La Carta della Collina per l’autodeterminazione dei trattamenti sanitari di fine vita [di Pietro Ciarlo]

sla

1. Un tempo la morte era parte della vita. Morivano le donne che partorivano, i bambini che nascevano, i giovani nelle guerre. Troppo spesso erano le madri addolorate ad assistere i figli nella morte. Poi tutto è cambiato. La morte è diventata soprattutto un affare di vecchi. Quasi un peccato da nascondere, come la vecchiaia. Sempre più spesso, per l’allungamento della catena generazionale i nipoti non vedono morire i nonni. Le gerarchie della società dei consumi sono altre. Nel contemporaneo, però, le cose sono cambiate ancora. La diffusione di malattie che la medicina riesce a fronteggiare a lungo, ma non a sconfiggere, ha riportato la morte nella vita. Si è riproposto con forza l’interrogativo su come i viventi possano affrontare la fine della loro vita. Problema arduo che, prima delle divisioni della politica, mobilita la riflessione delle coscienze.

In piena onestà intellettuale di recente un punto vero e alto di interlocuzione si è avuto tra Walter Piludu, un laico gravemente ammalato di SLA, e il Sostituto per gli Affari di Stato del Vaticano Monsignor Angelino Becciu che a nome del Papa ha risposto ad una accorata lettera del primo. La conclusione di questo carteggio può essere riassunta in una sola parola: discutiamone. Può apparire troppo poco, ma può anche essere considerato uno straordinario punto di partenza. Finalmente la cultura dei non credenti può confrontarsi con la cultura dei cristiani, addirittura con il Papa, in un contesto di reciproco e sincero ascolto. L’idea di questa “Carta della Collina” nasce dal clima di buona volontà creatosi nel corso di un dibattito sul fine vita tenutosi presso la Comunità di recupero “La Collina” di Serdiana, fondata e animata da Don Ettore Cannavera. Dibattito dedicato a Walter Piludu e alla lettera di risposta del Papa.

Crediamo sia necessario affrontare questa tematica distinguendo diverse situazioni. In particolare quelle relative ai trattamenti sanitari, dalle altre riguardanti l’eutanasia e cioè i comportamenti attivi volti a determinare la cessazione della vita, problema grande e sentito anche questo ma che a nostro avviso deve essere trattato distintamente dal primo a meno di non voler generare confusioni e sovrapposizioni tra tematiche che, seppur finitime, restano e devono essere tenute nettamente distinte.

2. Il secondo comma dell’ art. 32 della Costituzione detta: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. In vero questa norma fu pensata a seguito delle barbarie perpetrate nei campi di sterminio nazisti, ma quando una norma ha una sua profonda ragion d’ essere supera le contingenze che ne hanno determinato l’adozione. Non a caso nel corso del tempo normative di diverso ordine e grado hanno riaffermato e sviluppato il diritto all’autodeterminazione del malato.

Sulla necessità del consenso informato, come esempi di legislazione nazionale, si possono citare l’art. 33 della legge 833 dell’ ormai lontanissimo 1978, legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, o il più recente art. 3 della legge n. 219/2005, “Nuova disciplina delle attività trasfusionali” . Anche la Cassazione esclude la possibilità non solo di trattamenti ma anche di accertamenti sanitari contro la volontà del paziente (cfr. Cass. civ., 28 luglio 2011, n. 16543. Cass. Civ. 16 ottobre 2007, n. 21748) come del resto la Corte costituzionale (Corte Cost. 2008, n. 438). Tra le fonti di diritto internazionale il richiamo è d’obbligo almeno alla Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 praticamente da tutti gli Stati europei, e ratificata dall’ Italia con la legge n. 145 del 2001, nonché l’art. 3 della Carta dei Diritti fondamentali dell’ Unione europea, data a Nizza il 7 dicembre 2000. Eppure.

Eppure, nonostante le inequivoche fonti nazionali, comunitarie e internazionali, non sono mancati coloro i quali nei casi più delicati hanno voluto ingaggiare battaglie contro il diritto all’autodeterminazione del paziente e, dunque, contro l’ordinamento vigente, sfruttando anche alcune incertezze giurisprudenziali. Tuttavia, l’esito di tali tentativi è stato il consolidamento, sia pure dopo lunghi travagli durati anni, di una giurisprudenza che ha definitivamente riconosciuto il diritto.

Ricordare alcuni dei casi più noti, è importante per la loro intrinseca portata pedagogica e perché mostrano come siano necessari ulteriori interventi normativi per rendere pienamente effettivo il diritto all’autodeterminazione del paziente, senza che si renda necessario affrontare defaticanti ostruzionismi e rischi giudiziali. Proprio in vista di questa necessità noi crediamo sia opportuno utilizzare un linguaggio quanto più possibile preciso e privo di indulgenze sensazionalistiche. Vogliamo conoscere e proporre, non suggestionare.

