Terra persa, indagine sull’aggressione al suolo della Sardegna [di Michele Sasso]

Grabbing

L’Espresso 30 giugno 2015. L’accaparramento di terreni buoni per l’agricoltura tocca anche l’isola al centro del Mediterraneo: persi in dieci anni l’otto per cento di suolo agricolo. Il film “Storie di Land Grabbing in Sardegna” è un viaggio tra progetti di centrali, trivelle per idrocarburi, residence e campi da golf calati dall’alto e rifiutati dalle comunità locali .

Il land grabbing in italiano suona come terra persa. Persa, rubata, sottratta. La corsa alla terra e l’abuso che questa subisce in Sardegna è diventato il documentario « Terra persa ». In trentacinque minuti i registi Michele Mellara e Alessandro Rossi hanno raccontato le ragioni delle proteste dei comitati, l’idea quasi rivoluzionaria di decidere dal basso del proprio futuro e il senso delle battaglie dei comitati per la difesa del territorio.

Il land grabbing è un fenomeno mondiale: una larga porzione di terra buona per le coltivazioni ma “inutilizzata” viene venduta a terzi, aziende o governi di altri paesi senza il consenso delle comunità che ci abitano o che la utilizzano, spesso da anni per produrre a chilometro zero il loro cibo. Una compravendita che esiste da molti anni, diventato globale allo scoppio della crisi finanziaria quando è cresciuto enormemente, spingendo nella fame migliaia di contadini del Sud del mondo. Il documentario realizzato da Mammut Film, regia di Michele Mellara e Alessandro Rossi, racconta la corsa alla terra e l’abuso che questa subisce in Sardegna.

Secondo le stime della Banca mondiale coinvolge fino a 80 milioni di ettari. Più colpite le zone più povere dove fondi sovrani e d’investimento, banche d’affari e multinazionali sono andate a cercare nuovi mercati e potenzialità, prendendo in affitto o acquistando enormi appezzamenti a prezzi irrisori per investire in agricoltura e biocarburanti.

Anche in Italia si «ruba» terra all’agricoltura per sacrificarla in strade, infrastrutture,  case e opere faraoniche. La Penisola è così passata da 18 milioni di ettari a 13 milioni di superficie coltivata nell’arco di quarant’anni. L’equivalente della Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna è svanito per fare posto a lingue di asfalto, villette a perdita d’occhio e immense zone industriali. In Sardegna il racconto appassionato di uomini e donne che con competenza ed impegno si battono per affermare il diritto alla tutela del paesaggio e alla qualità della vita è il filo conduttore del documentario.

Scontrandosi con le servitù militari (nell’isola si concentrano l’80 per cento delle zone riservate alle forze armate del Paese) e il controverso resort Is Arenas nato in una zona protetta nella zona di Narbolia, 1800 anime in provincia di Oristano. Progetti faraonici per impianti fotovoltaici e immensi campi da golf a Bosa e pale dell’energia eolica che non servono aziende agricole ma nutrono affari.

Generando un paradosso: si esporta energia mentre l’80 per cento del fabbisogno alimentare deve essere importato. E ancora pozzi esplorativi per cercare idrocarburi nella riserva naturale di S’ena Arrubia ad Arborea, una delle zone umide più pregiate del Mediterreaneo e i desolanti appartamenti e residence vuoti di Nebida, nel cuore del Sulcis e delle sue miniere abbandonate.  Cosi la Sardegna si gioca il suo bene più prezioso: la terra.

 

One Comment

  1. Sergio Vacca

    Due gli aspetti negativi. Altrettanto gravi. Il primo – mi sia consentito di metterlo in cima alla lista per occuparmi di questi aspetti da oltre 40 anni – la perdita di suoli, o espresso anche come consumo di suoli. Il secondo è rappresentato dal danno sociale ed economico all’agricoltura della Sardegna e – ancora più grave – alle famiglie dei coltivatori, ai quali è sottratta, con l’alibi della pubblica utilità, la base produttiva del proprio reddito. Da precisare che il processo di valutazione economica della produttività di un suolo va realizzato in relazione alla sua Capacità d’uso, ma anche in relazione all’attitudine per specifiche destinazioni o ordinamenti colturali. Infatti – ed è questo l’elemento da porre a base delle considerazioni economiche del processo di valutazione di impatto ambientale degli impianti di solare termodinamico e delle serre cosiddette fotovoltaiche – il valore del capitale “Suolo” va calcolato in termini di proiezione della sua capacità produttiva, indipendente da quelle che sono le condizioni di utilizzo del suolo al momento della valutazione (che, per abbassarne il valore o dichiararne la marginalità economica, le società proponenti descrivono impropriamente come degradati) . In altri termini, con riferimento alla procedura di Land Suitability Evaluation, se un determinato Pedopaesaggio, in base ai suoi caratteri e qualità, viene inserito nella classe S1 per una data coltura, la produttività corrisponde al 100% della potenzialità fisiologica di quella coltura o di quell’ordinamento colturale. E’ questo l’elemento da prendere in considerazione nella determinazione del valor capitale fondiario da inserire nella procedura di VIA, e non già una risibile suggestione sul suo valore di mercato.

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