Sardigna no est Bhutan [di Raffaele Deidda]

Bhutan campi

Cosa hanno in comune la Sardegna con lo stato himalayano, stretto tra Cina e India, con una superficie di 47.000 km² e 750.000 abitanti? Perché dovrebbe assomigliargli se, sostengono gli indipendentisti, la Sardegna non è neppure Italia per cultura, geografia, lingua? Allora la domanda da porsi è: cosa avrebbe potuto avere in comune la Sardegna col Bhutan?

Probabilmente lo sviluppo umano equilibrato, l’istruzione, la governance, la cura del patrimonio culturale e la conservazione dell’ambiente. Sono gli indicatori del FIL (Felicità Interna Lorda) istituito dalle autorità bhutanesi per misurare il grado di benessere della popolazione. Il Fil indica che lo sviluppo è costituito da più dimensioni rispetto a quelle del Prodotto Interno Lordo e deve essere considerato come un processo per aumentare la felicità piuttosto che la crescita economica. Gli obiettivi assegnano maggiore concretezza alla Felicità Interna Lorda e contengono i principi guida per assicurare al paese indipendenza, sovranità e sicurezza.

Sebbene la memoria sia sempre più corta e i protagonisti della politica siano affaccendati in altro, non è difficile reperire nell’esperienza riformista della Giunta regionale sarda di centrosinistra del 2004-2009 analogie di azione e di obiettivi con quelli del paese asiatico. Obiettivi  interrotti da Cappellacci e non ripresi dalla giunta Pigliaru a lui succeduta.

Il Bhutan è un paese magico per paesaggi, cultura, misticismo religioso che viene quasi voglia di raccontarlo come una favola: “C’era una volta un piccolo paese asiatico la cui economia era basata esclusivamente sull’agricoltura”. La favola diventa sorprendente quanto affascinante nel momento in cui il Bhutan ha reso noto che entro il 2020 sarà il primo paese al mondo con la produzione agricola esclusivamente biologica. Dopo sarà vietata la vendita di pesticidi e diserbanti chimici e i contadini useranno solo concimi organici ottenuti nei propri allevamenti. Lo ha detto il ministro dell’Agricoltura Pema Gyamtsho, agricoltore, al Vertice sullo Sviluppo Sostenibile di Nuova Delhi.

Gran parte dell’agricoltura del Bhutan è già biologica perché i contadini di alcune aree sono troppo poveri per poter usare prodotti chimici. Limite trasformato in scelta vincente che orienta verso una produzione rispettosa dell’ambiente e della salvaguardia del territorio e delle comunità locali. Il governo bhutanese mira, oltre a mantenere la produzione agricola, a preservare la qualità dei suoli aumentando l’irrigazione dei terreni e la diffusione dell’uso di sementi locali resistenti ai parassiti. Il primo ministro Jigmi Thiley ha spiegato che il percorso verso il biologico nasce dalla convinzione che la prosperità del Paese dipende dalla capacità di lavorare in armonia con la natura.

I governanti del paese, per lunghi anni isolato, hanno verificato che gli effetti della chimica sulla qualità nutrizionale di frutta e verdura e sulle falde sono nocivi e che, per aumentare le esportazioni agricole nei mercati stranieri, il marchio “bio” è l’elemento di successo.

Perché la Sardegna non agisce come il Bhutan? Perché l’agricoltura non può costituire, oltre che un nuovo modo di produzione ecologica, un modello di sviluppo e di stile di vita? Quali ostacoli impediscono la produzione e la diffusa commercializzazione dei prodotti biologici “made in Sardinia”? Sono di natura pedologica, riferiti alla qualità dei suoli e pertanto spiegabili dai geologi e dagli agronomi, oppure attengono ad orientamenti e volontà politiche che fanno riferimento a diversi interessi economici?

Se ci si riferisce alla proposta di legge sugli Agriturismo, che permette di consumare il 35% dei prodotti locali “bio” ed il restante 65% d’importazione, la risposta c’è già. Se poi, come evidenzia Copagri Sardegna, al comparto agricolo “non vengono lasciate nel bilancio regionale neppure le briciole” della Finanziaria, la risposta è ancora più chiara. La Sardegna non può essere, per volontà politica, come il Bhutan.

4 Comments

  1. Paola Cannas

    Condivido al 100% le considerazioni dell’articolo di Raffaele.
    Se poi ci ricordiamo che già dai tempi di Ippocrate era noto che il cibo dovrebbe essere la prima medicina che ingeriamo, e che oggi in Sardegna importiamo l’85% di ciò che mangiamo l’equazione è presto risolta:
    cibo naturale e biologico prodotto in Sardegna ci regalerebbe più salute e oltre tremila posti di lavoro.
    Cosa aspettiamo?

  2. Condivido. Ma allora quale proposta può essere lanciata al di là del coinvolgimento della politica?

  3. La Sardegna non agisce come il Bhutan perché: a) Esistono politici che sono arrivati a voler regolamentare cos’è la ristorazione locale, con la baggianata di stabilire percentuali di prodotti agroalimentari interni ed esterni. La solita foga socialdemocratica di pianificare anche le virgole; b) Perché quel 65% di agroalimentare che dovrebbero importare gli agriturismi fa concorrenza alle nostre produzioni locali, in quanto il grosso dell’import è sovvenzionato dalla PAC europea, anche con soldi nostri (è una forma di dumping interna all’UE, ma a sinistra non se ne parla); c) perché crediamo che finanziando di più i produttori sardi riusciremo a controbattere a quella concorrenza di cui al punto b, più sovvenzionata della nostra; d) Perché non tutto il biologico ed esportabile, e ciò che è esportabile e non si deperisce rapidamente per il mercato è un prodotto delle migliorie genetiche che la scienza ha introdotto nel medesimo mercato (bisogna quindi prima stabilire nuovamente che cosa s’intende oggi per biologico e per quale ambito di prodotti agroalimentari).

  4. sardegnasoprattutto

    Il Primo Ministro bhutanese ha partecipato al Vibrant Gujarat Summit 2015 tenutosi in India alla presenza di autorità mondiali quali il Segretario di Stato USA, il Presidente della Banca Mondiale, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, il Primo Ministro indiano. Nel suo intervento, definito “semplice e umile” dalla stampa internazionale, ha detto con grande chiarezza: “Il Bhutan è aperto alle aziende, ma lo è solo per i settori puliti, green e sostenibili, come l’energia idroelettrica e l’agricoltura organica” . Molti osservatori indiani sostengono che “il gigante” India avrebbe molto da imparare dal piccolo Bhutan. L’Italia e la Sardegna no?

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