In Trentino non siamo poi così speciali [di Veronica Rosati]

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Ugo Rossi, leader del centrosinistra autonomista, è il nuovo Presidente della Provincia Autonoma di Trento. Ha vinto le elezioni del 27 ottobre scorso con il 58,12% delle preferenze contro l’imprenditore Diego Mosna, appoggiato da uno schieramento di liste civiche, che si è fermato ad un misero 19,28%. Irrilevanti i risultati ottenuti dagli altri partiti, fra cui Lega Nord Trentino (6,22%), Movimento Cinque Stelle (5,84%) e Forza Trentino (4,42%). La fiduciaria di Berlusconi in Trentino Alto Adige, Michaela Biancofiore, aveva elegantemente dichiarato alcuni mesi fa: “Il partito rilanciato da Berlusconi è così forte che potrebbe candidare anche una capra e sarebbe eletta lo stesso”. Non è stato così, evidentemente.

Apparentemente si è chiusa un’epoca, quella di Lorenzo Dellai, che ha guidato il governo provinciale per tre legislature, dal 1998 al 2013. Senza contare le due legislature precedenti da primo cittadino del capoluogo trentino. Il suo attuale incarico di capogruppo di Scelta Civica alla Camera è invece storia recente.

I risultati elettorali mettono in evidenza un Trentino sempre più arroccato in quella linea politica di difficile definizione, in perenne bilico fra continuità e rinnovamento, tendenze autonomiste e voglia di nuovo, conservazione delle tradizioni e impatto con la realtà globale . Rossi, ex Assessore alla salute e politiche sociali dell’ultima giunta Dellai, vuole proporsi come l’uomo della continuità e della stabilità, con quel pizzico di sobrietà nuova che di questi tempi non guasta. Si fa volto della “squadra che vince non si cambia”.

Già. Il governo Dellai avrebbe portato per lunghi anni certezze, ricchezza e stabilità. Perché mai cambiare? Il 58,12% dei trentini gli ha dato cieca fiducia. La retorica dei fiumi d’inchiostro, che ha proposto mille declinazioni del termine “autonomia”, durante la campagna elettorale non si è risparmiata. L’attaccamento al territorio, la valorizzazione dell’economia locale, la difesa dell’ambiente e la promozione dell’innovazione hanno creato un vortice di slogan elettorali provenienti da ogni direzione, creando legittime perplessità sul  loro autentico significato.

In Trentino, come in molte parti d’Italia, c’è un esercito invisibile di astenuti. Un pesante 37,18%, di trentini, ben il 10,31% in più rispetto alla tornata elettorale provinciale precedente, ha disertato le urne. Il fenomeno nazionale degli sfiduciati della politica assume in Trentino un valore significativo, in virtù dell’oggettiva assenza di un’alternativa credibile al centrosinistra autonomista.

L’immagine dell’imprenditore di successo che mette a disposizione le sue competenze per il bene comune, ormai sperimentata in ogni sua declinazione a livello nazionale, non ha portato bene a Mosna. Le sue liste civiche hanno unito in italica maniera volti davvero nuovi e freschi con vecchie conoscenze della politica provinciale. Fra questi i soliti riciclati, gli scaricati a vario titolo dalla coalizione di maggioranza. Parallelamente, la destra si è presentata frammentata e totalmente inconsistente.

Una vistosa bandiera bianca sventola sul Trentino che non ha sostenuto Ugo Rossi. Pare una resa silenziosa a questa voglia di cambiamento che fatica a prendere forma. La Provincia di Trento eccelle notoriamente nell’agricoltura, nell’offerta turistica, nella difesa del suo territorio montano, nella cultura del risparmio energetico. Per non parlare della qualità della vita, di cui i servizi pubblici sono parte importantissima. C’è però un Trentino diverso da quello narrato dall’Istat, un Trentino minore. È quello della gente comune, che non è facilmente o per nulla riconducibile alle categorie più comuni. Si tratta d’impiegati, di artigiani, di pensionati e di disoccupati. Il Trentino è anche la regione di quella singolare, forse bonaria ipocrisia, che si stupisce dei suoi problemi, sdrammatizzandoli con un semplicistico “nel resto d’Italia è peggio”. Il disoccupato è guardato con aria di stupore, quasi evocando un anacronistico interrogativo sul motivo di tanta sfortuna.

L’impegno straordinario delle istituzioni locali per i settori numericamente più rilevanti della provincia, capillarmente organizzata in un crescendo di enti pubblici e parapubblici con una moltitudine esagerata di dipendenti, è reale. I settori agricolo e zootecnico sono ampiamente supportati e sostenuti, con interventi che farebbero invidia agli operatori del sud Italia.Consistenti anche gli investimenti nella cultura, dove spicca la recentissima inaugurazione del MUSE, l’avveniristico Museo delle Scienze, progettato da Renzo Piano che ha dato una visibilità tutta nuova alla città del Concilio. Inoltre, lo sviluppo delle cooperative e del credito cooperativo ha creato nei decenni dei veri e propri colossi dell’economia locale.  Rose e fiori, si direbbe.

Non per il trentino medio però, che guarda la propria realtà con sguardo meno edulcorato, mentre vive gli stessi disagi di tanti milioni d’italiani. Vede l’investimento pubblico degenerato in un assistenzialismo infinito e in una nebulosa di privilegi, indirizzati a quella parte di provincia che sta meglio. Il vecchio detto “Piove sempre e solo sul bagnato” ha una costante ricorrenza. Nelle vallate dell’autonomia, della valorizzazione del particolare e delle minoranze linguistiche, appare contraddittoria l’indifferenza per la fetta di popolazione che non se la passa bene.

Il trentino che non ha votato il centrosinistra autonomista sente di essere a pari dignità figlio di questa terra. Coltiva gli stessi valori: l’attaccamento al territorio, la cultura della solidarietà e del lavoro duro e silenzioso. E’ soprattutto consapevole di non avere nulla di speciale.

È un cittadino che vive la propria realtà, evocando riflessioni su problematiche i cui echi vanno oltre gli orizzonti frastagliati di queste montagne.

2 Comments

  1. Zio Fannix

    Complimenti, gran bell’articolo.

  2. debora

    Direi che sà proprio di tè. Brava cara mia Veronica, davvero molto bello, molto tuo.

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