I sogni sono illusioni, ma sono anche desideri [di Silvano Tagliagambe]

Sedilo.Unknown

L’amara e intelligente riflessione proposta da Umberto Cocco con il suo contributo I sogni sono faticosi, se non sono illusioni merita di essere ripresa perché intreccia questioni riguardanti la stretta attualità politica con problemi di fondo di cui sarebbe il caso di cominciare a occuparsi in maniera meno distratta. La fotografia del clima che si respira ormai nelle assemblee popolari, caratterizzate da una frammentazione e una disgregazione che frantumano i soggetti collettivi del recente passato (classe, partito, sindacato…) e sono sempre più spesso esposte “alle più arrabbiate, disconosciute memorie di sé, del proprio lavoro, dei propri ex compagni”  mi ha fatto venire in mente un libro che spiega meglio di ogni altro le ragioni di questa deriva.

Si tratta de La morte del prossimo di Luigi Zoja, psicanalista junghiano, che analizza in profondità il paradosso fondamentale del nostro tempo, effetto diretto della globalizzazione: la distanza del vicino e la vicinanza del lontano. La contrazione dello spazio e il sempre più agevole, rapido ed economico superamento delle distanze favoriscono i rapporti tra persone lontanissime e sembrano penalizzare invece quelli che intercorrono fra chi vive nella stessa regione, nella stessa città, nella stessa via, persino nella medesima casa. Così il mondo sembra diventare sempre più piccolo, al punto che, volendo esemplificare al massimo, potremmo dire che l’abitante di Sedilo, che magari fatica a parlare con il suo vicino e si guarda in cagnesco con lui o semplicemente lo ignora, ha una “distanza” con il presidente Obama di sei strette di mano al massimo.

Non si giudichi arbitraria o temeraria quest’ultima affermazione, che è invece scientificamente fondata. Nel 1998 i matematici Duncan Watts e Steven Strogatz hanno infatti introdotto quello che hanno chiamato l’effetto small world, appunto, risultato della constatazione che una vasta gamma di reti naturali, artificiali e sociali (dalle reti neuronali alle modalità di distribuzione dell’energia) posseggono una struttura particolare, intermedia fra una distribuzione perfettamente casuale (ogni nodo di una rete può essere connesso a ogni altro nodo, indipendentemente dalla distanza) e una distribuzione perfettamente ordinata (ogni nodo di una rete è allora connesso localmente ai nodi che lo circondano).  In questa struttura acquistano sempre maggiore importanza nodi strategici (hubs) che intrattengono relazioni a lungo raggio, garantendo la sua interconnessione complessiva.

Grazie alla funzione di questo tipo di nodi e di relazioni tutti gli elementi di un sistema anche molto vasto possono comunicare vicendevolmente in un numero molto ristretto di passi, attraverso un numero molto ridotto di intermediari. Questa teoria formalizzava e spiegava i risultati di una serie di esperimenti condotti in precedenza dallo psicologo sociale Stanley Milgram, il quale aveva inviato delle lettere a un certo numero di persone che vivevano sulla costa orientale degli Stati Uniti chiedendo loro di spedirle a conoscenti in modo da farle pervenire a Chicago attraverso una catena di amici di amici.
Il risultato fu sorprendente: bastava un massimo di sei passaggi, appunto, per fare arrivare a destinazione quelle lettere. Pur essendo costituita da milioni di nodi, la distanza tra due nodi qualsiasi è molto piccola e praticamente indipendente dalla grandezza della rete.

Il rovescio della medaglia di questo effetto è la perdita del vicinato e delle relative relazioni di prossimità, la morte del prossimo, appunto, di chi ci sta accanto. Il prossimo sembra essersi trasformato in lontano e distante, con il conseguente venir meno di ogni tendenza alla solidarietà e di ogni obbligo di reciprocità. Non è del resto strano, se si pensa che ormai le relazioni interpersonali avvengono sempre più attraverso la mediazione dello schermo di un computer, di un tablet o di un telefonino, o attraverso un palcoscenico, reale o ideale che sia.

