Quarzo [di Gianluca Pisano]

quarzo

“Uffa, non riesco a dormire” penso, rigirandomi nel sacco a pelo.
Il mio orologio luminoso segna le due. Nonostante i miei genitori abbiano montato la tenda distante dalla spiaggia, il frastuono delle onde mi ha tenuto sveglio ininterrottamente.
Ricordo bene questo rumore: lo sentii, per la prima volta, in una notte del mio primo campeggio durante la scorsa estate.
Allora, mio padre mi spiegò che proviene dal mare in burrasca, ed è simile a quello che si sente sul ponte di una nave in mare aperto.
Domani vorremmo visitare un’altra spiaggia della costa del Sinis, non distante da quella in cui siamo ora.
Spero sia meravigliosa, come l’altra in cui siamo stati ieri.
Vorrei tornarci adesso per mostrarla a tutti voi, ma, per farlo, dovrò prima raggiungere il mio luogo segreto e portare con me il quaderno preferito.
Questo luogo si trova su un albero, a ridosso della spiaggia del campeggio, sulla prima fila di pini che la delimitano.

Venite con me…

Eccolo lì, il mio luogo segreto. Ora diventerò leggero come un insetto alato, capace di librarmi in aria per poi posarmi sugli aghi di pino, e farmi cullare dal loro incessante moto.
– Arrivo, Saetta! – bisbiglio verso il cielo stellato, scegliendo il ramo più alto su cui atterrare, da cui potrò vedere il mare scuro in tempesta.
Vedete: Saetta è il timoniere del vascello che solca, di notte, queste acque.
L’anno scorso mi raccontò come aveva costruito la sua imbarcazione: utilizzando alghe, conchiglie e pezzi di legno raccolti dai fondali marini.
Saetta è una creatura femminile bellissima, affidabile e saggia, e sa sempre dove portarmi.
Di lei non so dirvi tanto, perché non è del tutto umana. O forse sì, ma sicuramente non di questo tempo.
Che peccato, come vorrei darle un bacio!
Ha l’aspetto tremolante di una sagoma all’orizzonte, quando la si osserva sotto il sole rovente.
L’orizzonte in cui si trova Saetta è il suo timone perché, se cerco di avvicinarmi a lei, timone e timoniere si allontanano.
Mi basta aprire il quaderno, trovare il primo foglio bianco e così, a breve, lei mi vedrà, lascerà le onde e verrà a prendermi…
Ecco, la vedo, arriva.

– Ciao. Bentornato, sei diventato proprio un bel ragazzo, lo sai? – mi dice lusinghiera.
Arrossisco. – Grazie, lo sai: devo andare in prima media! –
– Dove vuoi che ti porti, questa volta? –
– Vorrei ritornare sulla spiaggia dove sono stato ieri con i miei genitori. –
– Ricordi il nome? –
– Spiaggia di quarzo, forse. È fatta di tanti piccoli granelli di questo minerale. Me l’hanno detto i miei genitori, ma non hanno saputo spiegarmi il motivo. I granelli sono tutti colorati. Non avevo mai visto nulla di simile prima. –
– Ho capito, eravate ad Is Arutas. Salta su: ti ci porto, non è molto distante da qui. –
– Ma non sarà pericoloso con questo mare agitato? –
– Stai tranquillo, non ti accadrà nulla. –

Il vascello mi porta al largo, sfiorando la cresta delle onde senza mai colpirle. Il vento diventa fortissimo in mare aperto, ma Saetta sa come affrontarlo e sfruttarlo a nostro favore.
Vedo la costa sempre più lontana e buia. Un brivido di freddo e paura mi scuote, ma Saetta, con un’impalpabile carezza sui capelli, mi rassicura.
Dopo aver sorvolato un basso ed esteso isolotto, molto distante dalla costa, visibile grazie alla tenue luce lunare, Saetta punta finalmente la prua verso la terraferma, dove mi lascia scendere.
È lei: la spiaggia di quarzo.

– Ora devo andare, ti lascerò giocare un po’ sulla tua spiaggia preferita – mi comunica Saetta. – Ma verrò a prenderti tra mezz’ora, per riportarti in campeggio. –

Finalmente posso sdraiarmi sui lisci granelli multicolore, sentirne la superficie, fresca a quest’ora della notte. Inizio così ad affondarvi le mani, i piedi. Mi rotolo da una parte all’altra. Non vorrei mai smettere.
Ma ad un tratto, nuvolette di granelli si sollevano, in modo disordinato, dalla superficie, mosse da una forza che sembra agire solo su di loro.
I granelli, dopo un po’, pian piano si raggruppano formando un’unica sagoma: un gigantesco viso.

