Difendere il paesaggio ci fa vivere meglio e a lungo [di Paola Cannas]

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Che la nostra ricchezza è nella qualità del territorio è un dato valido ed universalmente riconosciuto. La Sardegna ha un territorio e coste, tra i più belli del mondo. Nell’immaginario collettivo, visitare la Sardegna è un diffuso desiderio! Questo spiega il fatto che, almeno fino ad ora, il suo richiamo è più forte della crisi. L’edificato non è straripante. Vi sono eccezioni negative, e non sono poche. Ma ce la possiamo fare.  Abbiamo il 96,7% di territorio intatto, di cui il 32,5% di aree naturali, boschi e foreste ed il 64,1 % di aree agricolo zootecniche. Le aree urbanizzate sono pari al 3,3%, ma questa percentuale triplica paurosamente se rapportata al territorio costiero: 9,1%, che è l’area ormai più sensibile, più pregiata e più a rischio.

Il paesaggio è la fisionomia del territorio, costituita dai suoi “tratti somatici”, ossia quel tratto visibile che rende unica, bella e riconoscibile la Sardegna a chi l’osserva. Consumare territorio, cementificare le coste, non è la soluzione alla crisi economica. La Spagna ce lo insegna. Consumare territorio e cementificare ci fa vivere peggio. E noi dobbiamo stare attenti ed essere capaci di fermare la tendenza alla crescita ingiustificata del consumo del territorio, visto soprattutto che non è cresciuta la nostra popolazione.

Evoluzione consumo di territorio urbano

Centri di antica e prima formazione fino al 1860 (ha)

Zone di espansione fino agli anni ’50 (ha)

% di crescita

Zone di espansione recente (ha)

% di crescita

 

 

 

 

 

 

Totale

7620,59

6454,42

(84,7)

22657,37

(351,04)

Consumo di territorio recente per gli insediamenti turistici e produttivi

Insediamenti turistici (ha)

Insediamenti produttivi (ha)

 

 

 

Totale

7.027,98

17.752,28

Abitazioni totali in Sardegna

802.149

 

Abitazioni totali nei Comuni Costieri

459.762

(57,31%)

Abitazioni vuote in Sardegna

208.458

 

Abitazioni vuote nei Comuni Costieri

153.065

(73,43%)

Abbiamo un’archeologia unica al mondo ed una straordinaria architettura, una bella campagna e spazi non costruiti.  Il paesaggio, definito dalla Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze 2000) come “una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dallo loro interrelazioni”, è una risorsa primaria della Sardegna. E la Sardegna, più delle altre regioni d’Italia, ha paesaggi diversi: quelli rappresentati dalle comunità di pescatori delle nostre coste, dalle comunità agro-pastorali delle montagne interne, dalle varianti linguistiche dell’open field cerealicolo campidanese, dalle coltivazioni olivicole e viti-vinicole, dalle città storiche, dai centri di fondazione (di epoche sabauda e fascista), dalle attività imprenditoriali minerarie e della ricerca scientifica.

La Sardegna è forgiata soprattutto dal paesaggio agro-zootecnico, quello più diffuso definendosi come “il paesaggio tipico delle aree rurali dove l’attività agricola è, per motivi ambientali, sociali e/o economici, prevalentemente ed esclusivamente costituita da sistemi di allevamento basati sull’utilizzo di prati o di pascoli”. Se è vero che l’agricoltura “arreda” il territorio, salvaguardare il principale paesaggio identitario della nostra Isola è salvaguardare l’agrozootecnia.

Paesaggio e Turismo: Al momento il turismo è il settore economico più dinamico e con un maggiore livello di crescita negli ultimi anni, e la sua forza è basata proprio sullo straordinario patrimonio ambientale, culturale, naturalistico, antropologico. malgrado i limiti nell’offerta e nella fruizione turistica. La ricchezza potenziale del settore turistico soffre però storicamente di tre grandi limiti.  Il primo è la concentrazione nello spazio (solo le zone costiere) e nel tempo (solo i mesi estivi). I posti letto negli hotel sono il 90% sulle coste e lì si concentra l’80% delle presenze turistiche.  L’altro grande limite è quello di usare poco il prodotto agro-alimentare regionale. Importiamo l’85% del nostro fabbisogno alimentare, che, in termini di orto -frutta, e’ soddisfatto solo per il 30% dalle produzioni locali. Terzo è la mancanza di una vera continuità territoriale.