L’occhio e lo sguardo, ai quali fino a poco tempo fa era riservato il compito del contatto con il prossimo, sono ora divenuti un produttore di distanza, proprio perché la vista non è più diretta, ma mediata dallo schermo e dal palcoscenico, per cui anche il vicino sta diventando una visione astratta. I problemi famigliari vengono ormai affrontati e discussi in pubblico, in uno studio televisivo, alla presenza e sotto il giudizio di sedicenti esperti, che li analizzano oggettivamente e “scientificamente”. La sfera del privato e dell’intimo, una volta sacra e sottratta a sguardi indiscreti, è sempre più esibita agli altri e spettacolarizzata. Viene a cadere ogni linea di demarcazione tra il privato e il pubblico, erosa e abbattuta dalla presenza dello schermo e del palcoscenico. E anche se il palco non esiste fisicamente tutti si comportano come si trovassero costantemente a calcare le scene: recitano, si atteggiano, urlano e provocano come fanno i protagonisti dei talk-show, degli spettacoli di conversazione, in cui la parola non è più uno strumento per comunicare ma, appunto, un mezzo per esibirsi, per attirare l’attenzione su di sé, per conquistare il proprio minuto di notorietà e carpire qualche applauso.

Come stupirsi, allora, che nelle assemblee che si riuniscono per affrontare problemi concreti e drammatici, come quello dell’energia, dell’industria, dell’agricoltura o del modello di sviluppo da scegliere, l’atmosfera sia quella descritta così efficacemente da Umberto Cocco e che all’esame rigoroso e concreto delle questioni sul tappeto subentri l’illusione della partecipazione, la voglia di protagonismo, l’attacco agli altri, spesso spinto fino ai limiti dell’aggressione e della provocazione? L’autore conclude quella che – in un commento al suo contributo che condivido pienamente e sottoscrivo – è stata giustamente definita “un’analisi molto bella e soprattutto molto vera, di quella verità scarna che fa male, ma è libertà”, dicendo che“anche i sogni sono faticosi, se non sono illusioni”.

Conclusione legittima e pienamente giustificata, sulla base delle considerazioni fatte. Alla quale vorrei però tentare di contrapporre la riproposizione dell’idea che “i sogni son desideri”. Si, lo so che questo è il motivo conduttore della canzone intonata da Cenerentola, nel celebre cartone animato di Walt Disney del 1950. Per non far pensare che questa mia proposta di variazione sia l’effetto perverso di una qualche forma di regressione all’infanzia mi limito tuttavia a ricordare che “desiderare” significa, letteralmente, smettere (de-) di affidarsi agli astri (sidera), farne a meno, e riempire questo vuoto con l’ingegno e le opere e le attività dell’uomo.

Quali attività, in questo caso specifico?  Se il problema è quello di recuperare il senso della vicinanza, che è sempre stato fondamentale, e di riscoprirne il senso autentico e profondo bisogna fare qualcosa di concreto in questa direzione, rifiutando le scorciatoie illusorie. Come il passaggio dal «lei» al «tu», che una volta era una cosa seria e non il risultato di quella che Umberto Cocco definisce “qualche spregiudicatezza di troppo”, che porta “un giovane padrone” a dare del tu e a concedere “che anche a lui si rivolgano con familiarità sindacalisti, sindaci, consiglieri regionali, e fa un effetto bruttissimo, il cameratismo che abbatte ogni differenza di ruolo, di funzione, di responsabilità”.

