E adesso pedalare, caro presidente Pigliaru [di Umberto Cocco]
La giunta regionale ha approvato alla vigilia di Natale il piano straordinario di edilizia scolastica, senza troppo clamore e anzi con nessuna promozione, tutto il contrario del piano di Renzi risoltosi in propaganda ingannevole, con un bando finto e nella spesa a casaccio di un miliardo di euro in Italia (e in Sardegna a vantaggio fra l’altro di scuole non più esistenti). Bisognerà parlarne e magari ci sono correzioni da fare, ma intanto complimenti al presidente Pigliaru che ci ha messo del suo, all’Unità di missione che rivela una capacità di ascolto e di coinvolgimento che non è frequente di questi tempi e non è praticata dalla stessa giunta a proposito di molte altre politiche. Il Piano fa alcune cose semplici: mette insieme tutte le risorse a disposizione, insedia una regìa regionale delle operazioni lasciando ai sindaci l’indicazione delle esigenze del territorio e non del solo proprio paese, e premia la razionalizzazione degli spazi, la dismissione di edifici esagerati rispetto alle esigenze, la costruzione di nuovi edifici a cominciare dalle scuole di secondo grado. Non è scritto in delibera di quante risorse sono a disposizione. Sono esplicitamente messe insieme e programmate tutte quelle riferibili alla scuola, da qualsiasi fonte provengano, e viene programmata per i prossimi tre anni la contrazione di un mutuo che integri quelle esistenti. Qualche mese fa la giunta aveva a disposizione 90 milioni, ne ha spesi 15 in manutenzioni già quasi concluse (al contrario di quelle, ridicole e irriverenti, 7mila euro a scuola, di Renzi). Se quel che resta sono 70-80 milioni non è tanto, e non sembrano sufficienti a fare quel che il Piano annuncia: “saranno riqualificati, ristrutturati o costruiti nuovi edifici per almeno il 20% degli alunni sardi. Attraverso l’Asse II saranno effettuati interventi di messa in sicurezza, manutenzione e rinnovamento di arredi ed attrezzature sugli edifici scolastici che ne necessitano”. Con ottimismo, si dice in altra parte di volere innalzare “significativamente i livelli qualitativi di almeno l’80% degli edifici scolastici sardi, attraverso architetture di qualità ed interventi di manutenzione tali da rendere le scuole un valido strumento per più innovative ed efficaci metodologie didattiche”. Per far questo senza i trucchi usati da Renzi con la tecnica delle slides, ci vogliono molte risorse, si vedrà presto quante ne ha la Regione. Giustamente il Piano mette insieme anche i 30 milioni assegnati dalla giunta Cappellacci a fine mandato con un finanziamento senza bando pubblico e li riporta al rispetto dei criteri nuovi. Non c’è cenno alle risorse del Governo, a quelle appena spese o che il governo sta spendendo in questi mesi, almeno per evitare duplicazioni, disparità ulteriori oltre a quelle introdotte da Renzi. Ma lo sforzo sembra notevolissimo, degno della questione indicata da Pigliaru come prioritaria nella sua campagna elettorale. E’ la prima volta nella mia esperienza di sindaco che vedo indicati e assai cogenti e non solo proclamati in una delibera la regìa regionale di questa politica e il richiamo preciso alla razionalizzazione degli spazi. Ci sono voluti anni e anni, per capire che i nostri paesi sono stati inondati da fiumi di risorse pubbliche per ristrutturare, costruire, comprare edifici, per fare musei, centri polivalenti, teatri, palestre, rimasti in gran parte chiusi, ingestibili, costosi. Sono premiati i progetti che mettono insieme anziché dividere e moltiplicare spazi, e che mettono insieme bambini e alunni di paesi diversi nelle aree spopolate, scoraggiando le pluriclassi, incoraggiando l’accorpamento, la concentrazione di bambini e ragazzi con numeri che facciano anche un po’ massa. Non abbiamo mai fatto queste operazioni con il sentimento positivo della costruzione di una nuova dimensione scolastica e anche territoriale. L’esigenza di chiudere scuole senza più popolazione scolastica sufficiente a formare classi minimamente adeguate la si è vissuta come un dramma, una perdita, nei paesi senza più bambini, quando basta un’esperienza in una qualsiasi area rurale o periurbana del Centro Europa o degli Stati Uniti e del Canada, dell’Australia, per vedere i bus che portano i ragazzi a scuola la mattina, riportandoli via a fine giornata, e sentirli da adulti come la raccontano questa fase della vita, ricordando la buona scuola, non il paese che la ospitava. La scuola come esperienza vera e quotidiana prolungata, in edifici accoglienti, belle architetture, fra amichevoli arredi, spazi per i giochi e lo sport, e insomma complessi efficienti e la mensa magari con i cibi a chilometri zero come alla materna di Sedilo che sta lasciando sereni i bambini e le mamme (e magari con l’orto accanto, coltivato dai nonni e dai nipoti….). Interessante è anche l’introduzione di un giudizio regionale sulla qualità della progettazione, più difficile gestirla questa