Elisir di lunga vita [di Franco Masala]
L’immaginario “paese dei Baschi” diventa un villaggio coloratissimo dove le case mostrano, in trasparenza, ciò che vi accade quotidianamente, oppure accoglie il ciarlatano di turno che può abbindolare ingenui e creduloni, arrivando su un veicolo semovente alimentato da enormi pale da mulino a vento. È “L’elisir d’amore” con le scene e i costumi di Giovanni Licheri e Alida Cappellini, collaboratori abituali di Michele Mirabella che cura la regia scintillante dell’opera di Donizetti in scena al teatro Lirico di Cagliari. E, sicuramente, è la parte più valida dello spettacolo, nonostante qualche eccesso di figuranti. La musica e la verve del libretto sono poi il valore primario che non esita a spiegarsi alle orecchie degli spettatori fino alla sognante e notissima Furtiva lagrima, cantata dal giovane sempliciotto e pur sensibile. E che dire della villanella protagonista, furbetta e sicura di sé ma pronta a innamorarsi senza remissione, o del soldato tronfio, degno erede del Miles gloriosus? Però, rivedere dopo meno di sei anni la stessa opera, la stessa produzione (ma non gli stessi interpreti, allora superlativi: Desirée Rancatore e Celso Albelo) forse è troppo per un teatro che non vive di un repertorio ma di stagioni che si susseguono di anno in anno, sia pure con le difficoltà del momento attuale. Sorge spontanea allora una domanda. Possibile che da trent’anni a questa parte la programmazione cagliaritana di opere di Donizetti si riduca a tre titoli – Lucia di Lammermoor, Don Pasquale e, appunto, Elisir – ignorando altre opere come La favorita e La fille du régiment, o come la “trilogia inglese” – Roberto Devereux, Maria Stuarda, Anna Bolena – ormai entrata nel repertorio da anni e anni in tutti i teatri del mondo ? Via, occorrerebbe uno scatto di fantasia anche per rinnovare le offerte culturali di una Fondazione di teatro d’opera che dovrebbe orientare e curare il proprio pubblico. |