Diritto certo e governance opaca [di Guido Rossi]

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Il Sole 24 ore 11/01/2015. La portata e il significato dei tragici fatti dì sangue di Parigi, nonostante le divergenti e contraddittorie interpretazioni che provengono da ogni dove, meritano una più meditata riflessione di quanto oggi non sia ancora possibile fare. Nel cuore dell’Europa pare essere ritornato improvvisamente quello “stato di natura” descritto da Thomas Hobbes, una guerra di tutti contro tutti, e comunque una situazione di insicurezza generale. Considerare questo fenomeno alla stregua di un puro atto terroristico è sicuramente riduttivo.

Il contesto politico nel quale questa sanguinosa battaglia ha avuto luogo suggerisce la strisciante esistenza di un conflitto mondiale, reso ancor più dirompente dalla globalizzazione economica, con le sue profonde disuguaglianze. L’ideologia dominante che si è affacciata al nuovo millennio ha via via ridotto il potere e la sovranità degli Stati, scardinando alcuni principi delle democrazie liberali.

Gli Stati stessi, da fonti del diritto sono diventati meri esecutori di una governance tanto generica quanto vaga. Fu già Hegel a rilevare che quando il diritto privato ha il completo sopravvento sul diritto pubblico e lo Stato arretra di fronte agli interessi dei privati, la decadenza dei sistemi politici minaccia le stesse basi della civiltà. La sostituzione della governance alla norma giuridica produce un sistema mondiale privo di ordine e di coerenza. È quel che è avvenuto anche nell’ambito del diritto internazionale. Dove le grandi istituzioni, nate nel secondo dopoguerra, come le Nazioni Unite, atte a garantire un diritto cosmopolitico internazionale di piena effettività diretto ad assicurare la pace nel mondo, sono state sostituite da varie organizzazioni di natura plurilaterale.

Tra queste, quella di maggior rilievo, dominata dagli Stati Uniti, è la Nato, che,come ha sostenuto giustamente John Mearsheimer sull’ultimo numero di Foreign Affairs, è certamente, a causa del suo allargamento ai vari Stati confinanti con la Russia, motivo di nuovo conflitto, alla base della reazione in Ucraina e dell’annessione della Crimea da parte di Putin, in preventiva difesa dell’imperialismo russo. Fenomeno di guerra generalizzata che, pur completamente diverso dai fatti di Parigi, si inserisce nella medesima disordinata cornice.

Ma il caso più clamoroso è la subalternità degli Stati, soprattutto in Europa, fortemente indebitati, la cui operatività di politica economica, completamente privatizzata, è costretta ad adottare misure di austerità soggette ai voleri dei creditori e dei loro diritti contrattuali, di cui si fanno interpreti l’opacità dei mercati ed i suoi protagonisti, dagli hedge funds; alle società di rating, ai fondi sovrani, nel marasma dei loro conflitti di interessi.

Ed è così che alla certezza del diritto si sostituisce l’incertezza della governance, dove i protagonisti del capitalismo finanziario sono molto spesso occulti o privi di qualunque giuridica legittimazione internazionale, come nel caso della c.d. troika, che detta le regole agli Stati o impone norme costituzionali contrarie ai diritti fondamentali, quale il vincolo al pareggio di bilancio, introdotto nel 2012 nella Costituzione italiana con la sostituzione dell’art. 8I.

Che lo Stato sia pericolosamente diventato il mediatore di interessi privatistici l’aveva già rilevato con straordinaria lucidità Norberto Bobbio. Ma il fenomeno si è via via allargato, tant’è che recentemente, in democrazie avanzate come quella americana, le interpretazioni dei diritti costituzionali sono state manipolate a favore della governance privata del capitalismo finanziario. La sentenza della Corte Suprema del 2010 Citizen United v. FEC, sulla quale mi sono già più volte intrattenuto, ha parificato la sovranità del popolo alle corporations e la libertà di espressione (freedom of speech) al denaro (money), togliendo ogni limite ai finanziamenti alla politica da parte delle grandi società. I più autorevoli commentatori hanno dichiarato che questo è stato un modo per rendere legale la corruzione polìtica.

Non diverso comportamento è stato seguito in molteplici casi dalla Corte di Giustizia europea, nel difficile bilanciamento tra i principi fondamentali dell’Unione e le misure restrittive di natura finanziaria e di risanamento economico, come chiaramente documentato il costituzionalista Gaetano Azzariti. Altre volte abbiamo stigmatizzato la pericolosità delle misure economiche alternative alla sanzione penale. Questa justice by deal, questa sanzione attraverso la contrattazione è un indice che anche il potere giudiziario, come quello politico, può diventare come è stato più volte denunciato dal New York Times, uno strumento dell’ideologia del capitalismo finanziario.

L’arretramento degli Stati e del diritto a favore di interessi particolaristici finisce per conferire una assurda attrattiva ai fatti di Parigi, che si inquadrano invece in una violenta barbarie, alla quale non può riconoscersi alcun valore universale. La brutalità del fanatismo religioso nasconde invece i veri scopi di dominio di territori e di risorse economiche, come si è verificato in Iraq e in Siria. L’attuale erratico andamento del prezzo del petrolio, che sta sconvolgendo tutte le previsioni economiche, riguardanti anche i paesi c.d. emergenti, ne è l’indice più evidente. Attaccare i principi fondamentali della libertà di stampa e di opinione invocando esclusivamente idolatrie religiose con il miraggio di nuovi Stati fondamentalisti cela le finalità di carattere economico che altrimenti non potrebbero certo qualificarsi come valori universali.

Due conclusioni mi paiono a questo punto certe. La prima è che l’affermazione dei diritti umani -nucleo centrale della civiltà occidentale -deve prevalere sulla governance del capitalismo neoliberista e sul simulato riferimento scorretto al diritto di libertà, con cui è stato giustificato ogni tipo di sopraffazione, e quindi di violazione del diritto alla dignità dell’uomo. Purtroppo l’ideologia di base del neoliberismo ha trascurato un principio fondamentale; già Bentham aveva affermato che compito del diritto e dello Stato era proprio indicare i limiti all’esercizio delle libertà, discorso poi ripreso fino a Isaiah Berlin col concetto di libertà negative.

Alla base di ogni programma politico futuro che si ponga come obiettivo l’uscita dalla crisi, soprattutto in Europa, si deve tener conto che senza uguaglianza non c’è libertà, e quindi se i principi dell’economia portano alla creazione continua di diseguaglianze e di smisurate ricchezze, soprattutto a livello globale, i conflitti non potranno mai esser risolti. E i ritorni allo “stato di natura” previsto da Thomas Hobbes saranno ancora più frequenti.

La seconda conclusione che ne deriva è il fallimento delle politiche di “austerità espansiva“, che devono porre fine anche all’ideologia del sopravvento della governance economica sul diritto. Il monito a “non sovrastimare l’importanza del problema economico, o sacrificare alle sue presunte necessità altre materie di maggiore o più duraturo significato” era già stato espresso da Keynes nel 1931; ovviamente egli si riferiva ai diritti fondamentali.

 

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