Su Majolu, una figura d’altri tempi [di Dario Loddo]
Su majolu era un termine molto in voga nella Cagliari tra sette, otto e primi del novecento oggi definitivamente caduto in disuso nella parlata cagliaritana e sarda. Nel suo significato più autentico majolu è il vocabolo sardo che indica la tramoggia o meglio lo strumento della mola asinara sarda che consentiva che il grano precipitasse nella tramoggia con tempi cadenzati e regolari. La tramoggia, strumento dell’attività agricola del passato, oggi è presente nei musei locali sul lavoro agricolo mentre prima era presente in ogni famiglia. Su majolu è una componente della mola ed in particolare un piccolo imbuto in legno dove appunto si versava il grano per essere macinato. A Cagliari, capoluogo sardo e centro urbano molto vivace per traffici di merci e persone, al contrario aveva un significato completamente differente. Indicava gli studenti che, per mantenersi agli studi in città, si mettevano, in cambio di vitto e alloggio, al servizio delle famiglie nobili e benestanti, con il compito di accompagnare le signore e i loro familiari alle visite di famiglie parenti e amiche, alle funzioni religiose, al mercato per fare la spesa o anche a portare la lanterna quando i padroni andavano a veglie o a teatro. Si pensi che allora non esisteva la pubblica illuminazione e le strade erano semibuie e pericolose. Diventava quindi indispensabile portarsi dietro la lanterna e poiché era un d’impiccio di non poco conto si incaricava di tale compito su majolu. Certamente impersonava una figura popolare che acquisì l’appellativo dalla particolare forma del cappello che tanto assomiglianza all’imbuto dell’antica tramoggia benché venisse indossato capovolto. Ed era proprio questo il carattere distintivo che rendeva facilmente individuabile su majolu. Vocabolo molto usato nella quotidianità di allora, tanto è che abbondantemente ricorrente nei documenti, nei libri e nella stampa. Non solo quindi oralità ma anche testimonianza testuale per un fenomeno sociale e di costume che condiziona decisamente la vita della cittadina. Alberto Della Marmora lo riporta nella sua grande opera “Viaggio di Sardegna” (lib. I cap. 7) nella quale evidenzia il dilagante e generalizzato analfabettismo delle campagne sarde dove il numero degli abitanti capaci di leggere e scrivere era decisamente limitato e circoscritto a qualche unità per ciascuna. A. Boullier nel “L’ile di Sardegna” riporta: “Ils servaient à table, achetaient les provisions au marché, accompagnaient lerurs maitres au théatre ou en visite, veillaient sur les enfants”. (pag. 285). Anche John Warre Tyndale nella sua opera “The Island of Sardinia” del 1849 riferisce su questa figura popolare che colpiva l’attenzione dei viaggiatori che visitavano Cagliari. Al fine di contenere il sostenuto afflusso dei majoli, la Carta Reale del 16 febbraio 1761, decreta una severa normativa che ordinò l’allontanamento degli stessi dai conventi. Secondo quanto riporta una statistica di allora, nel 1803 Cagliari contava 17.000 abitanti e la presenza dei majoli era nell’ordine di un centinaio per quartiere ciò creava problemi di ordine pubblico soprattutto per il fatto che i majoli si dimostravano turbolenti e arroganti. La loro vivacità quando si radunavano nei momenti di svago metteva a rischio la tranquillità della cittadina. Una rilevazione istituzionale effettuata nel quartiere della Marina in data 23 agosto 1808 conferma la notevole presenza dei majoli e ne contava 105 residenti. Furono soppressi definitivamente con il Pregone del viceré Gabriele De Launay datato 20 maggio 1845 che però produsse un risultato parziale tenuto conto che i majoli continuarono a popolare la cittadina benché in numero di gran lunga inferiore. Con il passare del tempo ed in particolare con l’accentuarsi del fenomeno la parola majolu assunse un significato dispregiativo per apostrofare il servo-studente che avvalorava la convinzione che benché favorito negli studi esso non perdeva le consuetudini paesane neanche dopo anni di vita e frequentazione cittadina. Il Dizionario Universale della Lingua di Sardegna di Antoninu Rubattu riporta la seguente terminologia Majolu: diseducato, grossolano, ineducato, maleducato, scorzone, scostumato, screanzato, servitore, servo. Da sottolineare un’altra caratteristica comportamentale che viene attribuita ai majoli è la loro doppia personalità, nel senso che, erano soliti avere un comportamento di soggezione e di ubbidienza con il padrone e superbo e bisbettico con le altre persone. Con questo spirito vede la luce il celebre sonetto composto dal poeta dialettale Gaetano Canelles che, interpretando gli umori e il sentire dei Cagliaritani, cosi recita: Sa Illiaga