Dietro due delitti del Seicento, la Sardegna spagnola [di Pietro Maurandi]

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La Relazione è stata elaborata per l’Iniziativa “Alla ricerca della storia perduta”. La storia vera di Diego Henares de Astorga di Nicolò Migheli Hombres Y Dinero di Pietro Maurandi Le Carte del re di Pietro Picciau sono i tre romanzi che hanno animato il II° secondo appuntamento organizzato dalla Delegazione e dal FAI Giovani di Cagliari con la Presidenza regionale FAI Lunedì 2 marzo 2015, ore 16:00 alla Fondazione Banco di Sardegna via S. Salvatore da Horta, traversa viale Regina Margherita/via Torino (NdR).

Quando ho cominciato a occuparmi della storia che ho raccontato nel mio romanzo Hombres y Dinero, ero attratto dall’atmosfera di giallo che in essa si respira. Due delitti, due processi con risultati opposti e inaffidabili perché si trattava di processi politici. Insomma un giallo del Seicento cagliaritano. Ma quando sono a andato a leggere libri e consultare documenti per costruire il contesto della vicenda, mi sono reso conto che dietro i due delitti c’era ben altro, c’era la Sardegna spagnola, una cosa ben più complicata.

La Sardegna spagnola, dallo sbarco degli aragonesi nel golfo di Palmas fino al 1718/1720 è durata quasi 400 anni, più della Sardegna piemontese e italiana (regno e repubblica) messe insieme. Eppure la Sardegna spagnola è pochissimo conosciuta dai sardi, anche dai sardi di cultura medio-alta, come se fra i mitici giudicati e l’altrettanto mitica epopea angioyana vi fosse il vuoto, una specie di buco nero della storia.

Le cose non stanno così. E’ almeno dal 1500 che il Parlamento sardo (le Cortes de Sardinia), regolarmente convocato ogni dieci anni per l’approvazione del donativo, sosteneva di avere il diritto di condizionare il donativo, cioè di subordinare l’approvazione e la raccolta dell’imposta che la Sardegna doveva pagare alla Spagna all’accoglimento delle richieste del Parlamento sardo da parte del governo spagnolo. Gli spagnoli respinsero sempre questa idea, perché capivano (naturalmente lo sapevano benissimo anche i sardi) che essa sottintendeva che fra il piccolo regno di Sardegna e il grande regno di Spagna vi fosse una posizione di scambio, di contrattazione, e quindi un rapporto fra eguali. Il re di Spagna era il re di tutti ma i due regni stavano in una posizione di parità.

Questa questione fu sollevata praticamente da ogni Parlamento sardo. La disputa si accendeva regolarmente sul piano giuridico e restava irrisolta, nel senso che le Cortes de Sardinia si rassegnavano ad approvare il donativo e ad aspettare che il governo spagnolo accogliesse graziosamente le loro richieste. La situazione cambia registro nel 1666, quando si riunisce il Parlamento presieduto dal viceré Camarassa. Questa volta le Cortes non si limitano a sollevare la questione sul piano della disputa giuridica, la trasformano si direbbe oggi in una vertenza politica, perché decidono di non approvare il donativo fino a quando il governo di Madrid non avrà accolto le loro richieste.

Questo cambio di registro è reso possibile dalla straordinaria personalità di don Agustin de Castelvì marchese di Laconi, che in quel momento era la prima voce dello stamento militare. Don Agustin è si potrebbe dire un poco di buono. Figlio non primogenito di una delle casate più potenti del regno di Sardegna, è un uomo prepotente, rissoso, violento, pronto a usare la spada per farsi temere e ubbidire, incurante delle leggi e delle prassi consolidate. Senonché gli capita per caso di diventare il capo della casata dei Castelvì perché i suoi fratelli maggiori muoiono senza figli maschi. E ancora per caso gli capita di diventare la prima voce dello stamento militare. Quella carica toccherebbe agli Alagon marchesi di Villasor, di più antico lignaggio. Ma in quel momento il marchese di Villasor è minorenne, per cui la carica va di diritto alla casata dei Castelvì.

Davanti a queste responsabilità, don Agustin rovescia tutta la sua … sul piano politico, convincendo la grande maggioranza della nobiltà sarda ad assumere atteggiamenti più fermi e conseguenti di fronte alla Spagna, di cui peraltro tutta la nobiltà, e non solo, si sente parte integrante: è di origine, di cultura e di sentimenti spagnoli. Il marchese di Laconi riesce a convincere a non votare il donativo la maggioranza degli stamenti, militare, reale ed ecclesiastico. Quest’ultimo è guidato da un’altra straordinaria personalità, quella dell’arcivescovo di Cagliari don Pedro Vico, di nobile famiglia sassarese, che sarà un importante sostegno delle posizioni e dell’attività del marchese di Laconi.Fatto sta che don Agustin ha il sostegno di tutti e tre i bracci stamentari e viene da essi inviato a Madrid per trattare con il governo spagnolo. Era una prassi consueta, ma normalmente ogni braccio stamentario mandava una propria delegazione. Questa volta la delegazione è unica capeggiata dal marchese di Laconi a riprova della fiducia diffusa su di lui.

Don Agustin resta a Madrid per più di un anno. Nel corso delle trattative riduce le richieste, che in origine erano 25, alle 5 più importanti. La richiesta fondamentale è la riserva ai sardi delle cariche civili, militari e religiose del regno di Sardegna. Don Agustin non trova buona accoglienza a quelle richieste, al contrario una totale incomprensione. Ma lui resiste, non cede sulle cose essenziali. Resite alle minacce, di arrestarlo e di non farlo più tornare in Sardegna, e alle lusinghe, alle promesse di vantaggi e di prebende per sé e per la sua casata. Il risultato è che il governo spagnolo non accoglie nessuna delle 5 richieste.