Il Piano Paesaggistico del 2006: Il Piano Paesaggistico Regionale, (quello vigente, approvato nel 2006) ha voluto disegnare un’idea della Sardegna fra cinquant’anni, fra cent’anni, e non ha pensato che l’unico modo sia quello di costruire altre duecentomila seconde case, ma ha pensato di proteggere il non costruito, le coste, i centri storici, le valenze geologiche, la montagna… convinto che l’economia nasca innanzitutto da un rafforzamento del nostro livello di istruzione, della conoscenza, e del sapere, a tutti i livelli. E’ nato da un’idea che l’Europa stessa ha promosso in una dichiarazione tra le più solenni: costruire una economia più ricca fondandola sulla conoscenza e sulla tutela dell’ambiente. Questa è la missione dell’Europa, creare nuovi e migliori posti di lavoro costruendo un’economia del sapere e della conoscenza capace di migliorare la qualità della vita per noi oggi e per domani, rispettando l’ambiente.

E la Sardegna è stata la prima e continua ad essere l’unica regione italiana dotata di un piano paesaggistico approvato e vigente, che tutti oramai vogliono difendere, soprattutto dagli attacchi che dal 2009 sta perpetrando l’attuale  Giunta Regionale. ”Non vendete l’Italia e il suo patrimonio, L’Italia è di tutti gli italiani, oltre ad essere la culla della civiltà occidentale. Il suo immenso patrimonio va gestito e conservato nel modo corretto e non disperso. Un’oculata gestione potrebbe, persino, sanare il debito pubblico. Questo è un patrimonio che costituisce l’identità di un paese ”.

La giunta Cappellacci sta cercando di smontarlo. Se i Sardi non prendono coscienza dei pericoli di questo ritorno al passato, ovvero di un arretramento culturale, e non contrastano una tendenza funzionale agli interessi di pochi, potrebbe anche riuscirci.La recente adozione del cosiddetto Piano Paesaggisticio dei Sardi conclude l’aggressione al Piano Paesaggistico Regionale, già fortemente indebolito dalle norme sull’edilizia approvate con il “Piano casa” approvato dal Consiglio regionale. Il “Piano casa” e le sue numerose proroghe, la legge sul golf con annessi hotel, club-house, villette e residenze per più di tre milioni di metri cubi, le ultime norme sulle zone umide e sugli usi civici sono un vulnus sull’impianto del PPR. Possiamo contare sul pronunciamento del Consiglio di Stato perchè il Piano Casa è stato impugnato dal Governo Italiano davanti alla Corte Costituzionale e sulla Corte Cosituzionale per il mondo in cui la giunta Cappellacci ha approvato il PPS senza la copianificazione con il MibacT. Vale però la pena di riprendere il filo del discorso sulla opportunità di tutelare il paesaggio e riflettere sul legame stretto che l’approccio paesaggistico mantiene proprio tra: Tutela del paesaggio = tutela dell’agricoltura = tutela della salute = tutela del cibo.

Criticità e potenziali per il territorio sardo: La crisi economica mondiale ha colpito la Sardegna ancora più duramente di altre regioni a causa del suo perdurante ritardo storico, nei confronti dell’Italia e dell’Europa. Se facciamo un raffronto nella dotazione di infrastrutture, al 2010. Facendo uguale a 100 il valore per l’Italia, nelle seguenti voci si nota il divario a sfavore della Sardegna:

Italia Sardegna

Sanità 100       55,10

Strade 100      45,50

Ferrovie 100   15,00

Porti 100         119,80

Aeroporti 100             84,80

Istruzione 100 53,40

 I dati della crisi in Sardegna

Tasso di disoccupazione al 3° trimestre 2010

12,4%

Tasso di disoccupazione giovanile (15 – 24 anni)

44,7%

Numero disoccupati (persone in cerca di occupazione)

