Ecco i tre referendum che salveranno i conti pubblici regionali [di Adriano Bomboi]
Torniamo sul tema del buon governo. Avete sentito l’assessore regionale Raffaele Paci sull’apertura del mutuo da 700 milioni di euro destinato ai lavori pubblici? Ha detto che “servirà a far ripartire l’economia”. La superstizione di Paci rientra in un ragionamento alquanto elementare: considerato che il settore edile sardo è uno di quelli maggiormente interessati dalla crisi, perché non dargli lavoro indebitando tutta la collettività? L’orientamento della Giunta Pigliaru non deve stupirci, se l’università di Cagliari dalla quale provengono molti docenti-assessori non brilla in alcuna classifica un motivo ci dovrà pur essere. Ed infatti fra le più complesse ragioni per le quali un territorio non riesce ad agganciare lo sviluppo vi è anche quella della scarsa trasparenza. Paesi più civili del nostro seguono ben altre politiche: in Svizzera lo scorso settembre si è tenuto un referendum sull’opportunità di aderire all’EXPO 2015 previsto in Lombardia. Agli elettori si chiedeva se fosse lecito usare soldi pubblici per partecipare ad un evento contrassegnato da vari casi di corruzione. In Sardegna invece un pugno di assessori ha il potere di vincolare il denaro e l’indebitamento dei contribuenti senza che la pubblica opinione abbia gli anticorpi per opporsi. Posso solo dirvi che un ipotetico Partito Nazionale Sardo a quest’ora avrebbe già proposto tre quesiti referendari attorno agli atti della Giunta Pigliaru: 2) Sei favorevole all’uso di ulteriori soldi pubblici per risanare i conti dell’ente idrico Abbanoa? 3) Sei favorevole all’indebitamento pubblico di 700 milioni di euro da impiegare per infrastrutture regionali? So cosa state pensando: ci sarebbero anche tante altre cose da chiedere e la farraginosa normativa referendaria non ci consente di sviluppare un rapido modello di consultazione popolare come quello elvetico. I sardi, abituati a mendicare assistenza, non hanno ancora maturato una valida cultura della trasparenza e della partecipazione politica. Ma se vogliamo limitare il potere clientelare di una politica stracciona che continua a dissipare le magre risorse della nostra Regione sarà bene valutare con serietà questi aspetti. Anche perché da questi aspetti dipenderà la crescita ed il futuro elettorale dell’indipendentismo sardo. E vi posso garantire che grazie ai tanti sardi oggi oberati dal fisco riusciremo a ripulire i santuari del voto. La realtà è particolarmente drammatica. Stando agli ultimi dati della CGIA di Mestre, il residuo fiscale della Sardegna è disastroso. Mentre dal nord Italia partono circa 100 miliardi di euro verso il resto del Paese (ogni cittadino lombardo devolve agli italiani più di 5.500 euro l’anno), la Sardegna ne riceverebbe in cambio ben 4,2 miliardi (pari a 2.566 euro a residente). La Sicilia sarebbe in testa al drenaggio delle Regioni settentrionali più virtuose, con – 8,9 miliardi di euro di saldo negativo. Non ci vuole molto a capirne le ragioni, al nord si cerca di lavorare, al sud si campa di assistenza. E finché i rubinetti rimarranno aperti, il politicantismo, come quello sardo, non cambierà. Bisogna tuttavia considerare – e la CGIA non ne tiene conto – che la Sardegna è una delle poche Regioni a pagarsi interamente da sola alcuni servizi, come sanità e trasporti. E che per decenni, a differenza della Sicilia, lo Stato ha indebitamente trattenuto miliardi di euro delle nostre entrate fiscali, mai pienamente restituite. Ovviamente tutto ciò non può servire da scusante: dobbiamo ridurre la spesa pubblica e razionalizzare i nostri servizi. La nostra sanità non può costare più di quella lombarda, e non possiamo indebitare i cittadini per entrare nel pantano dei cantieri pubblici, né per tenere in piedi carrozzoni politici travestiti da servizi essenziali. Chiunque guardi alla sola agenzia delle entrate sarda come panacea di tutti i mali non ha ancora compreso la gravità della situazione. La nostra isola gode di numerose eccellenze di mercato, sia nell’agroalimentare che in settori ignoti ai più, come nell’alta tecnologia della nautica (pensiamo alla NCO ogliastrina che costruisce per la Azimut Yachts, o la Novamarine di Olbia). Ma si tratta di realtà che rimarranno circoscritte se non avverrà un deciso cambio di rotta da parte della nostra politica. Pensiamoci.
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