Sardegna: non c’ è nessun peccato originale da riscattare [di Piero Bartoloni]

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Osservando dall’esterno il fenomeno “Monti Prama”, sembra che il sito archeologico e gli stessi “giganti” siano ammantati di un potere messianico, quasi nell’immaginario comune siano destinati a “riscattare” la Sardegna da chissà quale “peccato originale”. Da ultimo vi è una lunga dichiarazione dell’On. Mauro Pili, riportata dall’ANSA, in data 09.01.15, alle ore 15,28, che merita alcune considerazioni. Infatti, la dichiarazione critica e denuncia quello che, secondo il Deputato, è il lamentevole stato del cantiere archeologico. Lo stesso Pili coglie l’occasione per porre l’accento sul: “ … luogo simbolo che dovrebbe essere la culla della nuova rinascita della Civiltà nuragica e prenuragica …”. Le dichiarazione di Pili sono corredate da una foto che illustra una parte dello scavo ridotta pozzanghera dalle recenti cospicue piogge, per altro in precedenza molto invocate.

Innanzi tutto, urge una precisazione cronologica: la civiltà cosiddetta prenuragica ha poco a che vedere con il santuario/necropoli di Monti Prama e, a rigore, anche quella nuragica, poiché gli specialisti del ramo, correttamente pongono fine al cosiddetto periodo aureo della civiltà nuragica verso l’alba del XII secolo a.C. Dopo di ciò, i puristi dibattono addirittura se sia lecito chiamare nuragiche le popolazioni della Sardegna attive dopo il XII secolo a.C. Detto ciò, occorre ricordare che la Sardegna di età nuragica, cioè dal XV secolo a.C., come ogni regione del mondo antico, non aveva una identità nazionale, ma unicamente tribale, ed era suddivisa in cantoni, cioè porzioni di territorio in qualche modo racchiuse e distinte da “ostacoli” naturali.

Gli specialisti del ramo propendono per identificare questi cantoni con le antiche curatorie medievali, nelle quali era suddivisa la Sardegna nel periodo giudicale. E’ ovvio che, in totale assenza di una coscienza nazionale, ogni cantone nuragico svolgesse una propria politica, che lo distingueva da quelli contigui, con i quali poteva essere in pace o in guerra, a seconda degli eventi e delle necessità. Quindi, il cantone nuragico che corrisponde grossomodo all’attuale penisola del Sinis meridionale, era il solo proprietario del santuario di Monti Prama.

Le attuali ricerche, condotte in modo impeccabile dagli specialisti dell’Università di Sassari, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Cagliari, nel corso degli anni hanno posto in luce una serie di sepolture a pozzetto, che probabilmente ospitavano i resti di giovani guerrieri e che probabilmente erano sovrastate da statue più grandi del naturale. Dunque, il santuario era stato eretto forse anche per celebrare un piccolo fatto d’arme, grande per la sua comunità, che aveva coinvolto il suo “esercito” contro un nemico esterno. A quale comunità poteva appartenere questo nemico esterno?

Il santuario viene comunemente datato tra la fine del IX e la fine dell’VIII secolo a.C., dunque tra l’825 e il 725 circa, in un momento in cui l’unica comunità non autoctona che stava giungendo quasi alla spicciolata lungo le coste della Sardegna sud-occidentale ed era in corso di consolidamento era quella dei Fenici di Sulky, attuale Sant’Antioco. Sia detto per inciso che i Fenici di Tharros erano ancora di là da venire. Occorre notare che questa comunità antiochense era composta da una componente autoctona (prevalente) e da una componente orientale (minoritaria), quindi quest’ultima assolutamente non in grado di incidere militarmente nell’ambiente locale.

Resta dunque da individuare tra le comunità locali post-nuragiche il nemico contro cui fu combattuto il fatto d’arme e che fu celebrato con l’impianto della necropoli monumentale. L’unico cantone che confinava con quello del Sinis meridionale, noto con il nome di Campidano maggiore, era il cantone che fa capo a San Vero Milis, denominato Campidano di Milis, e al suo monumentale nuraghe di S’Uraki. Quindi, per concludere, si sarebbe trattato di un fatto analogo a quello che vide la leggendaria sfida tra Orazi e Curiazi, che è uno dei fatti alla base della saga della fondazione di Roma.

Una considerazione finale riguarda il legittimo desiderio di celebrare una tale scoperta archeologica, che pone la Sardegna su un piano storico artistico di assoluto livello. Per fare ciò occorre divulgare il contesto storico in modo piano, ma non criptico. A questo riguardo, lascia perplessi la pur raffinata pubblicità apparsa su un allegato settimanale di un quotidiano nazionale, la cui prima impressione non è quella di promuovere la grande cultura della Sardegna, bensì, forse, di spaventare i bambini.

*Archeologo. Università di Sassari

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