Cagliari ai tempi della cultura. Intervista a Carlo A. Borghi[di Roberta Vanali]
Cultura e arte contemporanea a Cagliari tra passato e presente. Dalla Galleria Arte Duchamp allo Spazio A, dalla gestione della Galleria Comunale ai tempi di Ugo Ugo a quella contemporanea di Anna Maria Montaldo fino all’attuale stato di decadenza in cui la città versa. Ne parliamo con “l’arteologista” Carlo Antonio Borghi. “L’ombra del mare sulla collina” di Mauro Manca, opera premiata alla Biennale di Nuoro nel 1957, ha fatto sì che il contesto isolano si aprisse ai fermenti nazionali ed internazionali in materia d’arte contemporanea. In quale modo e quali furono i protagonisti successivi alla svolta? Quando Mauro Manca mise fuori L’ombra del mare sulla collina avevo otto anni e mi rifiutavo di disegnare qualsiasi cosa, sia a casa che a scuola. Solo ghirigori tracciati sui muri usando un pezzetto di carbone sottratto al carbonaio sotto casa. Quell’opera l’ho conosciuta all’inizio del mio corso universitario in Lettere Moderne-Indirizzo Artistico, nel bel mezzo delle lezioni di Marisa Volpi Orlandini. Definisco Mauro Manca così: un astrazionista, ovvero un astrattista azionista. Quella è un’opera spartiacque e spartiombre. In quell’ombra del mare ci ho sempre immaginato diversi pesci, i quali non avendo palpebre vanno a ripararsi dal sole battente nelle zone d’ombra proiettate sul mare. Da arteologista, ovvero arteologo-azionista, riesporrei quel magnifico quadro appeso al muro di una camera da letto con un letto disfatto, una porta semiaperta sul bagno, un telefono a rotella e a cornetta e una radio del tipo a valvole… come nelle scenografie delle pièces de poche di Cocteau. A quel quadro da camera fecero seguito le opere degli artisti riuniti in un’altra camera: lo Studio 58. Quale fu il ruolo della Galleria Arte Duchamp a Cagliari tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta? Arte Duchamp 1 – Cagliari – piazza Gramsci. Arte Duchamp 2 – via Marche – Cagliari. Arte Duchamp 3 – via Satta – Cagliari. Arte Duchamp 2 occupava il piano terra di un gran palazzo di nuova costruzione. Edilizia moderna. Grandi saracinesche e grandi vetrate sulla strada. Il palazzo si trovava e ancora si trova ai margini del quartiere di Villanova, lato orientale, dalla parte della birreria Ichnusa e di Casa Barrago, poi sede della Soprintendenza Archivistica. Pochi passi più in là la Città dei Matti o Ospedale Psichiatrico o Manicomio. Era il mio stesso quartiere di provenienza. Villanova-La Vega. Io stesso sono nato in via Marche, per poi andare ad abitare in via La Vega e di seguito in via Piemonte. Tutto intorno a piazza Kennedy, ex piazza Pirri. Alla Galleria Duchamp, dal Sessantotto in poi, ho avuto modo di conoscere e di entrare in amicizia con gli artisti appartenenti allo Studio 58. Da allora non ho più potuto fare a meno di persone come Rosanna Rossi, Gaetano Brundu, Tonino Casula, Primo Pantoli, Mirella Mibelli, Angelo Liberati e diversi altri che, nel tempo, hanno assicurato a questa città una presenza nel panorama dell’arte contemporanea. Ancora lavorano e lottano insieme a noi, a colpi di pennelli, forbici, colle, tenaglie, trapani… contro la mediocrità e anche contro la spesso debordante e traboccante crossmedialità. Quali erano gli artisti e gli intellettuali più attivi che gravitavano intorno alla Galleria? Per anni le inaugurazioni di mostre alla Duchamp sono state occasioni di incontro e di relazione con tanti artisti innovatori e anche con storici dell’arte come Corrado Maltese, Marisa Volpi Orlandini, Marisa Frongia e Salvatore Naitza e con storici dell’arte classica come Fausto Zevi e Mario Torelli e con antropologi culturali come Ernesto de Martino e la sua equipe e con storici del teatro come