La scala di Liu [di Raffaele Deidda]
Fra i cinesi di nome Liu, Liu Xiaobo è sicuramente il più noto in occidente. Critico letterario e scrittore attivo da molti anni nella difesa dei diritti umani in Cina, è stato prima detenuto per “Incitamento alla sovversione del potere dello stato” e poi condannato a undici anni di prigione e a due anni di interdizione dai pubblici uffici. L’8 ottobre 2010 è stato insignito del Premio Nobel per la pace “Per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”. Liù è anche il nome di una ragazza di Pechino che fece da guida a me e ai miei amici durante un viaggio in Cina di diversi anni fa. Seppi da lei che Liù in cinese significa “Rondine che vola a primavera”. Il suo italiano non era perfetto ma riusciva a farsi capire e, soprattutto, coglieva con immediatezza le nostre richieste ed esigenze e si impegnava con tutte le energie per soddisfarle. Intelligente, molto curiosa, voleva apprendere quanto più possibile le particolarità della lingua italiana. Rideva divertita quando noi, in fase ludica, citavamo l’espressione sulcitana “E chinnè chi na chi no!”, (ma chi è che dice di no!) foneticamente vicina al cinese, di cui le avevamo spiegato il significato. Liu raccontava con amore e trasporto storie leggendarie e aneddoti della sua terra. Accennò anche ad una storia recente e vera. Una storia d’amore, bellissima. Quella di un altro Liu, uomo umile ma sicuramente eroico. Liu Guojiang aveva diciannove anni quando s’innamorò perdutamente di Xu Chaoqin, una vedova di 29 anni madre di due figli. L’amore era corrisposto con tenerezza e tanti erano i mazzi di fiori che il ragazzo inviava alla sua amata. Alla loro passione si opponeva però il peso della morale e dei tabù di una società cinese con forti condizionamenti culturali. Gli amici e i parenti di Liu criticavano la relazione in quanto, oltre la differenza d’età fa i due, Xu aveva due figli. In quell’epoca, in Cina, il fatto era moralmente inaccettabile. I due decisero comunque di vivere insieme ma, per evitare pettegolezzi e critiche, si stabilirono nella provincia di Jiangjin, a sud di Chong Qing. La loro casa fu una grotta sulla montagna. La vita era dura, senza elettricità e spesso senza il cibo necessario per alimentarsi. Xu domandava spesso a Liu: “Sei pentito?” ma lui rispondeva sempre: “Vedrai, col lavoro la nostra vita migliorerà”. Liu cominciò a costruire, e continuò per decenni, una scala sulla montagna. Voleva che la sua donna potesse scendere a valle con facilità. Cinquant’anni dopo, nel 2001, alcuni escursionisti scoprirono con stupore i 6000 gradini fatti a mano e conobbero la coppia di anziani che abitava sulla montagna. La notizia cominciò a diffondersi. Aveva settantadue anni Liù quando, tornato alla loro abitazione dopo una giornata di lavoro nel terreno strappato alla roccia, si accasciò ai piedi di Xu. Lei si sedette accanto a lui e pregò per la sua anima, prima di vederlo morire fra le sue braccia. Trascorse tanti giorni ripetendo mestamente: “Mi avevi promesso che ti saresti preso cura di me fino al giorno della mia morte. Te ne sei andato invece prima di me, come posso io adesso vivere senza di te?“. Uno dei figli della coppia ha raccontato che i suoi genitori si sono amati profondamente, sempre. Solo la morte aveva potuto separarli. La storia di Liu e Xu è poi diventata nota ai più solo nel 2006, quando il settimanale “Donne Cinesi” l’ha riportata. Da allora il governo locale ha deciso di trasformare in area museale la scala e la grotta dove vissero Liu e Xu. Ora la loro storia vive per sempre. Sarebbe bellissimo poter tornare in Cina e andare a Jiangjin, magari accompagnati dalla guida Liù. Salire i gradini di quella scala e visitare quel singolare museo, teatro di una fantastica storia d’amore. |