Nel 2004 una donna ha una gamba in cancrena, ma rifiuta l’amputazione. L’assessore al comune di Milano, Maiolo, si dice pronta a disporre un trattamento sanitario obbligatorio come se si trattasse di una malata di mente. Gli psichiatri e i familiari escludono tale ipotesi. Poco dopo la donna muore. Questo caso non contemplava alcun accanimento terapeutico, ma semplicemente il diniego del consenso alla cura.

Nel 2006 Piergiorgio Welby revoca il suo consenso ai trattamenti sanitari in corso e chiede la sedazione terminale. I giudici riconoscono il diritto di Welby che muore il 20 dicembre 2006, ma gli vengono negate le esequie ecclesiastiche e il medico che ha proceduto alla sedazione dovrà difendersi dall’ accusa di omicidio del consenziente dalla quale verrà definitivamente prosciolto solo l’anno dopo.

Eluana Englaro nel 1992 subisce un grave incidente che ne determina un coma irreversibile. Nel 1999, dopo sette anni, il padre Beppino nella qualità di tutore legale si rivolge una prima volta alla magistratura (giudice tutelare) perché autorizzi la sospensione del trattamento sanitario. Occorrerano altri nove anni di battaglie legali e di pronunce dei giudici perché il 9 luglio 2008 la Corte d’Appello di Milano autorizzi definitivamente il padre Beppino, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzata che mantiene in vita la figlia Eluana.

La vicenda, tuttavia, non si conclude quel giorno. Su iniziativa del governo Berlusconi il Parlamento solleverà un conflitto di attribuzione con la magistratura, conflitto dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale nell’ ottobre 2008. Ma non ancora non è finita. Nel febbraio 2009 il governo adotta un decreto legge per impedire la sospensione di alimentazione e idratazione dei pazienti in stato vegetativo, ma il Presidente della Repubblica rifiuta di emanare il decreto definendolo palesemente incostituzionale.

Nello stesso giorno, malgrado il monito del Presidente della Repubblica il governo approva un disegno di legge con gli stessi contenuti del decreto. Il lunedì 9 febbraio 2009, il Senato, nonostante in quel giorno osservi la chiusura, viene ugualmente riunito per discutere il disegno di legge. Il relatore di maggioranza usa toni molto accesi definendo Beppino Englaro un assassino, ma quella stessa sera arriva la notizia della morte di Eluana cui dal 6 febbraio erano state gradualmente sospese alimentazione e idratazione forzata.

Sono passati 18 anni dalla convenzione di Oviedo, 15 dalla carta dei diritti di Nizza. Nel corso di un decennio le drammatiche esperienze che abbiamo appena ricordato ed altre come quella di Walter Piludu hanno fatto fare decisivi passi innanzi all’ effettivo riconoscimento dell’ autonomia del malato nella definizione dei trattamenti sanitari. Il senso comune è cambiato. In questa evoluzione un ruolo importante hanno avuto molte posizioni espresse in ambito cattolico a partire dalle parole pronunciate da Papa Wojtyla alla fine della sua vita, all’ intensa riflessione del Cardinale Carlo Maria Martini sintetizzata nella celeberrima intervista che Egli volle rilasciare al Sole-24 Ore il 21 gennaio 2007, non a caso richiamata da Padre Teani Preside della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna nel corso del citato incontro tenutosi alla comunità La Collina. E infine si può richiamare la stessa lettera di monsignor Becciu scritta a nome di Papa Francesco.

Riteniamo sia giunto il momento di approntare una proposta di legge che, dando espressa attuazione all’ art. 33 della Costituzione e sistematizzando quanto già stabilito dalle fonti sovranazionali, nonché quanto emerso in sede giurisprudenziale, rimuova ogni residuo ostacolo all’esercizio della libera autodeterminazione del paziente in merito al consenso sui trattamenti sanitari.

3. Riteniamo opportuna l’ adozione di una legge che ribadisca e stabilisca quanto segue:

1) Il paziente o persona da lui in precedenza designata o il suo tutore legale, previa autorizzazione del giudice tutelare, può rifiutare o interrompere in qualunque momento qualsiasi trattamento sanitario.
2) Ai fini di cui sopra l’alimentazione, l’idratazione e la ventilazione forzata sono da considerarsi trattamenti sanitari a tutti gli effetti.
3) Nei casi di rifiuto o di interruzione dei trattamenti sanitari i medici curanti hanno il dovere di somministrare le opportune sedazioni.

 

 

Lascia un commento