Un’Associazione per valorizzare il Romanico in Sardegna (1) [di Giuseppina Deligia]
Pubblichiamo la prima parte di un Contributo sul Romanico sardo. La seconda e la terza parte saranno pubblicate nei prossimi giorni (NdR). Si ergono su tutto il nostro territorio, per lo più isolate nelle campagne ma sempre maestose nella loro semplicità di forme e decorazioni. Anche l’occhio del viaggiatore più distratto non può fare a meno di notarle mentre percorre la lunga strada che collega il nord con il sud dell’Isola. Spesso trascurate non solo dagli organi istituzionali competenti ma dalle stesse comunità cui appartengono, in molti casi adibite a ricovero per animali; le chiese romaniche sarde sono in realtà la preziosa testimonianza di un’epoca in cui la nostra Isola ha giocato un ruolo di primo piano nelle vicende politiche, economiche e culturali del continente europeo. Un tempo in cui la produzione artistica altro non era che l’espressione più concreta degli importanti interessi politici e religiosi che stavano alla base della società medievale. Il nostro patrimonio romanico deve dunque essere interpretato come la manifestazione tangibile delle attenzioni che durante il Medioevo riversavano sull’Isola i maggiori protagonisti della storia nazionale ed internazionale: la Santa Sede, le potenze marinare di Pisa e Genova, i sovrani europei. Per comprendere appieno il ruolo giocato dalla Sardegna nelle vicende dei secoli medievali dobbiamo però allontanarci dal cliché a cui ci hanno abituato sin da bambini secondo il quale l’Isola era posta ai margini delle terre conosciute, completamente abbandonata a sé stessa, povera sia economicamente che culturalmente. La Sardegna dei secoli medievali era al contrario un ambiente assai fertile dal punto di vista artistico e culturale, reso più vivace dai continui rapporti intessuti con Pisa e Genova, dalla presenza degli ordini monastici e dalle attenzioni della Santa Sede. In quei secoli vigeva in Sardegna una particolare organizzazione governativa autonoma, unica in tutto il continente europeo e considerata da parte della storiografia moderna come il preludio agli Stati Nazionali che successivamente si sarebbero sviluppati in Europa. Nel Medioevo l’Isola era ripartita in quattro regni del tutto indipendenti tra loro ovvero i giudicati di Torres, Gallura, Arborea e Cagliari. La critica moderna è propensa a ritenere tali giudicati come una diretta e spontanea propaggine della magistratura bizantina che prevedeva un iudex a capo di un determinato territorio, da lui retto in nome dell’imperatore di Bisanzio. Ed è così che al governo di ciascuno di questi regni ritroviamo nei secoli medioevali un iudex, il quale però non è più un funzionario regio ma un vero e proprio sovrano che, tra l’altro, rivendica una legittimazione divina, ispirandosi in questo al modello imperiale. Sul trono di ciascuno di questi giudicati si sono succeduti diversi personaggi appartenenti alle più importanti famiglie dell’Isola, il più delle volte imparentate tra loro anche a seguito di una brillante politica matrimoniale volta a costituire strategiche alleanze. Tra questi sovrani ne spiccano alcuni per acume politico e per lungimiranza culturale ed è proprio a loro che si deve il fiorire in Sardegna di un’intensa attività culturale, soprattutto architettonica poiché le grandi opere in pietra erano considerate la manifestazione più immediata e sincera del sentimento religioso. Gli uomini del Medioevo infatti ritenevano che l’edificio di culto fosse il trait d’union per eccellenza tra il mondo terreno e quello sovrannaturale. La Sardegna dunque non rimase estranea a quel particolare fenomeno che tra l’XI e il XIV secolo interessò tutto il continente europeo e vide il moltiplicarsi di edifici ecclesiastici, accomunati da uno stesso linguaggio stilistico: il Romanico, che nell’Isola si manifestò in particolar modo nella sua accezione pisana. Le chiese romaniche sarde devono dunque aiutarci a ricordare l’importante ruolo giocato dalla Sardegna nella Storia (con la S maiuscola) europea, evocando in noi i nomi di grandi personaggi quali: papa Gregorio VII, Federico I Barbarossa, il conte Ugolino della Gherardesca (reso immortale dal grande poeta Dante Alighieri), Federico II di Svevia. Gli stessi monumenti si ergono in ricordo di un tempo in cui l’Isola godeva di piena autonomia, per la difesa della quale il popolo e i suoi sovrani si sono battuti con così tanto ardore da entrare nella leggenda: basti ricordare su tutti Eleonora d’Arborea. Il patrimonio del romanico sardo costituisce ormai l’unica testimonianza tangibile e visibile a tutti di una Sardegna che nei secoli medievali era ben inserita nella politica e nella vita culturale del Continente. Posta al centro del Mediterraneo, l’Isola assumeva infatti una posizione strategica nello scacchiere europeo, attirando su di sé le attenzioni dei principali protagonisti di quei secoli: controllare la Sardegna avrebbe significato infatti possedere nel Mediterraneo un importante avamposto sia militare che economico. Fu così che sulla nostra Isola conversero gli interessi e le mire espansionistiche delle realtà più potenti d’Europa; ognuna delle quali cercò a suo modo di sottometterla al proprio controllo. Da parte loro, i giudici furono propensi a incentivare le ingerenze esterne, soprattutto mediante una politica di alleanze alquanto altalenante finalizzata principalmente alla difesa del territorio e del potere giudicale. *Laureata e Specializzata in Conservazione dei Beni Culturali
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Ottimo lavoro,interessante e dettagliato:spero di poterne leggere altri.