Tommaso d’Aquino e le reti sociali [di Nicolò Migheli]

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Umberto Eco è uno dei maggiori intellettuali europei viventi. È innegabile, ha studiato la comunicazione contemporanea in tutte le sue manifestazioni; basti ricordare Apocalittici & integrati, Fenomenologia di Mike Buongiorno. Libri scritti negli anni Sessanta rivelatisi profetici . È uomo che conosce le tecnologie informatiche. Il suo primo romanzo Il nome della Rosa venne redatto su di un computer in tempi in cui si scriveva a mano e solo i pochi utilizzavano direttamente le macchine per scrivere.

A suo tempo lo dichiarò orgoglioso, aggiungendo che linguaggio e struttura erano pensati per una traduzione in più lingue. Cosa poi avvenuta. Nonostante il suo essere pioniere è scivolato nell’affermazione secondo cui le reti sociali darebbero voce a legioni di imbecilli. Una frase estrapolata da un discorso complesso che diventa stigma che si ritorce contro. Per chi è semiologo quasi una pena del contrappasso. Si studia e lavora per una vita, si scrivono saggi e romanzi corposi, ogni settimana il ritrattino irripetibile della società italiana con la Bustina di Minerva sull’Espresso, e poi si corre il rischio di passare alla storia per una frase infelice.

Non sarà così, intanto Eco ride sotto i baffi per la provocazione. A me piace, e molto, il libro bistrattato. Quel Pendolo di Foucault che è viaggio nei sotterranei esoterici della cultura occidentale. Mi piace quella pedanteria nelle citazioni, quei fili rincorsi tra apocrifi medievali ed oscuri pensatori barocchi. Umberto Eco da questo punto di vista è un intellettuale unico, ha una corposità di erudizione che ricorda gli “uomini totali” del Medioevo e dell’Umanesimo.

Un Pico della Mirandola contemporaneo che però si sente un Tommaso d’Aquino assiso su di una cattedra medievale a spezzare il pane del sapere. Come Tommaso ha i suoi interlocutori solo in Padova, Saragozza, Tubinga e le Canterbury di oggi. I luoghi dove solo i dotti possono discutere su verità di fede, esercitare il dubbio e la contraddizione dialettica. Il suo modello è la disputa teologica così ben raccontata nel Nome della Rosa.

Tutto il resto non conta, è irrilevante rispetto alla storia del pensiero. Però il velo del Santa Sanctorum si è squarciato. Sono comparse le reti sociali, gli smartphone e i tablet. Chiunque abbia un minimo di conoscenze informatiche può far conoscere le sue emozioni, il suo stare bene o male, le sue idee per l’universo mondo. Pur non avendo competenza può interagire con i premi Nobel. Una orizzontalità che sconvolge chi era abituato ad avere come interlocutori i propri pari. Perché tra le tante verità dette da Eco, quel “legioni di imbecilli” tradisce il furto uno spazio ritenuto privato di cui si è impadronito un grande pubblico. In un’altra lectio magistralis rinvenibile su You Tube, il professore afferma che non conoscendosi la durata storica dei supporti elettronici, tutto questo rumore, è destinato a perdersi e che solo la carta rimarrà.

Anche questo però è opinabile, la carta moderna ha vita breve, un libro stampato vent’anni fa corre il rischio di sfaldarsi, mentre una cinquecentina conservata bene sembra uscita ieri dal torchio. Il lungo cammino di disconoscimento dell’autorità cominciato con Lutero, sembra arrivato a compimento. Non esistono più rendite di posizione, evidentemente per farsi accettare da un vasto pubblico non bastano i titoli accademici o il successo. Tutt’altro, questo può ingenerare il bisogno di contrasto, animare lo sberleffo, farne uno screenshot e poi vantarsene con i propri contatti.

Il paragone corre a Gianni Morandi, a come lui riesca ad amministrare gli imbecilli che intervengono su i suoi post su Facebook, una risposta, una buona parola anche ai più importuni. Però non lo si può chiedere a tutti. L’impressione che Umberto Eco ha delle reti sociali si limita, così dice lui, ai sottopancia che compaiono in certi programmi televisivi, da lì nasce la sua visione apocalittica. Basterebbe frequentarle le reti per accorgersene che si può selezionare il pubblico di riferimento, che gli “imbecilli” – ma poi chi non lo è almeno una volta nella vita?- possono essere marginalizzati o addirittura esclusi. Reti che non sono uniformabili, perché ogni utente ha un suo comportamento.

Non esiste un Facebook o un Twitter, così come non esiste una sola tv, un solo giornale, un solo libro. Il timore è che le reti amplifichino comportamenti antisociali o pulsioni razziste. Vero, però le grandi dittature novecentesche hanno creato il proprio consenso con mezzi molto più rudimentali di oggi. Ogni tempo ha il suo strumento. La calunnia medievale sull’uccisone sacrificale dei bambini cristiani da parte degli ebrei, è corsa di bocca in bocca senza bisogno di scrittura. Alla fine però Umberto Eco conferma il suo essere intellettuale a tutto tondo, provoca sapendo di provocare, vuol essere scomodo e ci riesce benissimo, stimola dibattiti e anche chi non ha mai letto una sua pagina ne deve tener conto. Ce ne fossero tanti come lui…

One Comment

  1. maria

    Sono purtroppo d’accordo. La societa’ “liquida” v.espresso di qualche settimana fa, diventa sempre piu’ ignorante, la maggior parte e confusa tra il futile e il superficiale. L’usa e getta si diffonde nei social che pubblicano ogni stoltezza senza capire. Gli educatori non sanno educare alla ricerca della verità storica a partire dalla piccola storia locale . Ci sono tante cose da analizzare e il grande Umberto Eco spero continui a darci illuminazione.

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