Di chi sono le responsabilità del declino? [di Antonietta Mazzette]

universit_sarde_penalizzate_da_riforma_con_costi_standard_perdono_25_fondi-0-0-429137

La protesta dei precari dell’Università di Sassari – persone che lavorano da tre anni nei diversi uffici universitari -, è solo un primo scricchiolio che denota la fragilità dell’Ateneo. Un altro che si va preannunciando è quello riguardante i ricercatori a tempo determinato in scadenza nel 2015 che, se non rinnovati, contribuiranno all’abbassamento dei requisiti dei corsi di laurea, quindi alla progressiva chiusura degli stessi e, conseguentemente, all’ulteriore calo degli iscritti.

Chi sono queste persone? In gran parte donne e uomini tra 35 e 40 anni che hanno un’alta formazione (lauree di primo e secondo livello, master e/o dottorati, conoscenza di più lingue e così via), ai quali andrebbero aggiunti gli assegnisti di ricerca. Questo background riguarda molti del personale tecnico amministrativo precario quanto, ovviamente, tutti i ricercatori e gli assegnisti. Ossia, abbiamo un personale altamente qualificato sul quale il sistema universitario (cioè l’Italia) ha investito denari e capitale umano per la sua formazione che ora rischiamo di buttar via, con grave danno non solo dei diretti interessati, ma anche dell’università e della società complessivamente intesa.

Di chi sono le responsabilità? Anzitutto di chi ci ha governato in questo ultimo decennio, a partire da chi ha approvato la c.d. Legge Gelmini, con la quale si è sancita la nascita dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) che, di fatto, ha sostituito il potere ministeriale, ossia il MIUR, e che con i suoi tecnicismi burocratici, per lo più punitivi, sta affossando le Università delle regioni Centro-Sud: calcoli matematici e mediane fondati su arbitrari e discutibili indicatori più volte denunciati dal Consiglio Universitario (CUN) che, si noti bene, è l’unico organismo di controllo democraticamente eletto. Ossia, sta affossando le università che hanno più difficoltà ad aumentare le tasse degli studenti e ad attrarre finanziamenti esterni per la debolezza del tessuto sociale e produttivo di queste aree.

Non entro nel merito di questo tema perché è già intervenuto lucidamente il Rettore di Cagliari. Ma riprendo il suo richiamo finale: è la politica ai diversi livelli che si deve far carico della (quantomeno) rivisitazione della Legge Gelmini e delle forme di valutazione inventate dall’ANVUR. Il termine “invenzione” non è casuale perché, avendo fatto parte del Gruppo degli Esperti di Valutazione (GEV) dell’Area 14 – Scienze Politiche e Sociali -, ho avuto modo di verificare dall’interno quanto siano state arbitrarie e frettolose le indicazioni alle quali i GEV si sono dovuti attenere nella valutazione dei prodotti di ricerca.

Ma le responsabilità sono anche locali e dei singoli Atenei. Anzitutto, oltre che mettere in atto forme incisive di protesta nei confronti del MIUR, sarebbe necessario fare scelte lungimiranti, tanto nella costruzione dell’offerta formativa quanto nelle scelte finanziarie, seppure i margini di manovra siano molto stretti. Mi riferisco, ad esempio, al Bilancio di Previsione del 2015, approvato dagli Organi di governo dell’Ateneo turritano, nel quale non è prevista nessuna forma di razionalizzazione della spesa e risparmio a favore del turn over e dei precari (che poi rappresentano il futuro stesso dell’Ateneo).

In secondo luogo, nei momenti di difficoltà la coesione interna e la condivisione delle scelte, anche quelle più dolorose, è una forte arma per contrastare la gravità della situazione. Il coinvolgimento riguarderebbe anzitutto i Dipartimenti, il Senato, il Consiglio di Amministrazione e quello degli Studenti. In terzo luogo, l’Ateneo dovrebbe coinvolgere le forze sociali e politiche del territorio, informandole dei rischi che l’Università sta correndo e costruendo con loro un percorso propositivo ma anche di protesta.

La fragilità della nostra università è una faccenda che riguarda tutti e non solo chi ci lavora. Concludo con un interrogativo: quale destino avrebbe il Nord-Sardegna se l’Università di Sassari cambiasse status – cioè se da media diventasse piccola università -, o ancor peggio, se rischiasse in un prossimo futuro di chiudere i battenti?

Lascia un commento