Il marchese di Laconi torna in Sardegna sconfitto. Sbarca a porto Torres e viene accolto come il padre della patria, perché è stato sconfitto ma ha resistito, ha rappresentato senza deflettere gli interessi e le aspirazione dei sardi. Giunto a Cagliari, accolto anche qui come un eroe, riferisce al Parlamento dei risultati della missione e invita il Parlamento a resistere, a continuare a lottare e a non approvare il donativo. Nonostante tutte le pressioni messe in atto dal viceré, il donativo non viene approvato e il Parlamento per quel decennio non lo approverà.

Il marchese di Laconi deve subire l’onta di essere destituito da prima voce dello stamento militare e l’onta ancora più grave di essere sostituito dal marchese di Villasor, che è minorenne e che, secondo le norme vigenti, non potrebbe neanche di far parte dello stamento. Un mese dopo il suo rientro a Cagliari, il marchese di Laconi viene assassinato in un agguato nelle strade del Castell de Caller, nella Carrer Mayor, l’attuale via Lamarmora. Come reagisce la nobiltà sarda all’assassinio del suo capo? Reagisce con la vendetta, cosa consueta in quell’epoca. Un mese dopo, il 20 di luglio, il viceré Camarassa mentre rientra a palazzo in carrozza con la moglie e i 4 bambini, viene assassinato con una scarica di fucileria, nella carrer dels Cavalleres, l’attuale via Canelles, viene colpito solo lui, nessuno della sua famiglia.

Ma a parte la vedetta, come reagisce la nobiltà, cioè la classe dirigente sarda? In nessun modo. Fra l’uccisione del viceré e l’arrivo del nuovo passano 5 mesi, durante i quali la Sardegna è in mano ai sardi. Anche il reggente in assenza del viceré, don Bernardino Cervellon è un partigiano dei Castelvì. Inutilmente il nuovo capo dei Castelvì, don Jayme Artal marchese di Cea, viene sollecitato ad agire, a mettersi a capo dei miliziani che sono a sua disposizione nel convento di San Francesco, nell’odierno corso Vittorio Emanuele, per mettere la corona di Spagna davanti al fatto compiuto e trattare da una posizione di forza. Il marchese di Cea non agisce perché lavora per una soluzione pacifica da parte del governo di Madrid. Le cose non andranno così. Il nuovo viceré, che giunge a Cagliari a dicembre, ha un mandato ben chiaro: cancellare la ribellione e reprimere i ribelli. E’ quello che accadrà.

Della repressione e del tentativo di cancellare dalla storia la ribellione subì le conseguenze anche donna Francisca Zatrillas marchesa di Siete Fuentes e seconda moglie del marchese di Laconi. Il primo processo sull’assassinio di don Agustin, celebrato da giudici sardi, mise sotto accusa alcuni dignitari della corte viceregia. Il secondo processo, celebrato da giudici spagnoli dopo l’annullamento del primo, tirò fuori la tesi del delitti passionale: il marchese di Laconi era stato assassinato dalla moglie e dal suo amante don Silvestre Aymerich, i quali, per colmo di perfidia, convinsero i partigiani dei Castelvì che si trattava di un delitto politico e sollecitarono la vendetta.

E’ inutile andare a cercare dove sta la verità, entrambi erano processi politici. Ma la cosa importante è che con il secondo processo gli spagnoli, trasformando il delitto politico in una questione di letto, rendevano la stessa ribellione priva senso e di fatto la cancellavano dalla storia. La cosa più sorprendente è che questa manipolazione è pienamente riuscita. Quasi tutti gli storici, a cominciare dal Manno, avallarono acriticamente questa tesi, pochissimi la misero in dubbio, ancora più pochi la respinsero. Così Francisca Zatrillas fu a lungo presentata come una donna perfida e malvagia, una specie di dark lady all’origine di tutti i mali della Sardegna dell’epoca. Si possono fare conclusivamente due considerazioni che non riguardano solo i sardi di allora, ma riguardano proprio noi.

La prima è la scarsa determinazione nel concludere i problemi che si sollevano. Si è in grado di agitare e sollevare grandi questioni, in modo efficace e persuasivo, ma non si è in grado di portarle alla loro coerente conclusione. La seconda considerazione riguarda l’idea di uguaglianza fra la Sardegna e lo Stato più grande di cui fa parte. Questa idea i sardi in epoca spagnola l’avevano ben chiara, come si è visto.

Successivamente è andata del tutto smarrita. Non solo ovviamente con la fusione perfetta del 1848, ma anche con la conquista dello Statuto e dell’Autonomia, che resta il momento più alto di conquista di strumenti di autogoverno. Lo Statuto è stato approvato dall’Assemblea costituente in un testo diverso da quello approvato dalla Consulta regionale, una situazione giustificata dal fatto che la Costituente e non la Consulta era stata eletta a suffragio universale. Ma le cose sono rimaste così, nel senso che, almeno in linea di principio, il Parlamento italiano può modificare o annullare lo Statuto, anche a prescindere dal parere del Consiglio regionale.

Anche la conquista dello Statuto e dell’Autonomia, e l’attuale configurazione dei rapporti fra la regione sarda e la repubblica italiana, ha dunque smarrito l’idea di uguaglianza che aveva animato le posizioni e le battaglie dei sardi in epoca spagnola.

 

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