Gigi Livio. Tutti titolari di cattedra nell’università cagliaritana. Intanto oltremare la performance-art e l’Arte Concettuale mettevano in subbuglio e a soqquadro i luoghi destinati alle arti visive, portando il corpo al centro della scena. Erano i bei tempi di Frigidaire, Thélema e Spazio A. Quanto è stato importante il ruolo di Placido Cherchi? Placido Cherchi è stato un amico. Un formidabile decifratore della modernità in tutte le sue forme. Non c’era argomento di cui non si potesse parlare con lui in privato o in pubbliche occasioni di incontro e di discussione. L’ultima volta che l’ho incontrato succedeva nell’ambito di un convegno regionale sulla danza contemporanea, alla Ex Vetreria di Pirri. Così come me, pensava che la danza contemporanea, in tutte le sue forme, potesse incorporare ed incarnare gran parte delle possibilità espressive delle arti visive. Un movimento e un moto perpetuo in sincrono con le meccaniche concentrazionarie o centripete della scena urbana. Quando penso a lui, lo rivedo andare su e giù per la spiaggia del Poetto o seduto su una seggiola di legno a Spazio A davanti a un Mario Mieli, un Steve Lacy, un Aldo Braibanti, un Massimo Urbani. Dovunque si presentasse finiva per essere il genius loci di tutto il contesto. Quali altri spazi o contesti davano modo di confrontarsi? Arte Duchamp in città e Spazio A… poco più in là, lì dove Cagliari diventa Pirri. Spazio A aveva iniziato la sua attività in via Cuoco e l’aveva chiusa in Piazza Martiri, di fronte alla rinomata pasticceria Tramer e a fianco all’altrettanto rinomata Salumeria Lombarda. Attività chiusa per mancanza di pubblici sostegni. Dentro il capannone è passata molta dell’avanguardia musicale e teatrale nazionale e internazionale. Il ricordo delle maratone cinematografiche di quel cinestudio è rimasto nel cuore e nella memoria di tanti tesserati, allora giovani scapigliati e pronti a tutto. Molti degli attuali operatori teatrali e organizzatori si sono allenati, addestrati e formati a Spazio A… ma di Spazio A… restano pochi reperti. Il suo archivio fotografico andò perduto in un incendio, nel Bronx. Era un archivio da viaggio e seguiva Sandro Dernini a New York. L’idea era quella di trasformare Spazio A in Plexus, come poi in parte è stato. Era stata Marilisa Piga proprio insieme a Sandro Dernini a fondare Spazio A in forma di associazione cinestudio e in forma di cooperativa culturale nel 1976. Sono passati 37 anni e molti lo rimpiangono. Quali differenze riscontri tra la realtà artistica dell’epoca e quella contemporanea? Impossibile rispondere a una botta di domanda come questa se non citando Albert Camus quando scriveva: “Mi rivolto dunque siamo.” Stop… and go… on the road to nowhere. Parliamo della Galleria Comunale d’Arte. Quali sono stati i meriti di Ugo Ugo negli anni della sua direzione? Se Cagliari possiede una collezione d’arte contemporanea capace di manifestare le tendenze della ricerca artistica della seconda metà del 900, lo si deve a Mr. Ugo Ugo. Aveva un occhio speciale e ultra vedente, anche un occhio d’artista oltre che di curatore, tanto da poterlo chiamare in anagramma, ogu-ogu. Negli anni Ottanta molti giovani artisti sardi hanno potuto esibirsi a vista e in corpore praesenti negli ambienti della Galleria Comunale, confrontandosi con quella istituzione culturale pubblica. Lo dobbiamo a lui. Portavano un nuovo carico di sperimentazioni e di contaminazioni tra le arti, le performing arts. Dobbiamo tutto a Ugo Mr. Ugo, come nel caso del sottoscritto che nel 1982 espose Sea-Sun-Sand and Sex as Sardinia. Senza le sue battaglie, l’arte contemporanea in città sarebbe rimasta un miraggio ed è per questo che l’attuale dirigenza culturale dovrebbe con coraggio e lungimiranza citarlo ben