fase, perché i Comuni hanno già affidato l’idea progettuale che è preliminare, ma è già anche un progetto che ha impegnato tecnici, architetti, fra una promessa (delusa) di Renzi e una di Pigliaru. Ma insomma c’è tutta questa consapevolezza nella delibera della Giunta, ripetuti riferimenti al collegamento fra edilizia e didattica, edilizia e tecnologie informatiche, laboratori, e viene ribadito quel che le delibere degli anni dopo il 2004 e sino a Cappellacci dicevano e finanziavano, il tempo pieno con progetti fatti dalle scuole in autonomia, animati da insegnanti pagati per il lavoro supplementare e da adulti con profili diversi ed esperienze da raccontare e percorsi formativi da percorrere insieme alle nuove generazioni. Le scuole sempre aperte, luogo di aggregazione e di formazione continua anche degli adulti, con tutte le cose disperse concentrate lì, le biblioteche, la scuola di musica, l’associazione archeologica e il museo nei corridoi della scuola medesima, e con la palestra aperta a tutti e magari il laboratorio del formaggio, perché no, di un allevatore e della sua moglie, a loro volta genitori e docenti. Sembra utopia, ma è la scuola reale realizzata altrove anche in qualche parte dell’Italia. Bisogna crederci. Poiché ci credo, mi sento in diritto di fare qualche osservazione anche critica a parti non ben definite della delibera della giunta. E’ troppo pretendere il cofinanziamento del 25 per cento da parte dei comuni: i comuni sopra i 1000 abitanti, che sono quelli interessati all’edilizia scolastica, non hanno un euro a disposizione, e quel che c’è nelle casse è immobilizzato dal patto di stabilità. E non è corretto prorogare di due mesi la rendicontazione per i comuni che hanno avuto il finanziamento per interventi urgenti in autunno ma a condizione che lo facessero entro il 2014. Chi non ce l’ha fatta ottiene una proroga, ma a saperlo molti comuni che han chiesto quello che sapevano di essere in grado di spendere entro dicembre, avrebbero potuto chiedere di più per un intervento finanziato al 100 per cento. Sembrano piccolezze, ma sono gli atti che fanno somigliare una giunta all’altra, tutte sensibili alle pressioni a forzare le regole, ad adattarle agli amici ai quali non si sa dire di no. Adesso quel che manca, nel Piano di edilizia scolastica. Manca il riferimento ai contenuti, alla Sardegna e alla sua cultura e alla sua lingua come contesto reale nel quale ogni programma si sostanzia senza poterne prescindere, intrecciandosi anzi strettamente a quegli elementi, costitutivi della nostra identità, o se non ci piace questa parola, alla nostra Autonomia. E non c’è collegamento con la condizione reale degli insegnanti, la selezione dei nuovi e l’adeguatezza di chi c’è ora, i docenti mal pagati, demotivati, dei quali il Governo si starebbe occupando (?) ma non senza che ciò abbia influenza sulla scuola sarda, evidentemente. Un’altra cosa infine è vaga, nella delibera: il riferimento ai dati della dispersione scolastica, se non genericamente e opportunamente richiamati come elemento a cui legare la premialità per i progetti dei Comuni, a favore di quelli in maggiore sofferenza. Ma non capisco ancora come dovrei considerare io il mio paese da questo punto di vista: il preside delle scuole mi dice che a Sedilo non c’è dispersione, ma 12 ragazzi dei 22 che hanno preso il diploma di scuola media due anni fa sono stati espulsi dalla scuola dopo avere tentato di frequentare le superiori, non ci vanno più e sono nell’età dell’obbligo e non sempre vengono nemmeno segnalati all’assistente sociale del comune; diventano invisibili, entrano nel cono d’ombra dei destini individuali quando invece si gioca anche con loro un pezzo almeno di quello collettivo. Chi li segue e come questi ragazzi, prima che le indagini statistiche si accorgano che sono “perduti”, prima che il servizio sociale se li ritrovi a vent’anni iscritti alle liste delle estreme povertà? E’ una questione enorme, è il futuro dei nostri paesi e della Sardegna. Se si scrivesse ogni volta questo dato, a mo’ di esergo anche nelle delibere, ci aiuterebbe a drammatizzare, opportunamente, la nostra situazione: ben 26 giovani che hanno oggi fra i 18 e i 24 anni in Sardegna hanno solo la licenza media e sono fuori da qualsiasi percorso formativo. E’ la situazione peggiore di tutta l’Italia, una delle peggiori in Europa: gli altri Paesi europei hanno meno di 10 giovani in quella condizione. Sarà una questione retorica, ma serve anche qualche slogan, per semplificare, far circolare messaggi. E adesso pedalare, caro presidente Pigliaru, se vogliamo fare in tempo ad aprire qualche scuola nuova o rinnovata nel prossimo anno scolastico… *Sindaco di Sedilo |
Bell’articolo. Intenso, appassionato e ricco di spunti e suggerimenti.
Solo una considerazione apparentemente marginale: riusciranno i Sindaci dei paesi coinvolti a mettersi d’accordo sul tragitto che dovrà effettuare il Bus che trasporta i bambini?