190.000

Numero lavoratori con un lavoro temporaneo

90.000

Tasso incidenza della povertà relativa nelle famiglie

21,4%

Riduzione numero occupati dipendenti nel settore industriale

6.000

Numeri che descrivono una realtà in costante depauperamento, che spinge all’emigrazione i giovani migliori. Una perdita enorme di competenze e capitale sociale, il futuro della Sardegna che si impoverisce a livello locale e si realizza altrove.  Continua ad esserci propinata la menzogna secondo cui l’edilizia sarebbe uno dei principali motori per risollevare l’economia in crisi. L’investimento “nel mattone” dovrebbe attrarre altri investimenti, senza stare a guardare per il sottile, se è soprattutto per “lavare” il denaro sporco delle mafie, stabilizzandolo nella rendita fondiaria. Politici ed anche molti imprenditori non tengono conto che l’attuale crisi economica nasce proprio dalla “bolla immobiliare” americana. Interrompere queste pratiche, si sente ripetere, è impossibile perché vanno protette la manodopera e le imprese. Non è vero. Di lavoro per imprese e operai ve ne sarebbe di più se si decidesse di dare priorità assoluta alla messa in sicurezza del territorio, al recupero degli edifici abbandonati, all’abbattimento degli orrori che assediano le periferie, sostituendoli con una nuova edilizia di qualità.

La Sardegna non deve competere con quel turismo che è uguale in ogni parte del mondo (in Indonesia come nelle Maldive, nei Caraibi come nelle Isole del Pacifico) ma vede la sua particolare specifica natura come una risorsa unica al mondo perché diversa da tutte la altre.  Per quel che riguarda la Sardegna, se si toglie il PPR del 2006; è l’evidente mancanza di un progetto per il futuro, che si traduce in un costante impoverimento. C’è qualcuno che sta studiando e progettando come debba essere il futuro della Sardegna? Quale la strada per un vero sviluppo? Quali le politiche per i beni culturali, per il paesaggio, per l’ambiente?. Interroghiamoci se davvero oggi questo è l’orizzonte delle nostre amministrazioni.

Preservare il territorio agricolo: Già richiamando solo la  Legge 17 agosto 1942, n. 1150) in materia di Urbanistica, in cui l’art. 1 dice: “ll ministro dei lavori pubblici vigila sull’attività urbanistica anche allo scopo di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo”, dovremo considerare invalicabile il tetto del 73,43% di case vuote realizzate nei territori costieri.

Meno male che ha ripreso il suo percorso il disegno di legge in materia di “contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato”. Un disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri in via preliminare il 15 giugno scorso ed esaminato il 7 novembre scorso dalla Conferenza Unificata. Dal dibattito è uscita rafforzata la convinzione che si debba continuare a fare passi in avanti verso una società e uno Stato che siano in grado di dare piena attuazione ai dettami della Costituzione, a partire dall’art. 1, “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e dall’art. 9, “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio storico e artistico della nazione”, in linea con gli indirizzi dall’Europa.

Una Legge con un obiettivo molto ambizioso e di vasta portata per quanto comporta il livello urbanistico e territoriale: entro il 2020, le politiche comunitarie dovranno tenere conto degli impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050. Una formula che non significa che non si potranno più occupare territori e spazi liberi, ma lo si potrà fare a saldo zero, cioè liberando e disigillando una superficie equivalente di terreno da restituire all’utilizzo agricolo o semi-naturale. Obiettivo della Legge è Valorizzare i terreni agricoli e promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente, al fine di impedire che il suolo, bene comune e risorsa non rinnovabile, venga sottratto alla sua utilizzazione agricola e stravolto nelle sue connotazioni naturalistiche attraverso l’eccessivo consumo.

Mentre il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, erigendo una cortina fumogena con il suo PPS, garantisce una presunta nuova certezza del diritto e ci parla di parchi, di turismo sostenibile, di valorizzazione dell’agroalimentare e di conservazione dei valori identitari, a noi ci viene da domandarci perché per fare un Costa Smeralda Parks sia necessario invadere il territorio con altri 450mila mc di cemento. Perché l’attuale proprietario della Costa Smeralda non incomincia da subito a tutelare i valori identitari e a rilanciare l’agroalimentare partendo dall’enorme patrimonio già in suo possesso? L’offerta fatta all’emiro è solo l’ultima delle distruzioni perpetrate da questa Amministrazione al territorio della Sardegna.

Tutelare il paesaggio agrario è la priorità. La qualità della terra, dell’agricoltura, del cibo sono la precondizione per vivere più a lungo, per uscire dalla crisi in Sardegna: dalle statistiche ufficiali emerge inesorabilmente che la Sardegna è fanalino di coda per qualità della vita, benessere.  Il 75% delle regioni d’Europa è più competitiva della Sardegna. La nostra regione ha performance peggiori. Il reddito della Sardegna è al 32° posto delle regioni europee e ammonta a circa 18.000 euro, pari all’81% della media UE a 27 membri. La soglia di povertà, interessa il 21,4% delle famiglie sarde, circa 350.000 persone.

