Venditori di fortuna [di Quirina Ruiu]

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Negli anni 60, nei nostri paesi di Gallura, si aggiravano tanti venditori ambulanti che sembravano tutti uguali. Vendevano di tutto: dalla biancheria per la casa all’abbigliamento, agli oggetti di uso quotidiano per le famiglie. Alcuni però erano diversi, strani. Si facevano annunciare dal suono di un organetto e urlavano a squarciagola: “E’ arrivata la fortuna, venite a prenderla!”.

Adulti e bambini, uomini e donne accorrevano verso quelle figure quasi zingaresche che avevano con loro una gabbia con dentro un pappagallino. Questo, al comando del padrone, estraeva col becco un foglietto da un mazzo che lo conteneva insieme a tanti altri, tutti di colore diverso. In quel pezzetto di carta rosa, verde o azzurra, era scritta la fortuna o la sfortuna di chi, versando una monetina, voleva fantasticare sul proprio futuro.

Questi venditori di fortuna erano ben accetti e attesi con gioia. La gente amava distrarsi dalla dura quotidianità fatta di duro lavoro nei campi, di accudimento delle bestie, di gestione della casa e della famiglia. I lustrini della Costa Smeralda erano ancora da venire e ben poche erano le distrazioni. Si creava quasi un’eccitazione collettiva per una fortuna annunciata che poteva colorare e cambiare la vita. I più entusiasti erano i bambini, che si accalcavano intorno alla gabbia per ammirare quell’uccellino che vi svolazzava dentro e poi si gettava ad afferrare col suo becco ricurvo il biglietto colorato. Anch’io ero allora bambina e ricordo come l’interesse mio e dei miei coetanei non fosse per una favolosa fortuna economica o per un incontro sentimentale appagante. Eravamo troppo piccoli e spensierati per quelle ambizioni, molto più interessati ad un pacchetto di caramelle o di cioccolatini. Oppure ad un giocattolo, magari un pupazzo da aggiungere alla  nostra povera collezione di balocchi. Sogni modesti per cuori ingenui.

Gli adulti coltivavano altri sogni. Le donne sposate, in particolare, volevano leggere nel loro biglietto una futura, cospicua vincita alla lotteria o comunque un qualsiasi, indefinito colpo di fortuna capace di cambiare la loro vita. Le ragazze invece attendevano dal foglietto colorato i pronostici sull’uomo che poteva diventare il loro compagno di vita, che le avrebbe rese spose e madri. Gli uomini erano apparentemente i più distaccati, non manifestavano coinvolgimenti emotivi. Gettavano nel piattino con aria d’indifferenza la moneta e con altrettanta indifferenza sembrava leggessero il loro biglietto. Era come volessero testimoniare il poco peso che assegnavano alla sorte, anche se nel loro cuore c’era ancora tanto spazio per il sogno. Almeno quello non costava niente. Intanto il pappagallino si dava un gran da fare per accontentare tutti. Il suo becco era il vero dispensatore d’illusioni, di speranze e di sogni. La gente tornava a casa col foglietto in mano, fiduciosa che la predizione si sarebbe avverata.

Piccolo mondo, neppure tanto antico, dove la speranza e i sogni svolgevano un ruolo importante. Dovrebbero assumerlo anche oggi in una società cambiata, sicuramente più evoluta ma non per questo più matura. Dove si continua ad avere fame di pane, di giustizia sociale, di pubblici amministratori competenti animati dallo spirito del bene comune. Non basta certamente, oggi, il simpatico uccellino dalle piume colorate per farci ancora sorridere e ridarci la voglia di continuare a sperare e sognare, è necessario che ci si senta tutti solidamente impegnati nella costruzione di una società migliore.

Se però nelle vie dei nostri paesi tornasse a risuonare la musica di quell’organetto e il richiamo del venditore di fortuna, non potremmo restare insensibili. Sorrideremmo nel depositare la moneta nel piattino e guarderemmo con tenerezza il pappagallino dal becco ricurvo che svolge il suo onesto lavoro. Saremmo sicuramente più consapevoli, questo si, che il nostro futuro dipende unicamente dai noi stessi.

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