Percorsi della cultura comunitaria [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 13/05/2015. La città in pillole. Certe descrizioni raccontano l’intreccio tra conoscenza e utopia. Quando la somma di vicende materiali ed immateriali si fa tessuto culturale comunitario urgono domande ineludibili. Quali i percorsi e gli attori? Perché l’operabilità delle istituzioni e dei decisori non è spesso quella delle comunità? Come recuperare la tradizione che rende le esistenze e i luoghi meno caricaturali e di senso? Si possono tracciare molti itinerari nel segno della consapevolezza. Uno è oltrepassare definitivamente la scissione tra città e campagna perchè in Sardegna sono interdipendenti da millenni e perché oggi la dicotomia tra i due orizzonti o l’eterno presente folcloristico appaiono un alibi. Quanto liberatoria per il passato della Sardegna e di conseguenza per il suo futuro la narrazione, ad esempio, del periodo nuragico come luogo dell’urbano e dei kouroi di Mont’e Prama come sua matura referenza. Quanta progettualità educante nelle biografie di quelli che chiamammo sardi illustri, nel segno della ricostruzione storica, della decostruzione di stigmi, di una pedagogia patriottica. Un esempio unifica i denominatori della nascente modernità: Gemiliano Deidda, ecclettico intellettuale che, nella Cagliari settecentesca, cercò l’acquedotto romano per rendere l’acqua bene comune. La sua tradutio dell’antico era lo stesso tema di confronto tra storicità dei luoghi e progetto che l’Europa illuminista sperimentava. Si studia a scuola Ephraim Lessing e il suo Viaggio in Italia, innovativo genere per raccontare il paesaggio di cui quello archeologico è dominante e connettivo. Ma perché non leggere insieme la Relazione che il suo contemporaneo Deidda scrisse nel 1761 in castigliano. Le sue descrizione raccontano l’intreccio tra conoscenza, progetto, utopia che hanno abitato Cagliari e la Sardegna sabaude.
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