I bambini siriani di Gaziantep (II) [di Maria Vittoria Pericu]
Focus On Syria – Racconti dal campo, Turchia. Ho sentito dire che a Gaziantep i profughi siriani sono circa 500mila e non fatico a crederlo. Sono siriani quelli che dai cassonetti raccolgono, senza guanti, enormi sacchi di spazzatura e li caricano sui carrelli. Plastica e cartone da rivendere per pochissime alle aziende che si occupano di riciclaggio. Sono siriani i bambini che, stremati dalla fatica, trasportano sulle loro spalle sacchi di immondizia più grandi di loro. Anche i miei bimbi portano sulle spalle grandi sacchetti di plastica per raccattare la spazzatura dai cestini dei parchi e delle vie dello shopping. Aiutano i loro padri (chi li ha) nel lavoro. E vivono lì, in quello che era il quartiere armeno, in condizioni disumane. La prima volta che mi sono addentrata in quell’area mi tremavano le gambe e mi sentivo svenire. Ricordo che all’inizio non ho avuto il coraggio di entrare nelle loro case, forse un po’ spaventata da un signore che mi mandava via. Nel piccolo cortile interno delle case dei siriani, giacciono cumuli di rifiuti raccolti. La strada davanti alle loro case è totalmente disastrata: sabbia, polvere e cumuli di immondizia che lasciano indovinare gusci di uova, contenitori di sapone, penne. E, se piove, c’è fango ovunque. C’è una parete annerita dal fumo dei fuochi che vengono accesi per sbarazzarsi della spazzatura. Case di più piani, senza luce, senz’acqua, con crepe alle pareti e pericolose infiltrazioni. Stanze con tappeti e materassi, stracolme di coperte e abiti stipati, in cui l’unico elemento di arredamento è una stufa a carbone per preparare il tè. Panni stesi in ogni dove, sporcizia e squallore ovunque. In ogni stanza dormono otto, dieci persone, a volte anche di più, non hanno l’acqua corrente e c’è un solo bagno, un piccolo angolo puzzolente nascosto da una tenda, proprio accanto all’ingresso. Sono case disabitate e poi occupate che i siriani cercano di rendere un po’ più accoglienti anche grazie alla aiuto fornito dalla popolazione locale. Parliamo con alcuni di loro, ascoltiamo le loro storie, chiediamo di raccontarci il loro viaggio dalla Siria alla Turchia. Molti di loro sono arrivati a Gaziantep da meno di un mese. Non hanno niente, solo razioni di cibo che, da quanto mi raccontano, ricevono dalla municipalità. Ma ciò che permette loro di sopravvivere è l’enorme rete di solidarietà tra siriani e l’aiuto informale che ricevono dalla popolazione turca. Sono moltissimi gli orfani e le vedove. Le famiglie sono numerosissime, ci sono madri con otto, dieci figli. Un signore ci racconta di avere dei gravi problemi alla colonna vertebrale perché ha subito torture. E scopriamo che la bimba dal viso bruciato che pensavamo si fosse rovesciata addosso dell’acqua bollente, è in realtà vittima di un’esplosione nella quale anche la madre è stata gravemente ferita. Sono migliaia i siriani, soprattutto bambini, che vivono nella miseria più estrema. Ogni storia è una tragedia. Ci ripetono ogni giorno che ciò che desiderano è tornare nella loro terra, a casa loro, che in Turchia si sentono disorientati. Che vivono come animali! E che la comunità internazionale che li ha abbandonati è complice di questa drammatica situazione. E lì io chino la testa, con un’immensa sensazione di impotenza e non riesco a pronunciare nessun’altra parola…
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