Occorre reagire alla morte del prossimo facendo in modo che ciascuno di noi recuperi il suo prossimo, non un prossimo astratto, ma quello che gli sta concretamente vicino, su cui puoi posare la mano e per cui puoi fare qualcosa: era ed è ancora oggi questo il compito della politica, di quella vera, non della brutta caricatura a cui oggi diamo impropriamente lo stesso nome. La politica che per questo promuoveva incontri, dibattiti, abituava ed educava al dialogo, al confronto, anche aspro, riuscendo a trarne uno sfondo condiviso di obiettivi e valori, facendo in modo che ciascuno si immedesimasse nell’altro, sentisse come propri, almeno in parte, i problemi del prossimo.

Lo abbiamo detto nel documento Terra di pace, istruzione, lavoro, solidarietà che io e un gruppo di amici, coordinato da Ettore Cannavera, abbiamo presentato lo scorso 8 novembre in un incontro organizzato dalla Comunità “La Collina”. Nel declinare la parola “solidarietà” abbiamo scritto, tra l’altro, che “in una Repubblica veramente democratica ed egualitaria i diritti fondamentali possono essere riconosciuti e garantiti solo se i corrispondenti doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale vengono pienamente assunti da parte di tutti, nei limiti delle proprie capacità. Istituzioni politiche, formazioni sociali e singoli individui sono chiamati a realizzare il compito più importante e decisivo: la solidarietà nei confronti dei soggetti deboli, di coloro che si trovano in uno stato di sofferenza materiale e spirituale, affinché possano partecipare appieno al progetto di società democratica e inclusiva che tutti siamo chiamati a realizzare.

È per questo che dobbiamo riuscire, anche partendo dalla nostra Regione, a superare le tendenze egoistiche e antisolidaristiche che si sono diffuse negli strati più profondi della società. Dobbiamo avere il coraggio, proprio perché attraversiamo una fase della nostra storia difficile e sofferta, di restare ancorati a una visione integrata e solidale della nostra società. … La solidarietà è doverosa, fraterna, responsabile, intergenerazionale: da questi valori è possibile ricavare un modo di intendere la politica diverso e disorientante in grado di tradursi in scelte politiche coerenti e profondamente rispettose della dignità di tutti”.

Ecco, questo, a mio giudizio, è il sogno come desiderio di cui la politica dovrebbe riuscire a farsi carico e che personalmente vorrei vedere al centro del dibattito in vista delle prossime elezioni regionali.

2 Comments

  1. Francesco Marco Manca

    Condivido tutte le riflessioni che spero diventino sempre più presenti nelle menti delle persone anche se mi accorgo che è un tema scomodo perché costringe ad ascoltare gli altri a discutere e a sentire voci contrastanti con il nostro pensiero e impedisce di urlare e sfogare la rabbia che si ha dentro.
    Ho avuto notizia del sito “sardegnasoprattutto” durante un incontro con il prof. Soddu che ha tenuto una bellissima conferenza sui piani di rinascita.
    Ho fatto una riflessione al termine della esposizione del professore in linea con quanto dice lei nel suo articolo e con grande sconforto ho visto cadere nel nulla le mie parole a vantaggio di tematiche specifiche e particolari che deviano i discorsi e i confronti verso personalizzazioni o interessi di parte che sono la negazione della condivisione e strutturazione di un progetto comune teso al bene comune.
    Grazie delle sue riflessioni con la speranza che diventino sempre più grandi fatte da persone piccole che vogliono fare cose grandi insieme.

  2. Martina Manca

    Sono una studentessa della Bocconi e sto seguendo un corso molto interessante sul rapporto tra i cittadini, il potere e l’informazione. Giusto all’ultima lezione abbiamo parlato di quei famosi sei gradi che uniscono tutte le persone del mondo. Sottolineavamo l’immenso disorientamento non solo cittadino, ma anche politico di fronte a questa nuova realtà che viviamo. Purtroppo la smania di spettacolo e di “famosità” ci ha divorati e abbiamo così tanto bisogno di farci conoscere dal mondo che ci dimentichiamo di chi ci circonda: delle persone fisicamente presenti.
    Spero di poter leggere in futuro altri suoi lavori, o altre sue riflessioni.

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