Il test di identità: su Alan Turing e altro [di Franco Meloni]
Quando, tanto tempo fa, ero sicuro che col ragionamento si sarebbe potuto spiegare tutto, l’eguaglianza A=A mi ha sempre dato da pensare. Era per me l’inizio dei sillogismi, prima dei paradossi, e la Logica del grande Aristotele serviva a mettere le basi per tutte le scienze. Ero convinto che solo i numeri rispondessero alla eguaglianza. Ero convinto che tutte le altre realtà, e Godel era ancora distante e la meccanica quantistica più nebulosa di quanto non lo sia ora, e la luce non è tanta, non potessero essere ricondotte alla tranquillizzante identità. Tra le tante sollecitazioni prodotte dal film su Alan Turing, si può scegliere tra l’ammirazione per la recitazione di altissima qualità, sul coinvolgimento emotivo nel vedere un genio maltrattato della società ipocritamente perbenista, dal velo generale di falsità sulle vicende umane, sul terrore della guerra, barbara arma di distruzione delle coscienze, sul cinismo di chi deve decidere come un dio, sulla imprevedibilità degli effetti, sul caso e sulla necessità, sulla simpatia per una mente troppo logica per mascherare la realtà. Ma quando Christopher si ferma per dare la risposta, la macchina aliena assume contorni umani. E viene da dirle grazie, cosa che non si fa neppure con la segreteria telefonica. Il dialogo più intenso nel film, per me, tratta la definizione di macchina e di uomo, prima di effettuare il Test che da Turing prende il nome. La constatazione della diversità come realtà e non come difetto. E’ difficile definire A per poter eguagliarlo a se stesso. E viene la rabbia. E non solo perché, alla fine, neutralizzando Enigma si contribuisce a vincere una guerra contro una visione del mondo che appiattisce su sterili schemi la meravigliosa diversità tra tutti noi, senza caste e senza l’uso ignorante del termine razza, se non Umana. E fa rabbia pensare che Alan Turing è stato vittima di leggi assurde nella nazione che ha sconfitto l’ottusa brutalità di Hitler. E non dimentichiamo Oscar Wilde. Forse per la percentuale di autismo che credo di avere, e non mi spaventa pensarlo, mi commuove scrivere su una macchina che ha il simbolo di una mela, magari con un po’ di cianuro, morsicata per disperazione. Una macchina meno sferragliante ma sempre discendente da Christopher. Dio ci salvi dalla normalità. *Fisico. Università di Cagliari
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