Corsica, altre armi contro il cemento [di Dominique Franceschetti]

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Le Monde diplomatique/il manifesto 18 settembre 2015. Quando si tratta di Corsica, un punto sembra fare consenso: la bellezza e la conservazione del suo territorio, relativamente risparmiato dal turismo di massa e dalla cementificazione che hanno devastato le Baleari o altre coste mediterranee. Per il filosofo portoghese José Gil «i corsi hanno sempre posseduto un dispositivounico, prezioso, funzionante come un oggetto artistico: il “corpo” dell’isola» (José Gil, La Corse entre la liberté et la terreur, La Différence, Parigi, 1991).

Ancor prima dello scandalo fondiario e viticolo che ha portato ai fatti di Aleria nell’agosto del 1975 (Il 21 agosto 1975, ad Aleria, dei militanti nazionalisti occupano una cantina vinicola appartenente a un ex pied-noir d’Algeria. L’indomani, un migliaio di gendarmi venuti dal continente li assalta; due gendarmisono uccisi e molti occupanti feriti) e, di seguito, alla creazione del Fronte di liberazione nazionale corso (Flnc), il caso dei fanghi rossi tossici sversati al largo di Capo Corso dalla società italiana Montedison, senza che il governo francese ne sia stato minimamente turbato, ha dato luogo a grandi mobilitazioni popolari e alle prime azioni clandestine.

Nel rapporto esecutivo, la Collettività territoriale della Corsica, incaricata di elaborare il Piano di gestione e di sviluppo sostenibile della Corsica (Padduc), formula gli obiettivi primari: «Il Piano definisce una strategia di sviluppo sostenibile del territorio, fissando come obiettivi la conservazione dell’ambiente insulare e il suo sviluppo economico, sociale, culturale e turistico», strategia che «garantisce l’equilibrio territoriale e rispetta i princìpi del codice di urbanistica».

Con questo testo, che potrà andare in senso opposto ai documenti di urbanistica, si gioca il destino dei più bei paesaggi dell’isola, dei suoi 1.047 chilometri di costa e dell’utilizzo degli spazi agricoli (il 19% del territorio contro una media francese del 49%). Il carattere inalienabile della terra al settore dell’edilizia abitativa, il turismo di massa e l’industria ricreativa per il tempo libero continuano a rappresentare per certi attori politici o economici una manna insostituibile – o una grande lavatrice di denaro sporco.

Ora tali attività divoratrici di paesaggi cozzano violentemente con il convincimento che anima ancora oggi un gran numero di isolani: il carattere inviolabile e inalienabile della terra. Per i corsi «nel villaggio, in cima alla montagna e circondato da altre vette, non vi è frattura radicale tra l’universo umano e quello fisico» scrive José Gil.

Spesso, la società tradizionale comportava l’esistenza di comunità scollegate dal mercato e dalle transazioni monetarie. Al punto che in molte valli la circolazione del danaro liquido si è imposta realmente soltanto fra le due guerre. La posizione strategica dell’isola nel Mediterraneo ha fatto sì che quest’ultima abbia dovuto regolarmente far fronte alle pretese colonizzatrici delle potenze regionali che se ne disputavano il controllo.

Ma la Corsica è in primo luogo un territorio montano molto difficile da occupare e da amministrare, nel quale 35 vette superano i 2.000 metri e dove, nel 1786, si contavano 380 villaggi. Fuggendo le coste insalubri, luoghi di frequenti razzie, i corsi hanno sempre preferito le alture. Nonostante l’esodo, l’urbanizzazione e l’occupazione tardiva del litorale, il crogiolo della cultura insulare resta paesano e lo Stato viene da sempre percepito
come istanza esterna.

Vista dal continente, questa «società a mosaico» (Gérard Lenclud, En Corse, une société en mosaïque, Editions de la Maison des sciences de l’homme, coll. «Ethnologie de la France»,Paris, 2012) è oggi invitata a dissolversi nella globalizzazione. Così, inveendo contro il progetto di status di residente che, se si vuole acquistare un bene fondiario, impone di dimostrare la presenza sul territorio da almeno cinque anni, l’editorialista Christophe Barbier ha acutamente suggerito: «Se l’edilizia abitativa è un po’ troppo cara lì dove si è nati, ebbene, è l’occasione di andare a stabilirsi altrove!» (Europe 1, 10 agosto 2013).

