Credenze funerarie e religiose dei Nuragici e degli Etruschi (I) [di Massimo Pittau]
È del tutto certo che le “credenze e le usanze funerarie” costituiscono il nucleo essenziale di una etnia, la radice prima e principale di un “popolo”. Ciò avviene perché, nell’uomo come “essere vivente”, la “vita” in effetti costituisce una “lotta contro la morte”, quella che incombe in maniera continuativa e inesorabile su di lui, già dal suo primo nascere e lungo l’intero arco della sua esistenza. Oltre a ciò le credenze e le usanze funerarie, col loro carattere di radicalità ed essenzialità, in effetti costituiscono la causa prima e principale del nascere della “religione” fra i popoli, con la credenza in una vita dopo la morte e nell’esistenza di divinità che reggono e regolano questa “vita futura”, ad esempio premiando gli uomini onesti e castigando quelli disonesti. Ed è appunto questo il caso anche degli antichi popoli del Mediterraneo centro-occidentale, quello Nuragico della Sardegna e quello Etrusco dell’Italia centrale, popoli che vivevano in stretta vicinanza geografica fra loro: esistono numerose, evidenti e importanti prove di una notevole uguaglianza delle credenze e delle usanze funerarie di questi due popoli, le quali forniscono chiare e consistenti prove della loro effettiva parentela genetica e della loro connessione culturale e storica. Le navicelle funerarie. C’è da premettere che dal più lontano passato sino alla fine del secolo XIX dopo Cristo, gli uomini si sono mossi nel pianeta in maniera preponderante con la “navigazione”. Costituisce una evidente prova di ciò anche il fatto che il verbo italiano arrivare – assieme coi corrispondenti delle altre lingue romanze o neolatine – deriva dal linguaggio marinaro, col significato originario ed effettivo di “attraccare”, cioè di “raggiungere la riva”, dal lat. ad ripam venire. Da parte di alcuni antichi popoli del Mediterraneo, gli Egizi, i Greci, i Romani, gli Etruschi e pure i Nuragici, si riteneva che anche l’ultimo viaggio che effettuava l’uomo dopo la morte avveniva con una “barca” o una “navicella”. Il primo precedente di questa credenza molto diffusa probabilmente risaliva agli Egizi, dei quali sono note appunto le “navicelle funerarie”. Ma – come comunemente si sa – era molto diffusa tra i Greci e i Romani pure la credenza nel demone infernale Caronte, il quale traghettava con una barca o una navicella i defunti attraverso il fiume Acheronte o la palude Stigia verso l’ultima dimora degli Inferi. Come compenso del traghettatore esisteva l’usanza di mettere una moneta nella bocca del defunto oppure due sugli occhi (queste servivano anche per tenergli abbassate le palpebre). Questa credenza ed usanza esisteva anche tra i Sardi Nuragici: attorno a molti nuraghi dell’Altipiano di Abbasanta sono frequenti le urnette cinerarie di trachite che in un angolo della vaschetta hanno un piccolo ripostiglio per porvi appunto la moneta da pagare a Caronte (SardNur¹ fig. 23). Però nelle zone interne della Sardegna l’usanza ha resistito fino a mezzo secolo fa: secondo quanto mi ha riferito l’etnologa Dolores Turchi, in una tasca del defunto, prima del suo seppellimento, si soleva mettere una moneta. Fra i reperti della civiltà nuragica, a parte i nuraghi come costruzioni, quelli più conosciuti sono senza dubbio le “navicelle di bronzo”, continuamente riprodotte da disegni e da fotografie, ammirate e delucidate fin nei minimi particolari e – purtroppo – anche oggetto di scavi clandestini, di furti e di ampio commercio illegale. Alle navicelle di bronzo nuragiche vanno aggiunte le più semplici e anche rudimentali navicelle di creta, di cui ormai è stato raccolto un discreto numero nei nuraghi e nelle tombe nuragiche. All’ampia e meritata fama delle navicelle di bronzo nuragiche purtroppo non corrisponde una esatta opinione circa la loro destinazione e la loro nascosta simbologia: la quale era – a mio fermo giudizio – una destinazione e una simbologia “funeraria”. Le navicelle nuragiche di bronzo erano sistemate nelle tombe dei capitribù, dei loro figli, dei sacerdoti e dei più elevati personaggi delle tribù come offerta ai defunti per il loro ultimo viaggio verso il mondo degli Inferi. Le modeste navicelle di creta invece erano offerte, sempre funerarie e simboliche, fatte per i comuni defunti delle varie tribù. In alcune navicelle nuragiche di bronzo si trovano anche figurine di animali, bovini ovini suini e soprattutto colombe: si trattava di animali che venivano offerti in sacrificio alle divinità infernali affinché accogliessero con benevolenza il defunto che stava arrivando sulla navicella. Ciò in esatta corrispondenza con le figurine singole – sempre di bronzo – di bovini, ovini, suini e colombe che venivano offerti in sacrificio alle varie divinità, come simbolo e in sostituzione di vittime animali effettive da sacrificare ad esse. Quasi tutte le navicelle funerarie di bronzo hanno la prora costituita dalla protome o testa di un animale cornuto: