Tu no, sei femmina [di Giorgia Satta]
Otto figli. Quattro femmine e quattro maschi, mamma, babbo: la mia famiglia. Una famiglia modesta, un’educazione rigida nella Sardegna degli anni sessanta. Mia madre era una donna forte, non incline alla tenerezza verso i figli. Non perchè non le fosse congeniale, ma ”l’educazione” richiedeva un atteggiamento fermo e credo che lei si violentasse un po’ il carattere per apparire così. Sono stata una bambina ”disobbediente”, con dentro un senso di ribellione per tutto quello che ai miei occhi non era giusto. Questo in casa mia provocava scompiglio e mi procurava punizioni e scappellotti in abbondanza che mi “mettevano a posto” solo esteriormente, mentre servivano solo a far ribollire dentro di me un carattere non docile e refrattario a regole incomprensibili per una bambina della mia età. In quegli anni era obbligatoria solo la scuola elementare e io avevo appena finito la quinta. Avevo finito la scuola! Mia madre mi aveva preso da parte una mattina e con fare spiccio mi aveva spiegato che era ora che cominciassi a prendermi responsabilità da piccola donna. Non era più il tempo dei giochi, dovevo dare una mano, imparare come si tiene una casa. Eh, sono tante le cose da fare in una casa per la donna! Sentivo che il discorso stava prendendo una brutta piega. E la scuola? Mi piaceva andare a scuola, ero brava. La maestra leggeva a voce alta i miei compiti, le mie compagne mi invidiavano un pò per questo e io ne provavo soddisfazione. “La scuola?”- rispose mia madre- “Non ci sarà scuola, tu sei femmina! Sai leggere,sai scrivere,sai fare i conti e questo basta per la vita di una donna che viene da una famiglia modesta. Non ti serve di più! A scuola ci andranno i tuoi fratelli, che loro devono portare il pane a casa.” Realizzai in un attimo che anche mia sorella era a casa da tre anni, da quando aveva finito la quinta elementare, ma non avevo mai pensato che questo dipendesse dal fatto che fosse femmina. Non mi ero mai chiesta il perchè, lei non si era mai lamentata e già sapeva ricamare e fare tante cose. Pensavo fosse una sua scelta, non ci avevo mai riflettuto, era così e a lei andava bene. Non fu un bel momento, avevo ascoltato tutte le parole di mia madre ma di quanto mi aveva detto mi era rimasto in mente solo “Niente scuola, sei femmina!” Quelle parole divennero il mio pensiero fisso. Sentivo nel mio profondo che era una cosa ingiusta, che non poteva essere, che non avrei accettato questa ”regola”, che….Ma come fare? Contro chi combattere? Non pensavo ad altro, dovevo risolvere quel problema e aspettavo che si presentasse un’occasione per trovare una soluzione. Frequentavo la parrocchia. Una mattina, sulla scrivania del parroco, una busta catturò la mia attenzione. Ci guardai dentro, c’erano dei soldi. Eccola la soluzione: duemilacinquecentolire! Giusti per pagare la tassa d’iscrizione alla scuola media. Però dovevo rubare, l’avrei fatto? Si, avrei rubato! Li presi, feci il versamento alla posta, mi iscrissi alla prima media falsificando la semplicissima firma di mia madre e aspettai che scoppiasse la guerra. Ricordo molto bene il tumulto del mio cuore in quei giorni, aspettando non so che cosa. Il parroco era una brava persona e mi conosceva bene. Non so perchè domandò a me, per prima, se avessi toccato una busta che era sulla sua scrivania. Avvampai per la vergogna, sentendomi costretta alla resa dei conti. In fondo però ero contenta di essere stata scoperta, volevo che tutto venisse a galla in qualunque modo. “Si, sono stata io”, ammisi e spiegai tutta la circostanza. Dissi al parroco: “Non posso rinunciare alla scuola solo perchè sono femmina, è un’ingiustizia troppo grande!”. Lui capì benissimo il mio dramma, era davvero una gran brava persona. Non giustificò però il mio gesto. Mi ripetè. “Non si ruba, non si ruba. Si cercano altre strade, dovevi parlare con me!”. Mi mandò a casa. Parlò certamente con mia madre ma non seppi mai cose le disse. Dopo qualche giorno mia madre mi chiamò da parte. “Ecco, ci siamo”, pensai preparandomi alla punizione più grande di tutti i miei verdi anni. Invece no, ricordo ancora quello sguardo che celava un’espressione strana, non di rabbia ma quasi di rispetto. Disse “Andrai a scuola e ci andrà anche tua sorella, ma studierete dopo aver sbrigato le faccende di casa”. Dopo l’esame di ammissione andammo alla scuola media io e mia sorella, quella maggiore di tre anni. Dopo di noi anche altre due sorelle sono andate a scuola. Mi è rimasto da allora il senso di ribellione contro ciò che non ritengo giusto, anche se ho perso tante battaglie. Non ho mai perso, però, la voglia di sfidare la vita.
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Ho letto quest’articolo attratta dalla foto che mi pareva così simile a quelle scattate a scuola quando frequentavo le elementari.Un rito che si compiva ogni anno e che era atteso come un premio.
Allora non mi facevo domande e pensavo che andare a scuola fosse un dovere.Ci andavo volentieri, anche se la mia timidezza mi metteva in difficoltà.Da grande ho scoperto quanto questa mia esperienza fosse importante per mia madre.
Nella sua famiglia erano quattro figli: tre femmine e l’ultimo, finalmente il maschio tanto atteso.
Le prime due, furono messe a lavorare nell’ufficio postale di famiglia, appena finite le primarie.
Grazie a loro, gli ultimi due poterono continuare gli studi.
Mia madre e mia zia raccontavano sempre che, se i fratelli erano istruiti e potevano ricoprire delle cariche importanti, era solo grazie al loro sacrificio.
Per tutta la vita hanno sofferto quest’ingiustizia e anche se allora il rispetto per i genitori era cosa incontestabile, hanno finito per disprezzare anche i fratelli.Scrivo questo per far capire che una discriminazione come questa non colpisce solo “la mancata istruzione di un genere”, ma ha creato fratture all’interno delle famiglie che non si sono mai sanate e che hanno segnato il destino di figli e nipoti…Oggi che vedo i miei di nipoti andare a scuola con visi da patibolo…disprezzando tutto quello che gli viene offerto…penso agli occhi pieni di lacrime di mia madre, che avrebbe dato tutto per poter dimostrare al mondo che era una donna intelligente e sensibile e che sarebbe stata anche lei “importante per la società” e il mio cuore si incupisce.