Ma quanti sono i partiti a sinistra del Pd? La missione impossibile di una Syriza italiana [di Luca Sapino]
L’Espresso.it 27 luglio 2015. Ci sono i partiti comunisti storici, i Verdi, Sel, i nuovi gruppi di Civati e quelli di Fassina e la conta potrebbe andare avanti. Mentre si prova ad avviare a fatica un processo unitario, le sigle che compongono l’area radicale continuano ad aumentare e frazionarsi. Libertà, L’Altra Europa con Tsipras – la lista per le europee guidata e poi abbandonata da Barbara Spinelli – Rifondazione Comunista, i Verdi, l’Italia dei Valori, Azione Civile, gli arancioni di Luigi De Magistris. Poi c’è il neonato Possibile, partito di Pippo Civati, e i gruppi di Futuro a Sinistra, promossi da Stefano Fassina. Si potrebbe notare che lanciare altre due sigle mentre si dice di voler unire la sinistra non è molto coerente, ma la replica – non del tutto insensata – è che qualcosa servirà pure «per riunire tutti quelli che sono delusi dal Partito democratico di Renzi» (spiega all’Espresso Fassina), e traghettarli verso qualcosa di nuovo e unitario. E poi non saranno due sigle in più, si dice, a fare la differenza e allontanare un obiettivo già in origine complicato: i soggetti in campo sono comunque moltissimi. Non abbiamo citato, ad esempio, il Partito dei comunisti italiani, quello che fu di Diliberto, ora Partito Comunista d’Italia, che ha lanciato peraltro un processo unitario nel processo unitario, e il 12 luglio a Roma ha organizzato l’assemblea nazionale per la costituente comunista. L’intenzione è più che nobile, intendiamoci, anche perché a contare pure i partiti comunisti si finisce come con i sette nani. Te ne manca sempre uno. La conta diventa impossibile se ci mettiamo a enumerare quelli che al processo unitario non sono molto interessati, né coinvolti. Andiamo nel vintage. Viene ancora stampata Lotta Comunista. C’è Sinistra Critica, il Partito Comunista di Marco Rizzo, col simbolo quadrato così che non possa esser messo sulle schede elettorali, e il Partito Comunista dei Lavoratori, quello di Marco Ferrando, che almeno si presenta alle elezioni, raccogliendo – nel 2013 – poco più di 100mila voti al Senato. Si batte ancora poi, il Partito Comunista d’Italia marxista-leninista: sul loro sito ti accoglie Bandiera rossa; segretario è da sempre Domenico Savio, di Forio, Ischia. Non va confuso però con il Partito Marxista-Leninista che ha sede a Firenze, e da lì, con un recente comunicato pubblicato sul sito, si scaglia contro i referendum antirenziani lanciati da Pippo Civati: «I referendum non possono sostituire la lotta di classe», tuona, «i referendum non sono la strada giusta da seguire per opporsi adeguatamente all’offensiva proterva e ducesca di Renzi. Non tanto e non solo perché, come si è visto, appaiono di difficile fattibilità e scarsamente efficaci anche ai loro propositori, che infatti non ne sembrano molto convinti essi stessi». E non hanno tutti i torti, i compagni fiorentini: i referendum sono un’incognita – una delle – nel percorso della Syriza italiana. Civati ha cominciato questo week end a raccogliere le firme (la prima è arrivata da Finale Ligure), ma non è che abbia raccolto un particolare entusiasmo dei suoi vicini, partiti e movimenti. Anzi. Il movimento della scuola, ad esempio, ha proprio provato a fermarlo – inutilmente – sul quesito sulla Buona Scuola. Docenti e studenti non vogliono raccogliere le firme ad agosto, a scuole chiuse, e vogliono far precedere all’eventuale battaglia referendaria un dibattito nel mondo della scuola, a scuole aperte, dunque, e senza che Civati si presenti con quesito già bello e pronto. Sul suo blog Civati ha dovuto scrivere un lungo post per spiegare che la sua non è una mossa per mettere il cappello, né sul mondo della scuola, né sulla sinistra: «Nostra intenzione non è quella di raccogliere le firme sui nostri referendum», ha scritto, «ma spiegare ai cittadini che i referendum sono loro e così sono stati da noi pensati fin dall’inizio». Non è raro, però, sentire qualcuno scommettere sul flop dell’iniziativa, senza troppo dispiacersene, peraltro, convinti che l’unità sarebbe a quel punto inevitabile. Già. Perché se incontri nei territori, dibattiti alle feste estive e interviste