Arte e cibo [di Franco Masala]
Nel 1962 Andy Warhol dipingeva il barattolo della Campbell’s Soup, dandole dignità di soggetto d’arte e facendola diventare icona dell’American way of life in tutto il mondo. Agli albori della presenza dell’uomo sulla Terra, invece, un anonimo “artista” realizzava nelle parti più riposte delle grotte dipinti con scene di caccia, utili per prefigurare magicamente la cattura degli animali. Sono soltanto due esempi antitetici, nei modi, nelle forme e negli scopi, della centralità del cibo nell’arte di tutti i tempi. E nell’anno dell’Expo milanese dedicata all’alimentazione può tornare utile una riflessione sul tema. Se la celeberrima “Canestra di frutta” del Caravaggio (Milano, Pinacoteca Ambrosiana) apre la strada alle innumerevoli nature morte realizzate da fine Cinquecento in poi in tutti i paesi anche dai “pittori della domenica”, non sono da meno le formelle dei mesi delle cattedrali medioevali che mostrano le scadenze del calendario annuale contadino con scene di vendemmia, mietitura del grano o di insaccatura delle carni del maiale. Anche le bevande sono state raffigurate spessissimo e si va dalla cioccolata del francese Liotard nel Settecento al caffè nel “Dopopranzo” del macchiaiolo Silvestro Lega, alla birra nei boccali di Manet e Van Gogh fino alla statuetta della schiava che la prepara in un mastello, proveniente da un corredo funebre dell’antico Egitto. Né mancano il latte i suoi derivati – a cominciare dai formaggi più o meno stagionati – oppure l’uva e il vino con chiari riferimenti simbolici al sangue di Gesù Cristo nelle innumerevoli opere d’arte della religione cristiana. Aspetti simbolici sono presenti anche nel più famoso uovo di tutta la storia dell’arte: quello che pende sul capo della Madonna (anch’ella con un volto ovoidale) nella “Sacra conversazione” di Piero della Francesca (Milano, Pinacoteca di Brera, 1472 ca) e che può alludere alla perfezione in chiave pagana o al senso della rinascita in quella cristiana. Proprio l’arte religiosa legata ai Vangeli fornisce occasioni ripetute per rappresentare cene e tavole imbandite, come l’”Ultima cena” di Leonardo, o le numerose “Nozze di Cana” che possiamo ricordare almeno in due esemplari emblematici: la versione di Paolo Veronese che rispecchia i fasti dell’aristocrazia della Serenissima Repubblica di Venezia, e quella più modesta ma efficace dipinta a tempera a Orani, nel Nuorese, da Pietro e Gregorio Are agli esordi del Settecento. Vi sono poi banchetti ufficiali come quello della fastosissima tavolata a ferro di cavallo, raffigurata da Pietro Longhi nel 1755 in casa Nani a Venezia per la visita dell’Arcivescovo Elettore di Colonia, o tavole più modeste come il desco de “I mangiatori di patate” di Vincent Van Gogh che ha evidenti implicazioni di carattere sociale. E per finire un cenno ai capricci di frutta e ortaggi e pesci combinati tra loro dell’immaginifico Giuseppe Arcimboldi che a fine Cinquecento dipinge ritratti strepitosi con elementi che suggeriscono il soggetto ritratto in modo metaforico. *Sintesi della Relazione tenuta al Liceo Classico “G. M. Dettori” di Cagliari per la Notte nazionale del Classico del 16 gennaio 2015 |