Politica e Politiche energetiche [di Pietro Ciarlo]

fotovoltaico

L’articolo è una sintesi della Relazione tenuta in occasione dell’iniziativa “La buona terra. Fonti energetiche e impatto su suolo e ambiente in Sardegna”, organizzata dalla Presidenza regionale e dalla Delegazione di Cagliari del Fondo Ambiente Italiano, a Cagliari Giovedì 19 febbraio 2015 e che ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica la sottrazione del suolo agricolo alla produzione del cibo al di fuori di qualsiasi programmazione delle istituzioni autonomistiche della Sardegna. (NdR).

Le decisioni in materia energetica sono decisioni politiche. E’ così a livello planetario, a livello statale, a livello locale. Esempi. la caduta del prezzo del petrolio è stata accentuata dalla decisione dell’ Opec, presa a Vienna il 27 novembre scorso, di non ridurre i quantitativi estratti. La rinuncia italiana al nucleare è stata decisa con due referendum popolari. Si tratta di far maturare le condizioni perché decisioni politiche vengano assunte anche a livello regionale.

Il FAI ha organizzato tre incontri sui problemi dell’ energia in Sardegna, a Villasor, Milis e adesso Cagliari. Sempre sono intervenuti esperti, amministratori locali, cittadini. Gradualmente stanno emergendo dei convincimenti condivisi. Politici.

Innanzitutto il solare a terra, fotovoltaico o termodinamico che sia, è considerato inaccettabile. In effetti, si tratta di seguire le prescrizioni dello stesso ENEA. Infatti, nel suo libro bianco del 2011 l’ENEA affermava che il solare, oltre che nell’ edilizia, dovesse andare solo in siti irrimediabilmente compromessi come le aree industriali o le discariche dismesse. Ma purtroppo non è andata così, né in Italia, né in Sardegna. Finanche le colline dei Castelli Romani sono state tappezzate di pannelli fotovoltaici. Peraltro il bilancio sociale di questi impianti è del tutto negativo: i terreni su cui sono allocati vengono degradati in modo praticamente irreversibile, si distruggono posti di lavoro in agricoltura mentre se ne creano pochissimi sostitutivi. Non c’è un amministratore locale che li difenda.

Un secondo punto sta emergendo con forza. Tutti concordano sul fatto che la Sardegna non possa restare ancora senza metano. Molti ed io tra questi, ritengono, inoltre, che la nostra regione non debba restare isolata dalla rete europea e nazionale di questo gas. L’ UE ha fatto del metano la sua opzione strategica per i prossimi cinquanta anni. A Bruxelles si sta progettando un Unione europea dell’ energia che contempla una smart grid di distribuzione, una rete intelligente sul modello di quella elettrica, e una riserva strategica europea del gas. Tutto questo in coordinamento con il cosiddetto TSO (Trasmission System Operators).

D’ altra parte i Paesi Baltici o l’ Ungheria non saranno mai al cento per cento in Europa se continueranno a dipendere interamente dalla Russia per il loro gas. La Sardegna non può restare esclusa da questa grande rete. La Sardegna deve essere collegata al continente da un metanodotto che possa funzionare in un senso o nell’altro. Comunque. Che essa sia importatrice o esportatrice. Questa è la grande infrastruttura che la Sardegna deve chiedere e ottenere. Il metanodotto di collegamento con la rete nazionale è una decisione politica che si gioca tra Regione e Governo nazionale.

Non c’è più l’alibi degli algerini o del mondo. Ci saranno dei costi, sembra peraltro non eccessivi, ma vanno sostenuti in ogni caso. E’ come se si trattasse di una strada. Finanche Carlo Felice lo aveva capito e fece la sua parte.

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