Le carte del re [di Pietro Picciau]
La Relazione è stata elaborata per l’Iniziativa “Alla ricerca della storia perduta”. La storia vera di Diego Henares de Astorga di Nicolò Migheli Hombres Y Dinero di Pietro Maurandi Le Carte del re di Pietro Picciau sono i tre romanzi che hanno animato il II° secondo appuntamento organizzato a Cagliari dalla Delegazione e dal Fai Giovani di Cagliari con la Presidenza regionale FAI Lunedì 2 marzo 2015, ore 16:00 alla Fondazione Banco di Sardegna via S. Salvatore da Horta, traversa viale Regina Margherita/via Torino (NdR). Come ogni romanzo storico, “Le carte del re” rievoca fatti storici in un intreccio narrativo che mette insieme verità e invenzione. Le intricate vicende del decennio rivoluzionario sardo, iniziato nel dicembre del 1792 con l’arrivo della flotta francese al comando del contrammiraglio Laurent Truguet nel golfo di Cagliari, sono attraversate da personaggi realmente esistiti e da altri frutto di fantasia. Lo stesso narratore Julien de Barras, scippatore parigino scampato alla forca e alla Bastiglia nei primi giorni della rivoluzione, è sì testimone inventato di gran parte dei veri fatti rievocati ma è egli stesso, al pari dell’ex galeotto e pirata maltese Delbac, protagonista di un’altra storia “interna” al romanzo: quella che accompagna gli avvenimenti autentici che hanno avuto per interpreti il giudice della Reale Udienza e poi alternos Giommaria Angioy, il notaio e capopopolo cagliaritano Vincenzo Sulis, i viceré Vincenzo Balbiano e Filippo Vivalda, gli avvocati Pintor e Cabras, l’intendente generale Girolamo Pitzolo e il generale delle armi marchese della Planargia, il canonico Pietro Maria Sisternes, il giudice Giuseppe Valentino e tanti altri minori che fanno ormai parte (o dovrebbero) della memoria storica di tutti i sardi. Se leggere è come viaggiare, scrivere è tracciare gli itinerari di un più percorso letterario che, inevitabilmente, come ne “Le carte del re”, riserva sorprese e piacevoli riscoperte. Il romanzo è continuamente attraversato dallo spirito del secolo dei lumi. Se a Cagliari e in buona parte della Sardegna alla fine del Settecento avvengono gli episodi narrati – la cacciata dei Savoia nel 1794 e il fallito tentativo di porre fine al sistema feudale due anni dopo – è anche perché personaggi-guida come Giommaria Angioy si sono nutriti (è molto probabile che abbia letto l’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert) di istanze nuove provenienti dalla Francia rivoluzionaria ma, più in generale, dal clima di rinnovamento che attraversa l’intero vecchio continente. Se l’illuminismo afferma una visione laica dell’etica e della morale, si diffonde sulla spinta di importanti trasformazioni politiche, sociali ed economiche di pari passo con la crescita del ceto borghese, è innegabile che parte di questa spinta al cambiamento (si tenga conto che ci sono già state la rivoluzione americana, il giovane Napoleone Bonaparte sta scalando il potere e in Inghilterra si stanno sviluppando l’industria e l’agricoltura) invade ogni parte dell’Europa. Sardegna compresa, nonostante l’isolamento e la scarsa circolazione libraria. Se volessimo trovare un parallelismo con lo spirito del Settecento, la folle determinazione mostrata da Giommaria Angioy in marcia verso Cagliari nel tentativo di parlamentare con il viceré Vivalda sulla decisione presa dai vassalli logudoresi di riscattare in modo oneroso i feudi amministrati dagli esosi baroni, troverebbe una giustificazione proprio nel desiderio, tipico del XVIII secolo, di affidarsi alla ragione, ritenuta dai più illuminati guida del mondo. Com’è noto il progetto del giudice sardo (era nato a Bono nel 1751) fallì – non attecchì il suo progetto di far nascere una borghesia rurale da cui si sarebbe poi sviluppata una borghesia imprenditoriale capace di accelerare l’ammodernamento dell’arretrata economia isolana – e, costretto a fuggire, morì esule a Parigi nel febbraio del 1808. Il romanzo è storia ma anche pretesto. Se i fatti storici rievocati sono veri, il contorno è avventura, proposta in un quadro di verosimiglianza con la Cagliari e la Sardegna di fine Settecento. Il pretesto del decennio rivoluzionario consente di raccontare le viscere della città popolata da un’umanità che coniuga bisogno e protesta (contro gli arroganti Piemontesi), commerci e passioni, sesso e desiderio di un confuso riscatto sociale. Non mancano, poi, le insidie degli attacchi corsari: la minaccia delle incursioni barbaresche cesserà soltanto nell’800. Un romanzo su fatti avvenuti lontano nel tempo può contribuire, al pari di altri racconti, a recuperare pagine della nostra storia? Penso di sì. Proporre momenti del nostro passato – come questo in modo particolare, se si ritiene Giommaria Angioy un propugnatore della rigenerazione morale e materiale del popolo sardo – può e potrebbe trasformarsi in un contributo alla didattica. Al pari dei saggi storici, anche un romanzo può aiutare gli studenti ad appropriarsi con leggerezza della nostra storia comune. |