Che cosa è giusto chiedere a uno storico sardo? [di Maurizio Onnis]
Che cosa è giusto chiedere a uno storico sardo? Parecchie cose. Alcune riguardano il suo mestiere di storico e lo accomunano a chiunque si muova in tale campo di ricerca. Altre attengono al suo essere non uno storico francese, inglese, americano o italiano, ma sardo. Le prime sono le più elementari. Un bravo storico, scelto il periodo, il fatto o il personaggio di cui vuole occuparsi, ricostruisce la vicenda dell’uomo a partire dai documenti. Orali o scritti, materiali, iconografici. I documenti sono le sue fonti e lui le incrocia per testare la veridicità degli elementi che comporranno l’opera storiografica. Per quanto difficile, nell’analisi delle fonti lo storico si svincola da visioni e giudizi precostituiti, legati alla sua formazione, alle sue passioni politiche o, più largamente, allo spirito dei tempi. E procede a un’interpretazione delle fonti massimamente “laica”, che lo porta magari a conclusioni opposte a quelle cui immaginava di arrivare. Nell’edificare la propria interpretazione lega cause ed effetti valutando ragionevolmente il peso di ognuna di esse e non tralasciandone alcuna. In modo tale da giungere a un esito che, per quanto discutibile, sia solidamente basato sulle testimonianze del passato: non fa insomma pubblicità delle proprie conclusioni prima di essere sicuro di averle fondate sulla roccia. Il che lo mette al riparo dall’accusa di essersi mosso in modo ascientifico e ideologico. Un bravo storico, infine e soprattutto oggi, comunica efficacemente il suo pensiero al mondo. All’accademia, aggiungendo un tassello alla ricerca storiografica comune, e al pubblico. In una società democratica e alfabetizzata, infatti, il cittadino chiede e desidera legittimamente di essere informato sul passato, perché tale informazione lo aiuta a darsi un’opinione cosciente sul paese in cui vive e sul mondo. La diffusione della conoscenza storica è un antidoto potente alla manipolazione dell’opinione pubblica e una delle vie attraverso le quali essa può compiere scelte più saggie. Le stesse cose devono far parte del bagaglio professionale dello storico sardo. Precisiamole e vediamo cosa è giusto chiedergli in più.Lo storico sardo, innanzitutto, non teme e tantomeno si vergogna di qualificarsi o essere indicato come uno storico sardo. Sentiamo spesso dire e leggiamo, senza scandalizzarci, di storici di molte nazioni diverse. Come lo storico irlandese non può e non vuole essere confuso con lo storico inglese, o accomunato a lui sotto la dizione “britannico”, così lo storico sardo non può e non vuole essere confuso con lo storico italiano. Sulla stessa linea, quando la conosce e non gli è stata inibita dalla scuola, dalla famiglia o dalle convenzioni sociali, egli racconta le nostre vicende in sardo, la sua lingua madre. Lo storico sardo, come ogni altro, parte dai documenti. E se non li ha, perché magari si occupa di periodi o vicende poco noti, esplora il campo e gli archivi per trovarli e incoraggia gli esponenti di altre discipline a procurarli. Non ripiega su periodi o vicende già praticati da altri, ma contribuisce ad allargare lo spettro d’intervento della storiografia sarda a tutto, davvero tutto, il lungo e ricchissimo arco della nostra storia. In altre parole, ha il coraggio di battere strade nuove. Anche lo storico sardo si libera dai condizionamenti impostigli dall’ambiente in cui si è formato. Nel nostro caso, è facile capirlo, ciò significa liberarsi innanzitutto dalla visione che porta spesso a concepire la Sardegna e la sua storia come addentellati della storia d’Italia, di Roma, di Spagna o di qualsiasi altro “ospite” la nostra isola abbia “accolto” nei millenni. Da ciò viene una diretta e fondamentale conseguenza: la necessità di raccontare la storia dei sardi e della Sardegna partendo dal punto di vista interno. Vale a dire, partendo dal punto di vista dei sardi e abbandonando quel tono neutro e terzo che caratterizza troppa letteratura storiografica sulla nostra isola. Le vicende passate della Sardegna ci riguardano e ci toccano in prima persona, perché da esse deriva la nostra condizione attuale. Il distacco dello storico, necessario e appena richiamato, non è il distacco del cronista: è equilibrio, che non esclude partecipazione. Da ultimo, lo storico sardo deve essere capace, più di qualsiasi altro storico, di parlare alla sua gente. I sardi vivono d’identità posticce: quelle trasmesse dall’esterno e sedimentate dalla scuola, dalla famiglia, dai mass-media, o quelle, altrettanto deboli perché incerte storiograficamente, che provvediamo a darci una volta rifiutate le prime. In tali condizioni, dovere primario dello storico è ancorare la coscienza pubblica a una ricostruzione e interpretazione delle vicende dell’isola quanto più complete ed efficaci possibile. Il che si ha solo con una divulgazione di qualità. Su tale piano, lascia ben sperare l’incontro tra due mondi che raramente si sono finora parlati. E’ un altro paradigma quello che si è prospettato infatti nell’Iniziativa “Alla ricerca della storia perduta”: La trilogia giudicale di Vindice Lecis, organizzata dal Presidenza FAI Sardegna con la Delegazione ed il FAI Giovani di Cagliari Lunedì 9 febbraio 2015 nella Sala Convegni Fondazione Banco di Sardegna. E’ il primo di tanti appuntamenti di confronto tra storici di professione e romanzo storico, tra studiosi e insegnanti, del quale si è già parlato sulle colonne di questa rivista. Molti sardi oggi avvertono di essere una nazione a sé. Molti altri hanno una consapevolezza acuta della propria storia plurimillenaria. Agli uni e agli altri manca ancora la storiografia ampia e la divulgazione storica accurata che sorreggano questi sentimenti. È compito dello storico, prima che di altri, darsi da fare per colmare la mancanza. Non sono considerazioni di destra o sinistra. Non sono considerazioni antiquate.La consapevolezza di sé e del proprio passato, del proprio esistere nella storia come popolo, è la precondizione per giocarsela alla pari con chiunque altro. In definitiva, sono considerazioni di semplice buon senso.
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Davvero ben scritto. Nulla di meno e nulla di più di un onesto, diretto e anti retorico punto di vista su una questione che forse solo in questi ultimi anni si sta affrontando con la dovuta serietà