Son et lumière en Sardaigne [di Andrea Sotgiu]
Suoni e sapori di Sardegna o, per un omaggio all’esotico, Son et lumière en Sardaigne è il giusto titolo della saga in onda in Sardegna, da luglio a settembre, e che si vuole allungare fino ad ottobre. Stranianti le pagine degli spettacoli e della cronaca che la raccontano nei media sardi o le locandine affisse in botteghe e bar di ogni paese o nei luoghi di sosta delle strade sarde. Surrogano la politica in vacanza ben prima dell’estate. Dove abita la vita reale di quest’isola? Chi la rappresenta? Se lo chiederanno lo straniero che si avventuri nella lettura o nel sagrificio diffuso ma anche ogni sardo di buon senso. Come capire lo stato di salute di un luogo se tutto finisce in sagra, spuntino e pecora bollita, o in concerti, festival, rassegne con artisti di fama che scandiscono ogni giornata estiva? Tutti, indistintamente nel libro paga di Regione, Comuni, Fondazione Banco di Sardegna. Da dove arrivano i sapori autentici e come garantire il chilometro zero se per sfamare i sardi si importa più del 60% del cibo e se la popolazione raddoppia d’estate? Di territoriale neanche l’ombra, alla faccia della pubblicità. La rappresentazione ingannevole si ripete in tutta l’isola: nella costa gallurese, in quella catalana o ogliastrina, nel golfo degli Angeli dove il fenomeno va oltre ogni limite per seconde case, resort, navi/crociera. Rappresentazione contestuale allo storytelling di siti e di comunicati istituzionali. Tanto immaginifico quanto ingenuo e che, da troppo tempo, confonde la pubblicità e gli slogans con l’informazione. Quella prevista dall’art. 21 della Costituzione che vale anche per le istituzioni. Ma se chi governa ha interesse a mischiare propaganda e realtà, spetta a giornalisti e intellettuali essere cani da guardia e fare le pulci. Cosa rara. Si prenda a campione una notizia e si confrontino il sito della Regione e una parte della stampa sarda e si traggano le conclusioni. Al netto del crollo del giornalismo d’inchiesta e dell’autonomia dei giornalisti, anche per l’aumento del precariato, si capisce a primo colpo che la politica sarda nella rappresentazione mediatica è problematica. La cronaca politica infatti è scandita con regolarità dal calendario delle veline e la narrazione mediatica sembra giocata sul personale piuttosto che sui problemi. Annunci, fotine, pistolotti, autorappresentazioni lo evidenziano. Nel mentre l’istruzione sarda è alla deriva, il territorio in preda ad un assalto mai visto prima, l’ambiente è offeso, lo stato dell’industria e del lavoro rendono superflui due assessorati. La disoccupazione giovanile, quella senza titoli di studio e quella con i master, alle stelle e l’emigrazione come negli anni Cinquanta/Sessanta. Si comprende pertanto per quale ragione quando si spengono le luci estive la Sardegna ed i sardi hanno difficoltà ad essere presi sul serio. Con quale autorevolezza dopo tali grancasse, assenza di comprensione del contesto, incompetenza si pretende di rappresentarsi come icone del sottosviluppo o al contrario di ogni possibile futuro? Quale possibilità di riuscita possono avere classi dirigenti talmente autoreferenziali da inondare i sardi di slogan sulla Sardegna, sempre prima in qualcosa? Certamente la Sardegna è la prima per subalternità al governo. Come giustificare non aver presentato ricorso alla Corte costituzionale contro il decreto sblocca-trivelle come hanno fatto Molise, Abruzzo, Marche, Puglia, Calabria, Basilicata? Sarebbe stato parimenti un gesto apprezzabile un maggior rispetto dei docenti lasciati soli come d’altra parte sono stati lasciati soli disoccupati e cassintegrati a fare da quinta scenica nei programmi televisivi. L’estate in Sardegna è ancora lunga. Un augurio a questa giunta inconsapevole di godersi le ultime sagre (ce ne sono ancora tante). Un augurio ai sardi che gli vengano risparmiati veline e slogan trionfalistici e gli venga data, finalmente, una squadra di governo. |