Ignoranza e disprezzo oggi, ignoranza e perplessità ieri, quando, a metà XIX secolo, l’amministrazione francese indiceva il censimento sulla ripartizione dei beni comunali per fuochi. Come stendere un inventario secondo le nuove categorie e la nuova nomenclatura da essa stabilite? Nei villaggi del Niolu, per esempio, al centro dell’isola, l’addetto al censimento dovette constatare che «molto spesso due o tre famiglie hanno in comune un solo fuoco, ossia un solo camino, senza con ciò appartenere a uno stesso nucleo familiare» (Gérard Lenclud, «Des feux introuvables», Etudes rurales, n. 76, Parigi, 1979).

Difficile, in queste condizioni, applicare il frazionamento delle terre «comuni» per trasformarle in molteplici proprietà private intestate a singoli individui…

La doppia questione dello Stato e della proprietà privata va contro il modo di funzionare di questa società paesana organizzata, secondo l’antropologo Gérard Lenclud, intorno a «un ideale di sovranità coltivato in ogni valle, in ogni comunità, in ogni famiglia, e dove l’autosufficienza familiare e paesana non è solo un obiettivo funzionale, ma costituisce anche un valore, un ideale da raggiungere».

In tale economia agropastorale, lo sfruttamento delle risorse poggiava su istanze collettive deliberanti, per le quali l’indivisione rappresentava il miglior garante dell’unità familiare e di villaggio; «un’invenzione costantemente rinnovata del “genio” sociale e culturale paesano», ritiene Lenclud. Così, quando lo Stato afferma l’intenzione di affrontare la spartizione dei beni, di combattere il libero passaggio delle greggi, e la loro circolazione libera in determinati periodi, o quando vuole trasformare ciò che è «comune» di fatto in comunale di diritto, ecco che si ritrova nella situazione di chi va come l’asino alla lira…

Sacrificando la storia per soddisfare gli interessi privati, puntando su un’economia «residenziale» aperta all’urbanizzazione, il primo progetto del Padduc ha risvegliato la Corsica e ha dovuto essere ritirato, il 15 giugno 2009, perché non ha avuto la maggioranza. Contro l’esecutivo in mano alla destra, il tentativo di cementificazione dei litorali ha riunito non solo la sinistra isolana e i nazionalisti ma anche un inaspettato movimento di cittadini comuni. Presenti sin da questa prima battaglia, i militanti di U Levante, un’associazione di protezione dell’ambiente corso, hanno dapprima aderito agli orientamenti iniziali del nuovo Padduc e salutato con favore il metodo della concertazione.

Oggi però essi ritengono che «i vari sviluppi del documento, l’imprecisione delle carte e le scelte delle rappresentazioni cartografiche alimentino l’indeterminatezza e costituiscano potenziali fonti di conflitto». Si preoccupano per esempio vivamente della possibilità di edificare le cosiddette «locande del pescatore» che potrebbero spianare la strada a una moltiplicazione di chioschi. Per la prima volta dal 2010 diretta dalla sinistra, l’Assemblea della Corsica dovrà pronunciarsi, in autunno, sul testo e sulla cartografia del Padduc.

La consigliera esecutiva incaricata del testo, Maria Guidicelli, eletta nel Front de gauche, ritiene che occorra «rispettare il principio della libera amministrazione, il che implica avere fiducia nei rappresentanti locali, nei sindaci, che devono poter elaborare un loro Piano locale di urbanistica [Plu] in compatibilità con il Padduc». Per gli indipendentisti di Corsica libera, che hanno già fatto adottare alcuni emendamenti sulla protezione degli spazi di particolare rilevanza, «il Padduc volta definitivamente le spalle a una visione che, in nome dell’economia residenziale, conferisce il primato alle forze del denaro. L’unico atteggiamento assennato consiste non già nel rifiutare il piano attuale, ma nel migliorarlo».

Con 105.000 ettari riservati agli spazi agricoli strategici (Esa), il Padduc sembra incoraggiare lo sviluppo delle attività agricole e pastorali. «È un’ottima cosa ma bisognerebbe poter articolare questa disposizione con aiuti di primo insediamento per giovani agricoltori e allevatori» osserva Antoine Poggioli, un allevatore di suini di razza corsa, il cui allevamento naturale e alimentazione a base di castagne produce insaccati di grande qualità.

