Orientarsi oltre il tempo e lo spazio [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 03/06/2015. La città in pillole. Ai nuovi arrivati bisogna regalare una narrazione-matrice. Cosa hanno pensato, all’imbrunire e senza conoscere l’approdo della salvezza, centinaia di africani e di africane mentre una nave li sbarcava a Cagliari?

Hanno forse pensato parole simili a quelle di D.H. Lawrence mentre un piroscafo, nel gennaio del 1921, lo portava in città? “Lentamente, lentamente, avanziamo lungo la costa informe […] E improvvisamente ecco Cagliari: una città nuda che si alza ripida, ripida, dorata, ammucchiata, nuda, verso il cielo […]. È strana, quasi fantastica, per nulla italiana. La città […] mi fa pensare a Gerusalemme”.

Hanno stabilito similitudini con le città nordafricane, loro doloroso transito? Hanno colto il comune sostrato? Sbarcando in Sardegna ne hanno intravvisto le potenzialità? Perché la possibilità come la bellezza sta nello sguardo di chi guarda. Walter Benjamin in “Immagini di città” (raccolta di articoli scritti tra il 1925 e il 1930), scruta le città per scoprirne memoria ma anche modernità, futuro. Usa per riassumerne l’interdipendenza la parola “porosità”, sinonimo di dialettica.

Luoghi, oggetti, movimenti narrati in immagini e sequenze che smonta e rimonta come in un film in cui il gesto della ripresa è l’esito di uno sguardo che tutto ha già visto. Le immagini di città sono infatti possibili se si è maturata l’esperienza di smarrirsi e dunque di orientarsi e di ritrovarsi, oltre il tempo e lo spazio.

Succede in una foresta, nei ricordi, in cui panoramiche si succedono a dettagli, ma soprattutto in una città straniera. Ecco perché ai nuovi venuti bisogna regalare una narrazione-matrice, l’ineffabile imago urbis: Tenditur in longum Caralis – scritta alla fine del IV secolo da Claudiano nel De Bello Gildonico – e lo sguardo che la ripropone oggi: una foto di Giuseppe Ungari con la Sella del Diavolo sullo sfondo.

 

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