Ma c’è una Sardegna della crisi e c’è una Sardegna della speranza (e delle contraddizioni). Accanto al quadro economico–sociale negativo abbiamo visto le potenzialità del turismo attuale e di quello possibile del futuro se riuscissimo a superare i gap della valorizzazione dei nostri prodotti alimentari e della continuità territoriale  C’è un’apparente contraddizione tra reddito e qualità della vita.  Si dice “I sardi stanno bene”; “In Sardegna si vive meglio”! Quanto c’è di vero in questa frase che spesso abbiamo sentito da parte degli emigrati? Solo un po’ di nostalgia? Il grado di percezione del “benessere soggettivo” e di “soddisfazione” da parte dei sardi sembrerebbe confermare quello che finora sembrava solo un mito. L’80% di sardi rappresentativi di zone, di livelli sociali, classi di età diverse si dichiara felice. Questa risposta è già straordinaria. C’è un immaginario dei sardi e c’è un mito metropolitano della Sardegna “isola felice”. Questo fattore è di notevole importanza per la promozione futura della Sardegna.  

La longevità dei sardi, è l’espressione tangibile della filosofia della “soddisfazione” sulla qualità della vita da parte dei sardi. In Sardegna ci sono più ultracentenari che in altre parti del mondo: a maggio 2010 erano circa 350, in media circa 22 ogni centomila abitanti, contro una media generale tra gli 8 e i 10. Tale caratteristica ha spinto gli scienziati a studiare la popolazione sarda, nel tentativo di svelarne i segreti della longevità. Per spiegare tali particolarità, sono state formulate molte ipotesi, come la qualità della vita o un particolare regime alimentare, anche se gli studiosi sono interessati, più che altro, ad analizzare i fattori genetici, i quali, in concomitanza con i fattori ambientali, potrebbero svelare il segreto di tale longevità. “Sono tanti i fattori che concorrono alla longevità: genetico, sociale e antropologico“. L’ambiente in cui si vive e l’alimentazione sono importanti, determinante è poi l’affetto familiare, che produce grande serenità“.

La Sardegna vanta alcuni primati, tra cui:

– l’uomo più vecchio del mondo, attestato dal Guinness dei Primati 2001; Antonio Todde (chiamato Tziu Antoni), nato a Tiana (NU) il 22 gennaio 1889, è scomparso nel 2002, poche settimane prima di compiere 113 anni; attribuiva la sua longevità al bicchiere di buon vino rosso che beveva ogni giorno;

-l’uomo più vecchio d’Europa, e al terzo posto in tutto il mondo, nel 2003; Giovanni Frau, nato a Orroli (CA) il 29 dicembre 1890, è scomparso il 19 giugno 2003, all’età di 112 anni.

Se siamo fatti di ciò che mangiamo (dopo 6 mesi il turn over dei tessuti fa si che tutta la materia di cui siamo costituiti sia rinnovata, ed è meglio essere fatti di cose buone piuttosto che di schifezze), e viviamo più a lungo nella media, potremmo guardare alla qualità del nostro cibo per migliorare e superare i nostri svantaggi. E se noi sardi viviamo più a lungo perché mangiamo meglio con un cibo di qualità, perché allora dobbiamo rischiare di perdere il valore e la qualità di ciò che mangiamo? Meglio un prodotto appena più caro, ma prodotto nel nostro ambiente e riconoscibile, piuttosto che scegliere un prodotto a basso costo, a volte pesantemente manipolato.

Fortunatamente, dopo anni di attesa, prende forma la legge che obbliga produttori e trasformatori a dichiarare in etichetta la provenienza delle materie trasformate e il luogo della trasformazione: “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari”. A questo punto, se la Sardegna vorrà davvero salvaguardare le proprie tradizioni, il paesaggio rurale e l’ identità alimentare, da cui derivano il benessere e la longevità della sua popolazione, dovrà impegnarsi per salvare dall’estinzione l’agricoltura e l’allevamento dell’Isola a vantaggio di urbanizzazioni inutili. Dovrà essere, cioè, disponibile a pagare un poco di più gli alimenti locali, ormai perfettamente riconoscibili e per i quali però sia assicurata anche una equa distribuzione della ricchezza fra tutti gli attori della filiera, per avere in cambio la garanzia di cibo buono, sano, pulito e giusto.