prus manna de Casteddu po chini no ddu scit est su majolu chi de bidda ndi benit, solu – solu po fai fortuna, ancora piccioccheddu! Bogau su callu e postu su cappeddu istudiendi a moda de bestiolu, in sa vida sen’atturu consolu, de mixinas o leis pigat s’aneddu! Sa schina pinnichendi innoi o innia allompit a zittari, o prus a susu: tottu in Casteddu porit capitai! Poniddi guantus, gruxis, oreria! Faiddu deputau, mancai de prusu; ma de majolu non ddi bessit mai! Affluivano nella città dall’Oristanese, dall’Ogliastra, dalle Barbagie e in genere dai più remoti paesi della Sardegna interna ma anche dalla costa quando ancora tutta la Sardegna era priva di adeguate vie di comunicazione e non aveva ancora conosciuto i successivi sviluppi dell’industria turistica. Il rapporto intrattenuto fra le parti si trattava di un vero e proprio contratto anche se stipulato sulla parola e con la mediazione di conoscenze altolocate e di religiosi infatti molti majoli prestavano il servizio presso monasteri femminili, istituti religiosi, tra i quali: monasteri femminili di Santa Chiara, Santa Lucia, Santa Caterina, San Mauro, l’Annunziata, San Giovanni di Dio, le scuole dei Padri delle Scuole Pie ( gli Scolopi ), ecc….Non ricevevano alcun salario ma beneficiavano di vitto e alloggio e dovevano provvedere solo al proprio abbigliamento. Nell’ambito di questa contrattazione il padrone di casa era tenuto a lasciare andare su majolu a scuola e ad accordargli il tempo necessario per la frequenza scolastica e per studiare nelle ore extrascolastiche. E’ sarà proprio il modo di vestire che formalizzerà l’appellativo diventato poi così popolare e generatore di una specifica identità sociale. Su Majolu aveva quasi tutta la giornata libera, salvo qualche commissione giornaliera, e la impiegava per seguire le lezioni e per studiare a casa. Aveva l’abitudine di studiare nei luoghi più impensati e soprattutto quando i padroni si recavano a fare visite o alle funzioni religiose perciò, come scrive John Warre Tyndale: “poteva capitare di trovare per strada uno studente di filosofia con un mazzo di verdure o uno studente di lettere, armato di ramazza, intento a scopare l’ingresso della casa padronale”. A. Boullier nel “L’ile di Sardegna” ancora scrive “je ne puis songer aux Majoli sans ne me rappeler cette vie précaire des étudiants allemands au moyen age, qui quetaient leur nourrìture et leur entretìen sous les fenetres où ils allaient chanter”. (pag. 285) L’opera della Cagliari bene di tenere a servizio gli studenti di famiglie disagiate che tentavano con l’invio in città dei propri figli di strapparli dalla miseria e dall’ignoranza, si trattava in sostanza, di una opera pia probabilmente veicolata dagli ordini religiosi che cercavano in qualche modo di elevare la preparazione accademica dei giovani sardi forse anche con la speranza che una volta avviati agli studi potevano scegliere la via del sacerdozio. Perciò le famiglie nobili di Cagliari, da una parte, si sentivano coinvolte in una grande opera umanitaria e, dall’altra, ricevevano dei servizi che tornavano utili e funzionali alla famiglia. Come per esempio fare ripetizioni di latino e matematica ai propri figli, opportunità questa, che consentiva a su majolu di incassare qualche soldo per le esigenze di tutti i giorni. Un’ opera umanitaria che diede i suoi buoni frutti non pochi majoli infatti diventavano avvocati, parroci, canonici, medici e così via arricchendo una Regione depressa sotto ogni punto di vista. Scomparso il fenomeno del servo-studente dovuto a normative sempre più rigorose e più in particolare al tramonto di un epoca surclassata da una nuova portatrice di nuovi bisogni e nuovi modi di vivere, e soprattutto, dall’istituzione delle scuole medie e superiori di primo grado nei piccoli centri della Sardegna interna e la diffusione dei mezzi di trasporto pubblici e privati che consentiva allo studente di fare il pendolare. Si affaccia così sulla cittadina un nuovo fenomeno sociale e di costume che sono gli studenti fuori sede degli anni 60, del diritto allo studio delle fasce di popolazione sarda meno abbienti che in massa aspiravano ad un più consono livello sociale e culturale, e quindi, delle case dello studente, del presalario e delle borse di studio, fenomeno che contribuì ad alimentare la protesta studentesca del sessantotto. Nella sua figura oggi quasi enigmatica e sfumata, su majolu, sembra che scompaia dal vivere quotidiano della città ma poi si ripresenta, più vivo che mai, trasformato dagli eventi in altre sembianze, che prima stentiamo, ma poi con sicurezza, lo riconosciamo è sempre lui su majolu. *Lavora nel Comune di Seulo. Curatore di Poesias de Barbagia ‘e sa martinica di Espedito Murgia
|