La speculazione sulle energie rinnovabili [di Luciana Mele e Giovanna Mureddu per i Comitati]

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Da alcuni anni in Sardegna si sta giocando la partita della speculazione sulle fonti energetiche rinnovabili: termine, quest’ultimo, funzionale all’equivoco su quale sia l’effettiva sostenibilità degli impianti che dovrebbero implementare tali tecnologie. Una fetta di questa partita è costituita dalla proposta di ben quattro Mega-Impianti Termodinamici Solari a Concentrazione (impianti CSP, Concentrating Solar Power), proposti in differenti aree: due nella piana del Campidano, e altri due nell’altopiano di Campeda.

La superficie complessivamente richiesta è di circa 900 ha, suoli e terreni fertili preposti alla produzione agro-alimentare, e importanti per il mantenimento della geo-biodiversità e per la tutela e valorizzazione dei paesaggi rurali, dalle quali discende anche il rispetto dei beni ambientali e paesaggistici, parte integrante del nostro patrimonio identitario. La vocazione agricola delle zone interessate è, inoltre, funzionale alla fruizione e valorizzazione dei luoghi in chiave turistico-culturale.

Le comunità locali non ritengono tali proposte progettuali praticabili, anzi le ritengono irricevibili per le molteplici e pesanti ricadute negative che le soluzioni tecniche possibili non compensano né mitigano e non modificano il risultato finale. In cosa consistono questi impianti ad alta tecnologia, ritenuti strategici sul piano energetico, che fondano il loro punto di forza sulla generazione di energia dal sole? Specchi parabolici orientabili concentrano i raggi solari su un apposito ricevitore, che contiene un fluido termovettore costituito da una miscela di sali fusi, fluido che è la soluzione progettuale dovuta al premio Nobel per la fisica Rubbia.

I Sali (nitrati di sodio e potassio) presentati come innocui per l’ambiente e per la salute umana (ma questo vale solo per piccole quantità, non quando le tonnellate possono andare dalle 18 000 alle 25 000 per un solo impianto, come in questo caso: per queste quantità è prevista infatti l’applicazione della direttiva “Seveso”), sono convogliati in parte per generare vaporeacqueo che aziona una tradizionale turbina termoelettrica, in parte messi a riserva di calore in serbatoi alti circa 20 metri. Purtroppo questo tipo d’impianti necessita di ampi spazi pianeggianti e assolati (meglio se poco ventosi) e di cospicue quantità d’acqua, condizioni che in Sardegna si associano alla produzione agricola e alla zootecnia: nel resto del mondo gli impianti CSP vengono generalmente collocati nei deserti, e anche lì, con alcuni problemi d’impatto ambientale.

Anche gli studi dell’ENEA, partendo da considerazioni sull’insolazione, sul clima, sulla densità di popolazione e sull’utilizzo dei suoli, deducono che l’Italia non sia il luogo idoneo per tale tecnologia, che abbisogna di ampi spazi con forte insolazione, proprio come i deserti. Gli stessi proponenti, la Energo Green Renewbles e la ASE, sono ben coscienti di ciò, e lo scrivono nero su bianco sui loro elaborati progettuali (attualmente giacenti presso la Commissione Tecnica di Valutazione Ambientale del Ministero Ambiente), dove affermano che la Sardegna rappresenta una palestra per il loro know-how e una vetrina, per impianti da implementare nei paesi del MEDA: non sono quindi una soluzione energetica per noi.

Le leggi attuali del resto concedono ampia libertà d’azione per questo tipo d’impianti, i cui
imprenditori per un vuoto legislativo che si sta cercando di colmare, possono chiedere l’esproprio dei terreni per pubblica utilità. Diversamente avviene per il fotovoltaico, che è stato vincolato al possesso preventivo delle aree per evitare il fenomeno del Land-Grabbing; anche la pianificazione comunale, che destina queste aree all’uso agricolo, non sarebbe d’ostacolo se non fosse per lo statuto speciale della Regione Sardegna.

Si noti che inizialmente la competenza di V.I.A. sui progetti era appunto della Regione, ma un escamotage della proponente (imperniato sulla modalità di calcolo della potenza dell’impianto) avallato dagli uffici ministeriali, ha consentito lo spostamento del procedimento con il preciso intento di un iter più semplice e soprattutto a distanza, lontano dai territori interessati (e dai proprietari dei terreni minacciati di esproprio!), che contrastano tali impianti fin dallo loro prima presentazione.

I progetti, denominati “Gonnosfanadiga L.t.d” e “Flumini Mannu L.t.d.”, sono attualmente in attesa di una bocciatura o di un provvedimento di assenso alla V.I.A., ma la stessa commissione ministeriale si attarda nell’esprimersi e la proponente sollecita in vario modo, anche pilotando articoli giornalistici centrati sulla necessità di decidere rapidamente e favorevolmente, ventilando e auspicando eventuale delega al Premier, ritenuto evidentemente di vedute abbastanza pragmatiche da rimuovere ogni ostacolo burocratico, che in questo caso coincidono con i controlli di impatto sul territorio.

