Il valore dell’onestà [di Raffaele Deidda]

Eva Stazione Tonara

Ho visitato la stazione di Monte Corte a Tonara, un tempo sede di vivaci movimenti ferroviari. Ora è abbandonata e deserta. Ho immortalato quello che costituisce memoria dei miei genitori che vi hanno lavorato negli anni ’40. Tornano alla mente i racconti di mia madre ogni volta con qualche elemento di novità. Sempre affascinanti. Talvolta inquietanti.

Come l’assassinio del latifondista Vincenzo Arangino e di suo figlio, a poca distanza da Monte Corte mentre la signora Arangino era con mia madre nella casa della stazione. Spesso i racconti erano più privati. Come l’amicizia di mio padre col medico di Tonara Giovanni Sulis, Nanneddu meu della poesia di Peppino Mereu, compare di battesimo e compagno di partite a carte e di spuntini di selvaggina cacciata nei dintorni della stazione.

Mentre ripensavo a quei racconti un signore con la chioma bianca, osservandomi ieratico rispose al saluto con un “Buongiorno”. Poi mi chiese: “Scusi, lei chi è e cosa fa qui?”. Risposi che fotografavo quei luoghi per recuperare un supporto ambientale ai racconti materni. “Sa, mia madre è stata sostituto capostazione qui, negli anni della guerra, quando mio padre era richiamato a Cagliari, presso l’Ospedale militare”. La qualifica di telegrafista gli aveva evitato destinazioni più scomode e pericolose. “Non mi dica che lei è il figlio della signora Eva, la signora della stazione!”. “Si, è così”. “Com’è piccolo il mondo!”, continuò l’uomo togliendosi la coppola in segno di rispetto. “Conoscevo bene sua madre, una donna forte e molto, molto in gamba. Ci ha sempre aiutato nella spedizione delle merci, spesso accompagnavo mio padre e ci siamo rivolti a lei anche quando non era orario per il pubblico e l’ufficio della stazione era chiuso. Lei era sempre molto disponibile. Abitava in stazione. Lo sa, vero?”.“Si, certo che lo so. Per lei la stazione era abitazione e posto di lavoro”.

Ora le racconto una storia”, continuò enigmatico. “Una volta mio padre ed io siamo arrivati in stazione col carro per spedire un carico di mandorle. Sua madre, gentile come sempre, ha preparato i documenti di viaggio e poi ha dato l’autorizzazione a caricare la merce sul vagone ferroviario. Il treno sarebbe partito dopo due ore. Stavamo lasciando la stazione quando sono arrivati i carabinieri. Hanno arrestato mio padre e chiesto il sequestro delle mandorle. Sa, erano rubate….le avevamo prese in Marmilla. Lo sguardo severo di sua madre ha fatto abbassare la testa a mio padre che la teneva alta e sprezzante di fronte ai carabinieri. Ahahahah”.Risata contagiosa. Perché l’onestà era il valore più grande. Tutto poteva perdonare mia madre, mai la disonestà.

Avevo 9 anni, scoprì che nascondevo un tesoretto, circa duecento lire. Mi chiese come le avessi avute e confessai. Ero andato a fare la spesa alla bottega degli alimentari, dove si annotava nel libretto nero degli acquisti. Il pagamento avveniva infatti alla riscossione dello stipendio che, nella veste di impiegata postale dopo la morte di mio padre, era a fine mese. Di fronte alla bottega, per terra, la visione: tante monete per quasi duecento lire! Messe concitatamente in tasca, guardandomi intorno per il timore che qualcuno mi vedesse. Erano tanti soldi, mai avevo avuto in tasca più di 5 o 10 lire.

Mia madre mi costrinse ad andare con lei a consegnare il tesoro al proprietario del negozio, a cui disse: “Mio figlio ha trovato qui di fronte questi soldi, sicuramente li ha persi qualcuno che è stato nel negozio. Se qualcuno li reclama, vuole darglieli per cortesia?”.

Il negoziante la guardò allibito. Con duecento lire si potevano comprare molti etti di pasta, di farina, di zucchero. Poche persone avrebbero pensato di restituire quei soldi, trovati per strada. Poi guardò me, sorrise e mi regalò una manciata di caramelle mou che fissai intensamente nel palmo della mano. Avevano un valore enorme. Quello dell’onestà.

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