la nostra isola del sole…..un saluto.