più e meglio di quanto non abbia fatto anche in occasione della riesumazione della sua collezione. Quando lo sento al telefono, il mio sangue di performer scorre meglio e si riossigena. Il tuo parere sull’attuale direzione della Galleria Comunale. L’attuale Galleria Comunale ha perso quella capacità di movimentazione e di innovazione artistica, scientifica e intellettuale che aveva posseduto proprio ai tempi di Ugo Ugo e delle sue illuminate curatele. Una pubblica galleria dovrebbe essere una fabbrica di idee destinate al recupero del recente passato contemporaneo. Una forma di arteologia, corrente e battente. In più, dovrebbe dare occasioni e opportunità utili per l’identificazione e la generazione di nuove forme di arte urbana. Nel 1984, proprio in quegli ambienti veniva presentata la prima vera mostra storica e scientifica su questa città. Il titolo era: Cagliari-storia e immagini di una forma urbana. Se ne è perso perfino il ricordo e sono passati appena 30 anni, 29 per l’esattezza. Quali artisti contemporanei sardi emergono per qualità e attualità della ricerca? Impossibile rispondere per filo e per segno a una botta e botto di domanda come questa. Filo e segno d’artista. Metti Maria Lai per il filo e Rosanna Rossi per il segno. Faccio solo altri due nomi, entrambi di donna, per fortuna: Monica Lugas soprattutto con il suo Lunadiga e Marta Anatra, in particolare con il suo L’architetto verde e/o Intrigo Internazionale. Aggiungo un terzo nome, ancora di donna: Ornella D’Agostino, in special modo per i suoi Paesaggi Interrotti e in cerca di Approdi, sempre in bilico sulla linea di confine che separa un site of imagination da un site specific. Sempre in linea d’ombra. Cosa pensi dell’operazione ai danni del murale di Pinuccio Sciola in Piazza Repubblica? Del caso murale di Sciola in città, continuo a pensare ciò che ho scritto recentemente in Alfapiù di Alfabeta Due e che è stato riproposto in Sardegna Soprattutto. Aggiungo solo che Cagliari non è un posto delle fragole, e neanche un luogo per murales e neppure un habitat per fichi d’india. Qual è la formula per salvare Cagliari dall’attuale stato di decadenza culturale? La formula è: bidibodibù-bidibodiyè… bidibodibù-bidibodiyè. Come a Carosello nel 1966 per le reti e i materassi Ondaflex e con le voci del Quartetto Radar. *Critico d’arte contemporanea |
Cicci, è un ottimo storico della città ed anche dell’arte in Sardegna, per fortuna indipendente da tutti, credo anche da se medesimo. Struggente il ricordo del primo Spazio A in via Cuoco a Pirri, fu scandalo per l’intellighentzia casteddaia, e fu lungimiranza di Marilisa e Sandro, resistette un paio di anni prima cineforum con autori sconosciuti in particolare ricordo la rassegna latino-americana, dove altri avevano paura di citare anche solo i nomi dei registi, era il tempo delle dittature feroci in Grecia, Cile, Argentina per citarne alcune, ma non eravamo pienamente coscienti che anche ad Est vi erano altrettanto carneficine in nome dell’uguaglianza. Venne la stagione del jazz, e fu la scoperta per i Sardi di un cosmo musicale, diverso, non omologato e fuori dai circuiti commerciali. Chissà se non fu questo a creare le condizioni per cui Spazio A fu demolito nell’organizzazione e infine trasferito e chiuso in piazza Martiri. Nasceva la grande stagione degli eventi commerciali e moriva quella delle piccole sale teatrali e musicali. Non essendo addetto ai lavori, la mia piccola analisi è decisamente partigiana. Asibiri tottus in pari e in Paxi.
Se può interessarvi negli anni d’oro di Spazio A in via Cuoco a Pirri, ho fotografato in dia, vari eventi musicali, se volete pubblicarle dovete dirmi come fare ( io attualmente non dispongo della attrezzatura necessaria per inviarvele,