Soltanto un patto fra produttori e consumatori, che si rigenera continuamente nel quotidiano, ma definitivo, gesto di scegliere un prodotto di Sardegna, potrà limitare i rischi della globalizzazione dell’economia, sul nostro territorio e sulla nostra salute. Nel bilancio del 2012 della Regione Sarda l’agricoltura però è stata trattata in maniera residuale. L’opposizione in Consiglio denuncia che sono stanziati, a mala pena, i fondi per il mantenimento delle strutture amministrative e di assistenza tecnica. Molto più attrattivi di risorse gli usi distorti del territorio, ovvero della fonte del nostro cibo.

Ma ora l’Unione Europea programmando la politica agricola comunitaria per il periodo post 2013, propone di riservare il 30% degli aiuti diretti agli agricoltori vincolandoli a migliorare il clima e l’ambiente, difendere il suolo, tutelare il paesaggio, diversificare il colturale sui propri terreni, mantenere la biodiversità. Un vantaggio a favore dei produttori agricoli, che vanno posti nella condizione di disporre di strumenti di produzione necessari.

Carlo Petrini, presidente di Slow Food, nella lettera aperta al nuovo ministro propone un decalogo per l’agricoltura, prima di tutto a salvaguardia dei Diritti dell’Uomo: 1. Garantire la fertilità dei suoli; 2. Incentivare l’agricoltura nelle zone a rischio idrogeologico; 3. Ridurre le emissioni di CO2; 4. Ridurre gli sprechi, perché un terzo del cibo prodotto finisce nella spazzatura; 5. Proteggere risorse come oceani, acque interne e l’aria; 6. Invertire la tendenza delle malattie “da benessere” come obesità, diabete, disordini cardiocircolatori e tumori causati da inquinamento e cibi spazzatura; 7. Mitigare i cambiamenti climatici; 8. Proteggere le culture locali; le loro conoscenze e sapienze sono indispensabili per la sostenibilità dell’agricoltura e per questi tempi di crisi ambientale, sociale, economica; 9. Proteggere le economie locali e i mercati di prossimità che possono rivalutare le aree rurali, farle tornare ad essere luoghi di benessere, di occupazione giovanile; 10. Mantenere alta la bandiera del turismo rurale, che si nutre di paesaggio, buon cibo, bellezza.

Le imprese agricole sarde potrebbero avere un grande aiuto se vengono messe anche in grado di sviluppare le rispettive produzioni, anche con un il sostegno alle attività di turismo rurale e con piccoli aiuti per modeste autoproduzioni energetiche da eolico, fotovoltaico o da biomasse per integrare il reddito agricolo. Con il risultato di essere le prime sentinelle della salvaguardia del paesaggio rurale. Tutte cose che l’agricoltura industriale non potrà mai fare, anzi è una delle cause del disastro attuale. In attesa di politiche decisive però c’è qualcosa che ciascuno di noi può fare da subito. Rivedere i propri comportamenti d’acquisto. Comprare e regalare prodotti locali. Ci sono centinaia di ottimi agricoltori, allevatori, artigiani dell’agroalimentare, compriamo da loro, aiutiamo le economie di comunità a sopravvivere e prosperare, e magari espandersi oltre il campo locale.

Così possiamo propagandare la Sardegna della bella e lunga vita. La Sardegna che ospita gli anziani, non solo gli emigrati di ritorno, può essere la Florida dell’Europa. I pensionati che possono trascorrere lunghi periodi in Sardegna in autunno, inverno, primavera, rappresentano una potenziale risorsa economica importantissima. Il costo di un bene e la sua qualità non sono variabili indipendenti. Di norma ciò che vale poco, costa poco. E se la Sardegna vale molto, non possiamo svenderla per quattro mattoni!

 *Ingegnere. Già Direttrice generale dell’Assessorato all’Urbanistica ed agli EEE.LL..

One Comment

  1. Francesca Gallus

    Anche solo il titolo è lungimirante.
    E naturalmente l’Ing. Cannas è una delle persone e dei tecnici più competenti del settore.

    Grazie a Sardegna Soprattutto per questi straordinari contributi

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