– Chi… cosa sei? – chiedo impaurito a quel volto.
– Mi chiamo Malu Entu, lo spirito dell’isola che porta il mio stesso nome, quella che hai sorvolato poco fa. Disto nove chilometri dalla terraferma. –
– Cosa vuol dire Malu… –
– Vento cattivo. Come quello di stanotte: qui spesso scateno un maestrale impetuoso. Ma i più mi chiamano isola di Mal di Ventre, perché gli antichi abitanti della costa trascrissero male il mio nome. Sai, da queste parti, sono l’isola più conosciuta. –
– Perché? –
– Sono un’importantissima oasi naturalistica, sia per la flora, che per la fauna. Da me nidificano diverse specie sia di uccelli marini, che di tartarughe marine. E ospito l’unico esemplare del Mediterraneo del temibile ragno… la Vedova Nera! Ma, soprattutto, sono l’unico affioramento, in questo tratto di costa, di un basamento granitico risalente all’età Paleozoica. Sai cosa significa? –
– Che ci sei da tantissimo tempo – gli rispondo.
– Esattamente, e da prima dei dinosauri! La mia storia inizia circa 600 milioni di anni fa. Mi formai a causa di vasti movimenti della crosta terrestre. Inizialmente ero sommerso da queste acque. Con il lento raffreddamento delle rocce, emersi dal sottosuolo, ed il movimento incessante del mare iniziò, su di me, un lento ma costante processo di erosione.
– I granelli di sabbia, invece, da dove provengono? –
– Cominciai a sfaldarmi e i minerali che erano attaccati a me, iniziando da quelli più fragili, come la biotite, ai più resistenti e duri, come i feldspati e il quarzo, si separarono dalle mie rocce, depositandosi in enormi sacche nel sottofondo. L’erosione è continuata, implacabile, sminuzzando, levigando e arrotondando i minerali, sino a trasformarli nei granelli che stai osservando.
– E i tuoi colori? Da dove provengono? Sono magnifici. –
– Sono caratteristici di ciascun minerale che, un tempo, ospitavo nelle mie rocce granitiche. Vedi i miei occhi? – Il viso fluttuante si volta verso la luna.
– Sì, sono verdi. –
– Infatti. Ho raggruppato i granelli verdi per mostrarti la Malachite. Il mio viso rosa, invece, è fatto di Feldspati. Il nero delle mie ciglia è quello della Biotite. Il bianco degli occhi ed il grigio dei miei antichi capelli sono quelli del quarzo. –
– Affascinante – osservo.
– Come sono arrivati i granelli fin qui? Li hanno spinti le onde? –
– Bravo. Ancora oggi, le correnti marine separano i granuli dalle sabbie, depositandoli sulla battigia delle bianche spiagge del Sinis.

Saetta è arrivata e attende, alle mie spalle, che Malu Entu mi lasci andare.
Appena i granuli si disperdono sotto una forte raffica, arriva la voce della mia timoniera:
-Dobbiamo andare, prima che i tuoi genitori si accorgano della tua assenza. –
– Va bene – le rispondo con voce un po’ delusa.

Il vascello mi culla tra le onde, ed i miei occhi si chiudono per la stanchezza.
All’improvviso, un potente lamento, dal suono semi-umano, emerge dal mare, sovrastando il frastuono delle onde. Lo specchio d’acqua sotto di noi comincia a gonfiarsi, assumendo le sembianze di un busto umano, che ruota e si contorce, come se stesse soffrendo.
Saetta ferma bruscamente il vascello e si volta verso di me, con sguardo indagatore.
– Cos’hai in quella tasca? – mi chiede.
– Niente… –
– Sicuro? –
– Mmm… un piccolo ricordo di questa spiaggia – le anticipo.
– Ah, ecco – incalza lei, con l’espressione di chi ha già capito.
– In effetti ho riempito un sacchetto con della sabbia di quarzo. – Mi rendo conto, mentre le confesso il mio gesto, di aver fatto qualcosa che non avrei dovuto fare e arrossisco, abbassando lo sguardo.
– Vedi – riprende Saetta – questo luogo è magico, come lo siamo io e il mio vascello. E, come ogni luogo magico, è molto fragile e bisogna averne cura. Se ciascuno di noi portasse via con sé un sacchetto di granuli di quarzo, perderebbe presto il suo fascino, per sempre. E nessuno potrebbe più ammirarlo. –
Intanto, il lamento non si placa e, dalle onde, sembrano uscire due enormi braccia d’acqua, con mani che si formano e si trasformano continuamente in schiuma, tendendosi verso di me.
– Ho paura! – grido a Saetta.
– Non averne. Ma prendi quel sacchetto e svuotalo. Fallo subito, lo spirito di Malu Entu ti lascerà in pace.
Seguo il suo invito, facendo scivolare i granelli colorati verso il mare.
Il livello dell’acqua finalmente scende e le braccia imploranti tornano a confondersi tra le onde.
– Hai fatto la cosa giusta – commenta Saetta, mentre naviga verso la mia destinazione.

Fa freddo, ed ora ho finalmente sonno. Seduto su questo grande ramo, che ho scelto come scrivania e col quaderno illuminato dalla luce lunare, ho provato a condurvi in un luogo sicuramente affascinante.
Ma con carta e penna, insieme a Saetta, vi porteremo ovunque!

Foto di Viviana Careddu ©

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