Cent’anni di genocidi e di negazionismi [di Raffaele Deidda]

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E’ appena trascorso il 27 gennaio e sembrano sempre più distanti gli echi del Giorno della Memoria, istituito per ricordare lo sterminio del popolo ebraico. Ancora oggi ci sono i “negazionisti” che affermano che Auschwitz e gli altri campi di sterminio, le camere a gas, siano solo un’invenzione della propaganda alleata sostenuta dall’internazionale ebraica. Aveva sostenuto in una intervista Jean-Marie Le Pen, padre di Marine ed ex leader del partito di estrema destra francese Fronte Nazionale: “Non dico che le camere a gas non siano esistite. Io non le ho viste. Non ho studiato la questione, ma penso che sia solo un dettaglio nella storia della seconda guerra mondiale“. Un mero, banale dettaglio, quindi. Nessun genocidio programmato e le camere a gas o non sono mai esistite oppure, come sostengono altri revisionisti, il gas Zyklon B serviva alla disinfestazione dai parassiti. E’ disumano che ancora possano essere affermate, impunemente, menzogne così tragiche.

Nell’anno in corso ricorre il centenario di un’altra immane tragedia dell’umanità che fatica a radicarsi nella memoria collettiva: il Medz Yeghern, ovvero il Grande Male. Il genocidio del popolo armeno perpetrato dai Turchi nel 1915, rimasto per lunghi anni quasi sconosciuto all’opinione pubblica internazionale. La Turchia ha sempre respinto il termine di genocidio nei confronti degli armeni, riconoscendo solo una persecuzione che avrebbe causato l’uccisione di circa 300.000 armeni, in luogo dei circa due milioni. Una delle poche voci sollevatasi in Italia a denunciare la vera entità della tragedia armena fu quella di Antonio Gramsci nel 1916: “Sarebbe stato possibile costringere la Turchia, legata da tanti interessi a tutte le nazioni europee, a non straziare in tal modo chi non domandava altro, in fondo, che di essere lasciato in pace. Niente mai fu fatto, o almeno niente che desse risultati concreti”. Tanto che Adolf Hitler si ispirò al genocidio armeno (“Possiamo fare quel che vogliamo: chi si ricorda più dello sterminio degli armeni?“, disse nel ’39 ai suoi collaboratori) per realizzare il progetto più nefasto della storia europea: l’eliminazione fisica sistematica di milioni di Ebrei.

Intanto il governo turco continua a disconoscere il genocidio armeno. Chi ne parla rischia il carcere sulla base dell’art. 301 del Codice penale (Offesa alla dignità nazionale turca). Si cerca di far passare come danno collaterale del conflitto il programma di annientamento di un popolo attuato con fredda determinazione. Straordinaria umanità è stata testimoniata da alcuni ebrei, voci di un popolo perseguitato hanno raccontano le sofferenze di un altro popolo molto vicino a quello ebraico per cultura e per profonda religiosità.

In particolare quelle dai fratelli Aaronshn che svolsero attività di spionaggio utile agli inglesi per sconfiggere l’impero turco. Eppure i negazionisti dell’olocausto armeno esistono ancora. Uno di essi è Doğu Perinçek, presidente del Partito dei Lavoratori, il partito comunista più grande della Turchia. In una manifestazione organizzata dalla comunità turca in Svizzera nel 2005 si era riferito al genocidio armeno come a “Una bugia internazionale, diffusa dalle potenze imperialiste che avevano invaso il nostro paese dopo il 1918″.

Denunciato dall’Associazione “Svizzera -Armenia”, era stato condannato da due corti svizzere per discriminazione razziale in base al codice penale svizzero, secondo il quale la negazione del genocidio armeno costituisce reato. Il caso, portato davanti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nel 2008, ha visto nel 2013 uno sblocco con la condanna della Svizzera per violazione dell’articolo 10 della Convenzione, che attiene alla libertà di espressione. “Considero l’accusa di razzismo un insulto alla mia persona, io sono comunista e lotto per la fratellanza dei popoli.”, aveva affermato Perinçek durante gli interrogatori. Con tutte le differenze del caso, anche Pol Pot era un comunista, a capo dei khmer rossi comunisti e rivoluzionari che in quasi quattro anni di regime sterminarono circa 2 milioni di cambogiani in nome del Nuovo Mondo di pace e di fratellanza che dichiaravano di voler creare.

In sostanza la Corte Europea ha stabilito che Perinçek “Non ha abusato dei propri diritti esprimendo la sua opinione su una questione controversa” . I turchi hanno esultato chiamando Perinçek “Eroe dei diritti umani” , mentre gli armeni hanno considerato la sentenza come “la sconfitta di una causa umanitaria”. A prescindere dalle ragioni giuridiche, la sentenza appare semplicemente la sconfitta, ancora una volta, del soggetto più debole, del meno conosciuto, se anche l’autorevole “Cambridge Journal of International and Comparative Law” ha apprezzato la decisione della Corte Europea affermando che “Ha fermato la giurisprudenza svizzera, che stava per dare vita ad una forma di dittatura del pensiero unico e ha stabilito chiaramente che la nozione del genocidio è strettamente legale”. Nella considerazione che gli eventi in questione non sono stati riconosciuti dalle corti internazionali come un genocidio e che si tratta, perciò, di una questione aperta al dibattito storico.

Aveva ragione Antonio Gramsci nello scrivere: “Perché un fatto ci interessi, ci commuova, diventi una parte della nostra vita interiore, è necessario che esso avvenga vicino a noi, presso genti di cui abbiamo sentito parlare e che sono perciò entro il cerchio della nostra umanità. E’ un gran torto non essere conosciuti. Vuol dire rimanere isolati, chiusi nel proprio dolore, senza possibilità di aiuti, di conforto. Per un popolo, per una razza, significa il lento dissolvimento, l’annientarsi progressivo di ogni vincolo internazionale, l’abbandono a se stessi, inermi e miseri di fronte a chi non ha altra ragione che la spada e la coscienza di obbedire a un obbligo religioso distruggendo gli infedeli”.

Lo scriveva nel 1916. Oggi, a distanza di quasi 100 anni, l’umanità non può più trincerarsi dietro l’ignoranza degli eventi e per nessuna ragione può tollerare che venga riconosciuto il diritto alla negazione di massacri di intere popolazioni inermi in qualsiasi parte del mondo questi avvengano.

 

 

 

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