Sindaco di Bocognano dal 2014, Achille Martinetti ha messo fine ad alcune pratiche, come le delibere firmate senza che il consiglio municipale venisse riunito…Questo locandiere allevatore, con simpatie nazionalistiche, è altresì uno dei fondatori e animatori del collettivo I Trè Vaddi, che dal 2007 riunisce le valli della Gravona, del Prunelli e del Cruzinu, vicino ad Ajaccio. La rete unisce agricoltori, artigiani, allevatori, apicoltori e castanicoltori: «Siamo una trentina di produttori ingaggiati in un approccio di qualità che, senza coltivare la nostalgia, si appoggiano sulle conoscenze dei nostri vecchi, pur aprendosi alle pratiche e tecniche dei paesi vicini» precisa Martinetti.

«Lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento aiuterebbe a ridurre la dipendenza dell’isola fornendo derrate che è assolutamente possibile produrre sul posto e permetterebbe inoltre di offrire ai turisti un altro approccio alla Corsica, in sintonia con la realtà insulare e con la sua cultura, proponendo prodotti di qualità provenienti dalla filiera corta», si compiace di pensare il giornalista Sampiero Sanguinetti, cofondatore del canale pubblico France 3 Corse viaStella.

A conclusione della seduta plenaria dell’Assemblea della Corsica del 25 giugno scorso, il suo presidente – Front de gauche –, Dominique Bucchini, sindaco comunista di Sartena dal 1977 al 2001, ricordava lo scacco dei suoi predecessori, aggiungendo: «Siamo ripartiti da zero, con un centro di gravità: il superamento di un’economia di rendita concentrata su alcune porzioni di litorale a detrimento del resto dell’isola, in particolare dell’interno, e a vantaggio di uno sviluppo in grado di bloccare la frattura sociale e territoriale».

L’irruzione sulla scena politica del movimento nazionalista ha contribuito a spezzare di fatto uno degli elementi costitutivi del clanismo: il bipartitismo. Forse che i nazionalisti sono divenuti gli arbitri delle maggioranze insulari? Nei primi anni del Flnc, prima che gli ideali della lotta di emancipazione fossero pervertiti da certe derive, la scelta dell’esplosivo come messaggio politico e bastione contro la speculazione fondiaria ha perfettamente adempiuto al proprio officio. Si può così ritenere che altri passi avanti, come la rinascita dell’Università di Corte, debbano molto a questo rapporto di forze con lo Stato. Tuttavia, un anno dopo l’addio alle armi decretato dal movimento clandestino (Si legga Pierre Poggioli, «Corsica, addio alle armi?», in Le Monde diplomatique/il manifesto, ottobre 2014), resta da sapere quale visione – se liberale o non piuttosto progressista? – intendano portare avanti i vari gruppi nazionalisti che siedono nell’Assemblea di Corsica.

Possiamo supporre che in occasione delle prossime elezioni regionali, a dicembre, alcuni gruppi saranno tentati di giocare la carta della poltrona presidenziale o, perlomeno, di notificare all’attuale maggioranza di sinistra che la continuità dei suoi progetti e della sua direzione è ben lungi dall’essere acquisita. Lo si può dedurre dal voto di sfiducia nei confronti degli eletti, nazionalisti moderati, di Femu a Corsica, che si sono rifiutati di approvare il conto amministrativo della collettività nella sessione dell’Assemblea territoriale del 25 giugno 2015.

Per Sanguinetti, «la messa sotto scacco del Padduc avrebbe un beneficiario politico: il sistema clanico. Se il Padduc fosse seriamente fatto a pezzi, ciò consentirebbe al sistema clanico di ottenere un rinvio, facendo leva sulla vecchia ideologia del “Come si vede, in Corsica non si può fare nulla” – sottinteso: con gli strumenti giuridici dello Stato. Stando così le cose, non resta che rimettersi, a titolo individuale o familiare, al clan e al suo capo…».

Dopo un declino che sembrava ineluttabile fino agli anni ’80, si afferma una nuova spinta demografica (314.000 abitanti nel 2012 contro i 240.000 del 1982). Ma il sottile e fragile equilibrio attuale potrebbe essere messo a rischio se si combinassero l’indeterminazione, le forze del passato e quelle del denaro.

*Traduzione di Miriam Capaldo

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