Per esemplificare, i comuni interessati direttamente dai progetti passati da VIA regionale a statale sono Decimoputzu e Villasor per l’impianto “Flumini Mannu Ltd”, e Gonnosfanadiga e Guspini per l’impianto “Gonnosfanadiga Ltd”, con una produzione nominale di 55 MWe ciascuno e con l’occupazione di suoli agricoli (Zone E) di 269 e 232 ettari rispettivamente, al netto della infrastrutturazione energetica quali cavidotti e nuove stazioni elettriche, e dei servizi primari quali acque e fognature, trasformando estensioni pari o superiori a quelle dei relativi centri urbani, in zone industriali per circa 30 anni, al termine dei quali i suoli risulterebbero degradati per l’uso agricolo e adatti solo all’uso industriale o urbanizzabili, configurando anche una speculazione edilizia ad altissima remunerazione.

I territori presi di mira oggi da questi progetti di speculazione energetica (col pretesto della pubblica utilità tanto sbandierato dalla Energo Green) verrebbero sottratti a produzioni agroalimentari di qualità, con marchio d’origine riconosciuto e apprezzato,come l’agnello di Sardegna IGP, il Pecorino Romano DOP, il Pecorino Sardo DOP, il Fiore Sardo Dop, il cultivar dell’Oliva Nera di Gonnos, ottima per la produzione da confettura e da olio; ortaggi quali il carciofo spinoso DOP, ecc.

Queste produzioni, che richiedono la corretta gestione agronomica e ambientale per il benessere degli animali, l’utilizzo di tecniche colturali e di gestione del suolo sostenibili, come l’avvicendamento colturale cereali-leguminose, necessitano del requisito di naturalità, che andrebbe perso, contrapponendo una presunta pubblica utilità con un’altra;tuttavia i beni comuni hanno molto più, di un valore di mercato: la tutela dell’ambiente, laricchezza e la diversità del paesaggio rurale, la salute ed il benessere degli animali, la domanda disicurezza e qualità alimentare del consumatore, riconosciuti da diverse leggi e dalle PAC della UE.

Le aziende interessate alla cessione forzosa e tutt’altro che consenzienti, fanno parte, inoltre, delle Organizzazioni Produttori per usufruire dell’efficienza del sistema cooperativo e associazionistico e attuano quotidianamente proficui scambi con tecnici di settore per garantirsi una costante e corretta crescita aziendale.

L’alta valenza dei paesaggi agricoli e rurali dei siti selezionati, poi, trova ulteriore conferma nella presenza di peculiari habitat avifaunistici e ricchi di geo-biodiversità (ZPS), e di habitat naturalistici nelle aree contermini (SIC). In questo contesto ricordiamo anche l’importante funzione protettiva dei suoli per la tutela quali-quantitativa degli acquiferi ad alta vulnerabilità, e per la prevenzione dal dissesto idrogeologico.

Alla sommaria rappresentazione delle criticità emergenti, si contrapponga il reale valore dei
benefici previsti attuando i progetti: l’energia prodotta non sostituirebbe alcunché di quella
ricavata dalle fonti fossili, quindi senza alcun beneficio in termini di riduzione di CO2, in una
Regione che attualmente a causa della crisi e non solo presenta un surplus energetico pari al 43%della produzione, e senza ricadute oggettive sul territorio (i cui abitanti pagherebbero sempre lo stesso prezzo al kwh), se non i posti di lavoro a termine previsti in fase di cantierizzazione, contrapposti però a quelli persi dalle attività redditizie esistenti.

Lo scenario descritto è reso possibile dall’assenza a livello regionale e nazionale di un piano
energetico e ambientale adeguato, sostenibile e condiviso, lasciando spazio ad avventure
speculative: per tutti questi motivi i comitati sottoscrittori di questo documento, favorevoli alle energie rinnovabili, sostenibili e alternative, si oppongono fermamente a tali progetti, ai quali non attribuiscono quei pregevoli requisiti.

Comitato “Terra che ci appartiene”, di Gonnosfanadiga, Presidente Luciana Mele
Comitato “No Megacentrale” di Guspini, Referente Laura Cadeddu,
Comitato “Terra Sana” Decimoputzu
Comitato “Sa Nuxedda Free” Vallermosa
Comitato “Basso Campidano aria – terra – acqua”
Comitato “Per il No al Termodinamico”Cossoine
WWF Sardegna Responsabile Settore Energia, Mauro Gargiulo
Italia Nostra Presidente Regione Sardegna, Graziano Bullegas

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