dialoganti si susseguono, a sinistra di Possibile (c’è sempre qualcosa a sinistra di qualcosa) non sono ancora convinti che siano sopite le tentazioni autonome dei civatiani che – soprattutto all’esordio – presentavano Possibile come il partito della nuova sinistra. Il partito. Ed è vero che anche Sel ha discusso per giorni sulle sfumature della frase con cui Vendola ha annunciato che «Sel non si scioglie ma è pronta per qualcosa di più grande», ma il documento approvato all’ultima assemblea nazionale, l’11 luglio, dice abbastanza chiaramente che «il tema non è allargare i soggetti esistenti». E Nicola Fratoianni, che di Sel è il coordinatore, lavora per una costituente in autunno, ed è ottimista: «L’unità non basta ma divisi non andiamo da nessuna parte», dice, raccontando il processo come inevitabile. Fassina condivide: «Dobbiamo stare insieme noi e tutti quelli che oggi non votano». Entrambi pensano che già alle prossime amministrative si dovrà avere un simbolo unico, e un’unica strategia. Andrà anche discussa, quindi, l’alleanza con il partito democratico: «Dobbiamo fare come in Liguria alle ultime regionali», spiega Fratoianni, «dove non abbiamo partecipato alle primarie ma dove se avesse vinto Cofferati e quindi il Pd avesse proposto una piattaforma opposta a quella della Paita e di Renzi tutto sarebbe stato diverso». Ma proprio qui si inserisce un’altra polemica con Civati che, uscito da poco dal Pd, con gli ex colleghi non vuole proprio più averci nulla a che fare: «Se ti allei col Pd fai una corrente del Pd, io ve lo dico», ha detto chiudendo il suo Politicamp a Firenze, «c’è il doppio turno, semmai, ma il tema non può essere trovare uno decente nel Pd». Bologna e Milano sono due nodi da sciogliere. Non facilissimi. E poi c’è Cagliari, ad esempio, dove per Civati pure il sostegno all’uscente Massimo Zedda, di Sel, è in dubbio: «Non vogliamo più allearci con il Pd, e se Massimo Zedda sarà il candidato del Pd dovremo pensare attentamente e ragionare sulla sua candidatura», ha detto durante uno dei molti dibattiti sull’unità della sinistra. La posizione di Civati è dunque lontanissima, per dire, da quella di Laura Boldrini che, intervistata dall’Unità, ha detto: «Non credo che Sel possa considerare il Pd un avversario e non credo neanche che il Pd debba mettere Sel accanto a Salvini e Grillo». «Il polo progressista non può essere diviso», è il punto della presidente della Camera, che non è l’unica a rimpiangere il centrosinistra. «Non mi sento sola in questa visione unitaria», ha infatti continuato, citando proprio il sindaco di Milano: «Penso a Pisapia che sta adoperandosi per costruire ponti, per favorire il dialogo». Ecco allora che l’idea di lanciare a settembre – a fine settembre – un processo, una costituente è ancora tutta nelle dichiarazioni concilianti, anche se nella direzione di Sel c’è chi ha ricevuto espressamente l’incarico di studiare una piattaforma web utile allo scopo, per decidere dal basso la linea politica, il simbolo, il nome. Non c’è una data, non c’è un luogo, non c’è l’accordo, ancora. Forse, a giorni, ci sarà un appello. Di un unico gruppo parlamentare non se ne parla: «Sembrerebbe un’operazione di cambio di poltrone», ha detto ancora Civati, che pure parteciperà alla prima riunione di un coordinamento dei parlamentari a sinistra del Pd, quelli di Sel, gli ex dem, e gli ex 5 stelle che da poco si sono organizzati in una componente del gruppo misto che ripesca il nome della lista delle europee: l’Altra Europa con Tsipras. E devono quindi accontentarsi i movimenti d’area e i singoli elettori spaesati la cui richiesta è ben sintetizza da Act che, per spiegarsi meglio, ha fatto anche un videotutorial. «Per una volta», dicono, «evitiamoci l’ennesima assemblea sull’unità della sinistra. Non ci importa di unire ciò che è già organizzato. Proviamo, stavolta, a organizzare ciò che può essere unito, chi ha smesso di impegnarsi ma sente ancora il bisogno di lottare. Facciamo che invece di fare la gara a chi lancia il percorso più bello, più figo, più unitario, apriamo uno spazio di discussione che non sia “proprietà” di nessuno, in cui non ci siano ospiti e tutti si possano sentire a casa».
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