L’espansionismo dei Sardi nuragici nel Mediterraneo occidentale (1) di Massimo Pittau
La peregrina e perfino ridicola tesi dei nuraghi intesi come “castelli” e “fortezze” per mezzo secolo ha impedito che in Sardegna si intravedesse una sia pure pallida idea di che cosa sia stata effettivamente la “civiltà nuragica”, sia rispetto alla sua caratteristica interna o civile e culturale, sia rispetto a una sua eventuale politica esterna di espansione fuori dell’isola. Si consideri che, rispetto a queste due prospettive, interna ed esterna, se si accettava come valida la tesi dei nuraghi intesi come “castelli” e “fortezze”, si era costretti a concepire la Sardegna come un immenso “campo trincerato”, guarnito e difeso da circa 7 mila fortilizi, cioè da una immensa quantità di fortificazioni, che probabilmente il “Vallo Atlantico” messo su da Hitler nella II guerra mondiale contro il previsto sbarco degli Anglo-Americani in Europa, non riusciva a equiparare. E dietro il “Vallo Mediterraneo” messo su dai Sardi Nuragici contro le eventuali invasioni dei nemici esterni, essi se ne stavano continuamente intanati nei “castelli” e nelle “fortezze” in attesa del “nemico che viene dal mare”, oppure vivevano in una perpetua guerra fratricida tra una tribù e l’altra. Invece in realtà il nuraghe non era altro che l’“edificio pubblico cerimoniale” per eccellenza di ogni tribù o di ogni piccolo insediamento umano, edificio entro e attorno al quale si svolgevano tutte le funzioni principali che scandivano la vita degli abitanti: cerimonie e riti di nascita, della pubertà, dei matrimoni, di vaticinio e di oracolo, stipula di contratti e di patti, rimedi contro le calamità naturali, rimedi contro le malattie degli uomini e delle bestie, riti e cerimonie per la morte degli abitanti. In effetti il nuraghe corrispondeva insieme e contemporaneamente alle odierne “casa comunale” e “chiesa parrocchiale” di ogni centro urbano, edificio entro e attorno al quale si svolgevano – in perfetta sintonia laico-religiosa, come avveniva dappertutto in quei secoli – tutte le citate funzioni comunitarie. Caduta nel ridicolo e ormai quasi del tutto abbandonata la tesi della destinazione militare dei nuraghi, adesso finalmente siamo in grado di mostrare e dimostrare che invece una loro “politica esterna od estera” i Sardi Nuragici l’hanno indubbiamente attuata e addirittura nella forma di un “espansionismo” esplicato a 360 gradi in tutte le terre del Mediterraneo occidentale che circondavano la Sardegna. Appunto procediamo adesso a mostrare in quali terre si è svolto questo “espansionismo nuragico” e lo facciamo secondo le linee di un movimento che risulterà essere circolare o a raggiera. Premettiamo che d’ora in avanti i Nuragici o Sardi Nuragici li chiameremo anche Sardiani in virtù della loro origine dalla Lidia, nell’Asia Minore o Anatolia, dalla cui capitale Sárd(e)is avevano derivato il loro nome. E li chiameremo anche Tirreni o Tirseni, che significava «costruttori di torri» (týrrhis, týrsis «torre») e tali erano in primo e principale modo per l’appunto i Nuragici, mentre gli Etruschi ebbero in seguito pur’essi questa denominazione per effetto della loro parentela coi Nuragici, dato che gli uni e gli altri provenivano dalla Lidia, secondo un famoso racconto di Erodoto (I 94), condiviso da 30 autori greci e latini e respinto dal solo Dionigi di Alicarnasso. Questo passo di Erodoto narra il trasferimento della metà della popolazione della Lidia dall’Asia Minore nell’Occidente mediterraneo, e precisamente in quella regione che finirà per essere denominata Tuscia od Etruria, posta fra i due fiumi Tevere ed Arno ad oriente e il Mar Tirreno ad occidente. Ebbene, già l’assai autorevole archeologo e storico catalano Pedro Bosch Gimpera aveva sostenuto che gli emigranti Lidi erano arrivati in Etruria soltanto dopo aver soggiornato per qualche secolo in Sardegna, nelle vesti dei Sardi Nuragici, i quali dopo erano sbarcati in Etruria richiamati dalla scoperta degli importanti giacimenti di ferro nell’isola d’Elba in Toscana e nella Tolfa del Lazio, presso Cerveteri (StSN § 11). Inoltre precisiamo che chiameremo protosardo un lessema appartenente alla odierna lingua sarda, ma che risale a quella parlata dai Nuragici prima che la Sardegna venisse conquistata dai Romani e da loro totalmente romanizzata o latinizzata nella lingua. La Corsica meridionale. Sicuramente la prima terra nella quale si affermò l’espansionismo dei Sardi Nuragici fu la Corsica meridionale e ciò di certo in virtù della sua più stretta vicinanza alla Sardegna settentrionale. Tanto più facile era questa direzione dell’espansione dei Nuragici, in quanto in epoca preistorica il passaggio da un’isola a un’altra vicina era un fatto frequentissimo, anzi era il principale