Invalsi, il boicottaggio del Sud. Il test rifiutato da due licei su tre [ di Gianna Fregonara]
Corriere.it. 18 luglio 2015. Tra gli istituti tecnici in Sicilia solo uno su 10 ha svolto la prova. Il rischio di non poter usare i dati per la valutazione. Ajello: non è stata solo protesta politica. Sarà come una carta di identità senza la fotografia. Chi la potrebbe considerare valida? Le scuole italiane del Centrosud si sono rifiutate in grandissima parte di farsi fotografare dall’Invalsi lo scorso maggio. E la prima carta di identità delle scuole, quel rapporto di autovalutazione (Rav) che avrebbe dovuto essere pronto a luglio ed è già slittato a settembre, in queste regioni resterà fortemente incompleto, insomma per molte scuole inattendibile. Che il «boicottaggio» delle prove Invalsi avesse raggiunto e superato il 20 per cento su base nazionale si sa da maggio, ma i dati pubblicati la scorsa settimana hanno scattato la fotografia della débâcle delle prove in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Il record negativo spetta alle scuole siciliane. Analizzando i numeri delle prove che si Come? I funzionari del Miur che hanno compilato il rapporto spiegano che «mediante opportune tecniche statistiche, che saranno oggetto di uno specifico approfondimento metodologico che l’Invalsi pubblicherà entro dicembre, sono stati ricalcolati i pesi delle scuole nelle regioni con alti tassi di astensione in modo che la rappresentatività nazionale fosse garantita», insomma si sono rivolti all’Istituto nazionale di Statistica per cercare di mettere una pezza. Ma che cosa è successo quest’anno? «Sicuramente la protesta per l’approvazione della riforma che in quei giorni era molto forte – spiega Ajello – ma non basta a spiegare tutto: anche nel Nord ci sono state proteste ma gli insegnanti non hanno usato l’Invalsi». Resta un’eccezione Roma, che con l’alta astensione – soprattutto degli istituti professionali – abbassa fortemente anche la media del Lazio (meno di un istituto su tre ha fatto i test). Secondo gli esperti del ministero che hanno studiato i dati uno per uno, le scuole che non partecipano «sono quelle i cui allievi hanno sistematicamente risultati più bassi, dove il contesto socioeconomico è meno favorevole e nelle quali l’anno passato si sono registrati comportamenti opportunistici», cioè si copiava di più. È probabile che poiché quest’anno i risultati cominciano ad essere resi pubblici anche scuola per scuola, i professori abbiano preso le loro contromisure. E c’è da immaginare che l’introduzione della valutazione e dei criteri di merito (duecento milioni), che la nuova legge sulla scuola affida ai presidi per premiare gli insegnanti, non sarà una passeggiata: intanto in tutte queste scuole non potrà essere usato come criterio la valutazione delle competenze. Si aggiunga che la sperimentazione appena conclusa dal Miur sulla Valutazione (riforma Gelmini) ha evidenziato che l’idea di essere valutati per un premio non migliora di per sé l’apprendimento anche se rende le scuole più organizzate e che solo un preside su tre ha prontamente usato i soldi-premio per la sua scuola, circa 100 mila euro. Come? Quasi la metà li ha distribuiti a pioggia, gli altri li hanno usati per comprare computer. «Nella scuola non c’è la cultura del premio individuale – spiega Andrea Gavosto della Fondazione Agnelli che ha pubblicato un rapporto sulla sperimentazione – che genera più competizione che collaborazione. Ma soprattutto, se il sistema non sarà in grado di fornire dati affidabili, la valutazione e i premi diventano velleitari». |