Brigata Sassari e altre storie [di Leonardo Mureddu]

Vado

Questi giorni si celebra il centenario della Brigata Sassari, corpo militare grazie al quale la Sardegna si distinse con grande onore nei vari conflitti, a partire dalla prima guerra mondiale. Non voglio elencare qui fatti di guerra e atti eroici, ma cercare di capire come ci si è arrivati. Ecco una breve storia, troppo breve per essere presa sul serio, ma che serve a spiegare l’eroismo e lo spirito che animava i “nostri” soldati. Questa storia parte dalla prima metà dell’800.

I sardi, come gli indiani d’America, non avevano bisogno di “possedere” i terreni di pascolo. Spostavano le greggi dove il pascolo c’era, e in genere ce n’era in abbondanza. Bastava seguire l’acqua, le stagioni, le pianure e le montagne. Moltissimi terreni rientravano in regime ademprivio, ossia comunitario, secondo una tradizione antica rafforzata da leggi provenzali e catalane. Tutte le risorse erano fruibili: legna, ghiande, selvaggina, funghi e naturalmente l’erba per gli animali.

Questo uso dei terreni favoriva gli spostamenti, e con gli spostamenti la diffusione di una lingua comprensibile da tutti, anche se non parlata da tutti: la lingua dei pastori del centro, il logudorese che in fondo è quello che ancora oggi somiglia di più alla Limba.

I Piemontesi, e poi i primi governi Italiani, avviarono la razionalizzazione dell’uso dei terreni, destinandone grandi quantità alla conversione agricola. Questa razionalizzazione cominciò nel 1823 col famoso editto delle chiudende, che di fatto istituiva la proprietà privata e la nascita del latifondo. E dunque verso la fine dell’800 molti pastori si trovarono a corto di pascolo, fortemente “incoraggiati” a vendere le greggi e indebitarsi con le banche per acquistare gli stessi terreni che prima erano a loro disposizione in quantità illimitata. Certamente si sentirono scippati da queste manovre, anche perché gran parte dei terreni non erano convertibili, e poco rendevano una volta disboscati e trasformati in campi da semina.

La storia naturalmente è molto più complessa di come la sto delineando, c’entra l’imposizione della lingua italiana in tutti gli atti amministrativi e nelle scuole, che è un po’ come se da oggi si decidesse di scrivere i rogiti notarili e i temi in tedesco, incomprensibile ai più, e c’entra anche una legge del governo Crispi, che scatenò una guerra protezionistica contro la Francia allo scopo di ridurre i traffici e rilanciare l’agricoltura e la pastorizia nazionali. Questa legge andava benissimo per i latifondisti padani, ma servì a mettere ancora più in ginocchio l’economia della Sardegna, che proprio con la Francia aveva avviato una politica di scambi commerciali molto fruttuosa.

Fu questa ulteriore chiusura di rubinetti che scatenò uno dei primi seri movimenti indipendentisti sardi. Le istanze erano molto semplici e chiare a tutti: vogliamo indietro i nostri terreni, vogliamo poter usare la nostra lingua. Cose del genere. Istanze così semplici fanno gola ai politici, che da sempre fanno campagne elettorali promettendo la soluzione di questi problemi.

Cosa restava da portar via ai sardi, all’inizio del ‘900, in cambio di queste promesse? Rispondo con le parole di Sergio Salvi, dal suo bel libro “Le lingue tagliate”, a proposito dei sardi nella prima guerra mondiale: “Le esigenze belliche portarono alla costituzione di un corpo regionale, la famosa Brigata Sassari, composto, si può dire, da tutti i sardi validi di età compresa tra i 18 e i 45 anni e comandato da ufficiali sardi. I contadini e i pastori [che niente sapevano della guerra n.d.r.] furono arruolati con la promessa della ridistribuzione della terra a guerra conclusa.

La brigata si batté molto bene al grido di “Forza paris!” (forza insieme) e sembra anche che i suoi reparti gridassero, negli assalti, “Avanti Sardegna!” invece del regolamentare “Avanti Savoia!” Lo stato italiano, che pure perseguitava coscienziosamente la lingua sarda nell’isola, permise addirittura che i fanti della Sassari si eccitassero al canto dell’Himnu sardu nationale, naturalmente in limba sarda, composto un secolo prima per i Savoia, ma in quanto re di Sardegna. I sardi lasciarono sul Carso 30.000 morti. Quando la vittoria fu finalmente conseguita e i reduci tornarono in Sardegna, la terra non venne però loro distribuita.”

30.000 vite umane, ecco cosa si poteva portare via ancora. In cambio, di concreto: medaglie, decorazioni, gloria per is dimonios.

*L’illustrazione “Vado” è di Enrica Massidda (xedizioni.it)
* *Tecnologo presso INAF – Osservatorio Astronomico di Cagliari

 

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