modo di muoversi in tutto il bacino del Mediterraneo. La Corsica inoltre risultava molto utile ai Nuragici perché si trovava nella via diretta che, lungo la costa orientale della Corsica e delle isole dell’Arcipelago Toscano, costituiva per essi la via più facile per arrivare in Etruria e precisamente alla città etrusca di Populonia (odierno Piombino). Le risultanze degli scavi archeologici effettuati fino al presente nella Corsica meridionale, confermano la nostra tesi ed hanno i caratteri della piena evidenza archeologica. In primo luogo sono da citare i menhir o betili ivi esistenti, i quali sono tuttora in posizione verticale. Ma sono da citare soprattutto le «torri», le quali erano templi-tombe, esattamente uguali nella struttura architettonica e anche nella destinazione sacrale e pure funeraria alle «torri», cioè ai «nuraghi» della Sardegna. La «civiltà torreana» della Corsica meridionale, molto opportunamente chiamata in questo modo per il riferimento alle solite «torri» dei Tirreni o Tirseni non si può fare a meno di interpretarla come una propaggine della “civiltà nuragica”, anzi tirreno-nuragica della Sardegna (StSN § 54). E si intravede abbastanza facilmente che la presenza dei Sardi Nuragici nella Corsica meridionale è precedente al passaggio – molto più tardo – dei Còrsi dalla Corsica nella Sardegna settentrionale, cioè nella odierna Gallura. Altre conferme vengono da alcune significative corrispondenze tra la Corsica e la Sardegna: alcune linguistiche ed altre etnografiche. Nella Corsica meridionale esiste una cittadina chiamata Sartena o Sartene, la cui radice toponimica richiama chiaramente quella di Sard-i e Sard-inia e il cui suffisso -èn- è notoriamente tirrenico ed anatolico; suffisso che del resto si ritrova anche nei toponimi vicini Altagene, Aullene, Bisene, Quinzena e Scopamene, sempre in Corsica. La presenza dei Sardi Nuragici nella Corsica meridionale è indiziata anche dal toponimo Sardani (Bonifacio/Porto Vecchio) e dall’antico cognome còrso Sardena. Ma molto più importante è la circostanza che vocaboli dei dialetti còrsi, finora privi di etimologia, corrispondano a vocaboli protosardi: si tratta, a nostro avviso, di vocaboli che in epoca molto antica sono stati importati nella Corsica dai Sardi Nuragici. Qui, una volta per tutte, precisiamo che la effettiva dimostrazione della validità della connessione linguistica tra i vocaboli protosardi che citeremo e quelli corrispondenti còrsi, iberici, gallici e berberi viene da noi presentata nelle nostre opere La Lingua Sardiana o dei Protosardi (LISPR), I toponimi della Sardegna – significato e origine (TSSO) e Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico (NVLS). Protosardo Còrso bajone «concolina di sughero» baja «recipiente di legno» C’è poi da ricordare che fin dall’antichità esiste nelle isole di Sardegna e di Corsica, il muflone «specie di pecora selvatica», il quale ha un nome sicuramente prelatino. Ebbene, sembra che questo animale sia stato importato in queste due isole dall’area del vicino Oriente, dove risulta ancora attestato nella zona dell’Asia Minore che confina con la antica Persia (= odierno Iran), oltre che nell’isola di Cipro e pure nell’odierna Algeria (vedi). Il lat. musmo,-onis (suffisso -on-) «asino o cavallo di piccola taglia» (tipici della Sardegna e della Corsica antiche) è da riferire agli asinelli e ai cavallini sardi tuttora esistenti nell’isola e probabilmente da connettere con l’antroponimo etrusco Nusmuna. Sul piano etnografico è notevole l’usanza della covata, cioè del fatto che il marito si coricasse accanto alla moglie che stava per partorire, usanza che Diodoro Siculo dice essere stata propria degli antichi Còrsi e che nella Sardegna centrale e settentrionale si è mantenuta fino a un settantennio or sono (StSN § 54). Altro dato etnografico notevole è che a Sartene c’è l’usanza di confezionare e mangiare il formaggio coi vermi; cibo che è molto comune ed apprezzato in tutta la Sardegna interna e montana. Infine una certa conferma indiretta della presenza dei Sardi Nuragici nella Corsica meridionale viene dalla notizia di Varrone, secondo cui Phorco era il re della Corsica e della Sardegna. E sarebbe questo il nome di un re nuragico tramandatoci dalla storiografia antica o almeno dalla mitologia (StSN § 54). Bibliogafia e Sigle DECLC Corominas J., Diccionari Etimòlogic i Complementari de la LLengua Catalana, Barcelona, V ediz., 1988.
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In Corsica, villaggio preistorico di Filitosa, si trovano delle costruzioni molto simili ai nostri nuraghi che li si chiamano “araghju” e sempre in quel sito si trova un museo dove viene fatto esplicito riferimento ai Guerrieri Shardana
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