Quel mosaico “deportato” a Torino [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 22/04/2015. La città in pillole. Nel quarto secolo ci fu a Cagliari un’intensa attività edilizia. Fu un secolo lungo il IV secolo. Esordì con Diocleziano e Costantino, protesi a dare una svolta al III secolo definito triste in una mostra romana. Il primo con le persecuzioni ai cristiani e con opere pubbliche senza eguali tra cui a Roma l’omonima terma di 13 ettari, oggetto di mirabili allestimenti. Il secondo con l’Editto di Milano del 313 che trasformò il cristianesimo in “religio licita”. L’Africa e l’Asia erano già a Roma perché da tempo esprimevano classi dirigenti di un impero di cui rielaborarono la grammatica del governo. Ranuccio Bianchi Bandinelli scrisse che la nostra contemporaneità continua ad essere parte di quell’epoca. Abita cioè la fine di un mondo che non vuole morire e che si ripropone di continuo. Che cosa sono il recupero e la rielaborazione della sua estetica se non il reiterarsi di quel tempo e della sua complessità? Uno sguardo ad un libro di storia dell’arte o di design conferma il senso di quell’affermazione. Meno superficialità su quanto sta accadendo nel Mediterraneo ci interroga, al contempo, sul perché la storia insegni così poco. Il IV secolo fu soprattutto il secolo di Ambrogio, Teodosio, Damaso, Agostino, del cagliaritano Lucifero. Vivevano nel vortice della crisi convinti che la loro fede fosse l’unica traiettoria. Tale certezza coinvolse Diocleziano e Costantino, attribuendo al primo nefandezze, compreso il martirio di Saturnino, e al secondo un’aura messianica ma anche l’annessione al palatium di porzioni del suburbio cagliaritano. Il IV secolo, lungo fino all’arrivo dei Vandali a metà del V, visse a Cagliari un’intensa attività edilizia e produsse mosaici di pregio. Emerge quello di Orfeo, deportato a Torino dai Piemontesi. Chiediamolo in prestito perché Cagliari sia capitale italiana della cultura non solo di nome. |