Due o tre cose sull’Università di Sassari e non solo [di Antonietta Mazzette]

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Riporto l’attenzione sull’Ateneo di Sassari e specificamente su due problemi: i precari e l’offerta formativa per il prossimo triennio. Per ciò che riguarda i primi, ancora oggi, non è chiaro l’orientamento di questa Amministrazione. In nessuna sede formale se n’è parlato e i Dipartimenti potrebbero vedere ridotti drasticamente sia il numero di persone che svolgono funzioni amministrative sia quello dei docenti: per i primi il contratto si conclude a marzo, per i ricercatori nell’ottobre 2015.

Lo stato del bilancio dell’Ateneo è critico ma, considerato che questo problema dovrebbe essere una priorità per tutti, si è ancora in tempo per avviare una verifica trasparente su come operare forme di risparmio e accantonamento di fondi a favore dei precari. Sono certa che, riqualificando la spesa, sarebbero molte le persone disposte a fare sacrifici per non perdere queste competenze.

Per ciò che riguarda l’offerta formativa dell’Ateneo, da oltre tre anni un gruppo nutrito di docenti sottopone all’attenzione del Rettore e degli Organi di governo la necessità di analizzare criticamente tutta l’offerta formativa, a partire dai corsi che soffrono di gravi criticità, in termini di iscrizioni (ve ne sono alcuni che non hanno neppure 10 studenti), di rispetto dei requisiti di docenza, di qualità (vi sono corsi che si collocano stabilmente agli ultimi posti di ogni graduatoria), di spendibilità in termini di occupazione. In questo quadro, questi docenti hanno proposto l’istituzione di un corso di laurea che formi giovani nei settori delle nuove tecnologie dell’informazione. Si tratta, per il momento, dell’unica proposta di innovazione avanzata e, come tale, suscettibile di miglioramenti e integrazioni.

Le argomentazioni di questi docenti sono state le seguenti. Avviare corsi innovativi, come quello in Ingegneria dell’Informazione, si traduce immediatamente in crescita del numero degli studenti: l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10 mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università.

Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione. Inoltre, il sistema produttivo ed economico del Nord-Sardegna è carente di tutte quelle professionalità che rientrano nei settori dell’ICT. E ciò costituisce un ulteriore indebolimento dell’economia del territorio. E ancora, i settori dell’ICT sono considerati una priorità dall’Unione Europea e dal MIUR, riconosciuta anche dalla Regione della Sardegna. Mi riferisco al documento Strategia di specializzazione intelligente della Sardegna, pubblicato nella scorsa estate. In questo documento i settori dell’ICT vengono classificati strategici per la programmazione 2014/2020 e, perciò, vengono considerati la priorità 1 perché l’ICT è una “fondamentale tecnologia abilitante per gli altri settori”.

Ma tanto la riflessione complessiva quanto l’avvio di un nuovo corso sono stati bocciati, utilizzando due argomenti: l’Ateneo in questo momento non può che ripresentare la medesima offerta di corsi degli anni passati; vi sono (presunte) debolezze tecniche dell’unica proposta avanzata, anche se la verifica tecnica – è bene sottolinearlo – spetterebbe al Nucleo di Valutazione dell’Ateneo e agli enti ministeriali CUN e ANVUR.

Ormai rassegnati, questi docenti non ripresenteranno più (se non sollecitati da altri) le loro proposte. Che nesso c’è tra la questione dei precari e quella dell’offerta formativa? L’immobilismo per un verso, la non volontà di mettersi in discussione per un altro verso. Stare fermi e “non toccare niente con la speranza di salvarsi” può apparire rassicurante ma, metaforicamente parlando, è come se una nave costretta a navigare nel mare in burrasca venisse lasciata in balia delle onde.

Con un solo esito: i membri dell’equipaggio cercherebbero di salvarsi, ognuno per sé, senza pensare ai compagni di viaggio. Rispetto a questo pericolo, a mio avviso c’è un solo percorso praticabile, quello di avviare rapidamente la discussione all’interno degli Organi di governo e coinvolgendo la società locale, con il fine comune di trovare soluzioni condivise.

One Comment

  1. Cara Antonietta, se continuiamo ad arrabattarci dentro gli angusti vincoli di ciascun Ateneo sardo sono sicuro che non ne usciremo. Proviamo invece a ragionare in termini di Università della Sardegna. Certo salvaguardando le specificità dei due Atenei, ma ragionando almeno rispetto a una dimensione regionale. Per non essere provinciali, magari prendiamo come riferimento The University of California!

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