toro, cervo, daino, muflone, ariete, caprone. Orbene, a prescindere dal fatto che quasi tutte le navi dei popoli antichi avevano una prora costituita dalla figura di un animale, per quelle nuragiche sono da ricordare alcune particolari credenze. In primo luogo c’è da precisare che la frequente presenza nei relitti della civiltà nuragica della “protome bovina” (ad esempio nella pianta delle “tombe di gigante”) era conseguente al fatto che molti popoli antichi ritenevano che il Sole e la Luna fossero due “divinità cornute”, la Luna per il suo “arco calante o crescente”, il Sole per le sue apparizioni nelle eclissi parziali. In secondo luogo, Diana o Iana, la dea latina della luna, della notte e quindi della morte, veniva dagli antichi intesa anche come una navicella che navigava nel cielo appunto per il trasporto dei defunti. La ritenevano inoltre armata di un “arco” – sempre quello costituito dall’astro calante o crescente – arma con la quale Diana andava alla caccia di “cervi”, cioè di un animale pluricornuto. Oltre a ciò sappiamo che l’arco lunare era ritenuto dagli antichi essere la “falce” con la quale la Morte procedeva a falciare e a far morire gli uomini. Le navicelle nuragiche hanno questa sola destinazione e questa unica simbologia “funeraria”, ragion per cui hanno errato in malo modo alcuni autori recenti i quali, in base alla forma delle navicelle di bronzo, hanno creduto di poter ricostruire quelle che sarebbero state le reali navi adoperate da Nuragici, sia navi da guerra sia navi commerciali da trasporto. Questo tentativo di ricostruzione era destinato al fallimento completo, dato che nessuna, proprio nessuna nave reale che fosse stata uguale alle navicelle nuragiche sarebbe stata in grado di navigare effettivamente. Inoltre è già molto significativa la circostanza che in queste navicelle non compaiono mai il timone, i remi, le vele e i rostri, non vi compaiono mai il timoniere né i rematori. Che le navicelle nuragiche avessero solamente una destinazione e una simbologia “funeraria” è dimostrato pure dal fatto che in molte di esse si vede bene che servivano come “lucerne”: offrono cioè una cavità adatta e sufficiente per accogliere l’olio con lo stoppino ed hanno spesso un anello per essere appese a una parete. Ed è pure evidente che la circostanza che queste navicelle nuragiche venissero usate anche come “lucerne sacre” offerte in voto, non pregiudica per nulla la loro simbologia “funeraria” di fondo. Alcune navicelle di bronzo presentano adesso i segni di aggiustature metalliche, le quali saranno state effettuate in epoca molto più recente da proprietari che le avranno adoperate per il comune uso profano. Sembra che siano state trovate globalmente circa 110 navicelle nuragiche e già questo numero elevato si spiega molto meglio in una prospettiva “funeraria” (la morte coinvolge tutti gli uomini!) che non in una prospettiva “profana” di semplice dono fra alcuni uomini. È ormai abbastanza noto che navicelle di bronze e pure di creta di tipo nuragico sono state rinvenute anche in tombe etrusche e precisamente a Populonia, Vetulonia, Bisenzio, Ostia, Cecina e di recente una a Gravisca. In una molto antica di Vetulonia ne sono state rinvenute addirittura tre, nella “Tomba delle navicelle” appunto. Globalmente ne sono state rinvenute in Etruria circa 20, e questo numero è già un fatto assai degno di nota. Dal ritrovamento di tutte queste “navicelle di tipo nuragico” in tombe etrusche non si è sino al presente tratta la sua logica e necessaria conclusione. Finora esse sono state interpretate come semplici “oggetti di lusso” di pura provenienza commerciale, deposti nelle tombe come corredo funerario di grandi personaggi. Senonché questa tesi si deve respingere con decisione: siccome quelle navicelle avevano dietro di sé una precisa “ideologia funeraria” – quella appunto dell’anima del defunto che faceva il suo ultimo viaggio verso l’oltretomba su una nave -, se esse sono state rinvenute in tombe etrusche, è evidente che in queste risultavano sepolti individui che avevano la medesima ideologia funeraria dei Nuragici. Pertanto è chiaro che quei defunti etruschi erano della medesima etnia dei Sardi Nuragici, o almeno erano imparentati geneticamente e culturalmente coi Sardi Nuragici. Su questo argomento non si può non pensare che abbiano raggiunto il piano del ridicolo quegli autori recenti che hanno scritto che le navicelle di bronzo di tipo nuragico trovate dentro tombe etrusche erano “lussuosi oggetti di regalo” che si scambiavano tra loro i membri delle aristocrazie nuragiche con quelli delle aristocrazie etrusche: siccome – obietto io – gli uni e gli altri conoscevano bene la valenza e la simbologia “funeraria” di quelle navicelle, è come se i membri delle odierne famiglie benestanti si scambiassero tra loro, in occasione delle feste di Natale, statuine di metallo prezioso rappresentanti “carri funebri”… *Navicella dalla Tomba del Duce di Vetulonia, detta l’ “arca di Noè” del VII secolo av. C. |