Su “Di foreste e d’altro di Giuseppe Mariano Delogu” [di Giorgio Murino]
A Lei Delogu che dice di conoscere la selvicoltura e la pedologia, scienze sulle quali riferisce di avere le sue personali opinioni in merito, ma di cui non vuole parlare, peraltro firmandosi come Dirigente del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Sardegna, intendo rispondere viceversa a titolo personale. Il dibattito sviluppatosi intorno ai “tagli nella foresta di Marganai” non è solo attinente alla scienza e, senza abusare di concetti scientifici che evidentemente gli addetti ai lavori sembrano riservare solo a se stessi, ha certo il merito di gettare una luce anzi un faro su una delle tante questioni ambientali attualmente dolorosamente aperte in Sardegna e che nel caso specifico interessa la conservazione del suolo ed il futuro stesso di una foresta pubblica demaniale ovvero non alienabile, la Foresta Demaniale del Marganai, tanto che proprio gli addetti ai lavori faticano ad ascriverle tra le problematiche “comprensibili” pure a se stessi. D’altra parte purtroppo visto che tanti sono i “professori” che sono scesi in campo forse c’è bisogno di citare anche Prof. Cappelli o Prof. Piussi per ricordare ad esempio che anche in Sardegna quel che Lei Delogu chiama “normali pratiche” riguardano proprio il governo a ceduo che “non è idoneo alle esigenze di una moderna e razionale selvicoltura” (Cappelli) e che “potrà convenire solo in regioni ad alta densità demografica con mano d’opera a basso costo” (é questa la Sua Sardegna dott. Delogu?) e che “la ceduazione abbia determinato o per lo meno favorito la degradazione di numerosi boschi…” (Piussi). Domanda n.1: Cappelli e Piussi (senza scomodarne altri) sono selvicoltori o scienziati? Se non è politica l’opzione “zero” ovvero lasciare fare alla natura ed escludere l’uomo dalla montagna non lo è neppure l’opzione opposta (utilizzazione intensiva) ed allora se la tecnica non riesce a contrastare tutto questo purtroppo dovrà essere proprio la politica ad evitare che qualunque libera interpretazione della tecnica porti a utilizzare il capitale legnoso in un arco temporale ben più ristretto rispetto a quello che è stato necessario per ricrearlo dopo le devastazioni lasciate in eredità dagli speculatori d’oltre Tirreno, ben oltre dunque il suo incremento naturale annuo portando così a potenziale scomparsa suolo, bioma, e paesaggio forestale unico in Sardegna, nel Mediterraneo e dunque nel Mondo. Oggi anche solo in termini di rischio, evidentemente gli estensori dell’aggiornando Piano del SIC lo sanno bene e per questo ritengo si siano giustamente tutelati (e non solo loro), sono emerse tutte le dovute preoccupazioni che sono di tipo “tecnico” e non “culturale”! Fotografie e interviste, a volte pure impedite, testimoniano invece l’importanza di parlarne non solo tra gli addetti ai lavori o nelle segrete stanze di un assessorato, per comprendere e far comprendere bene ad un più vasto pubblico tutta la problematica nel rispetto del naturale principio della più democratica partecipazione possibile di tutta la collettività, perché qui il bene in gioco non è di un solo comune o di un singolo funzionario pubblico Sul fatto che non risultino violate le norme di tutela né che siano stati alterati in modo significativo e permanente gli ecosistemi forestali tutelati dalla normativa europea ci penserà l’Unione Europea ed anche (come si è avuta di recente notizia) l’Autorità Giudiziaria alle quali sono pervenute le coraggiose segnalazioni del caso. Sulla “virtuosa filiera bosco-territorio” in materia di produzioni energetiche è quantomeno ampia la valutazione proprio alla luce dell’attuale amplissimo dibattito fortunatamente Quest’ultima di certo non può essere rivendicata da un qualsiasi comune di montagna-collina che non è neppure il legittimo proprietario del bene (demaniale lo ripetiamo) nel caso del Marganai acquistato (non dimentichiamolo) dalla Regione nel 1980 per oltre 1 miliardo di vecchie lire per essere immediatamente affidato all’Azienda Foreste Demaniali (oggi Ente Foreste) perché venisse portata avanti il più possibile una linea operativa, quella della conversione dei cedui in fustaie, finalizzata a conseguire l’obiettivo di ottenere “un soprassuolo boschivo a più elevata funzionalità biologica, più facilmente difendibile dagli incendi e più valido, infine, sotto il profilo turisticoricreativo e paesaggistico” (Beccu).Non è certo questione di “bello” o “brutto” Delogu come Lei vorrebbe far intendere. Domanda n.2: Oggi, anni 2000 (2015), è da “foresta preistorica” invertire la tendenza predatoria esercitata nei secoli precedenti nelle stesse porzioni tagliate almeno 15 volte senza che la popolazione chiusa nelle proprie drammatiche esigenze di allora potesse proferire verbo? Tranquillo Delogu per Gian Antonio Stella parlerà Gian Antonio Stella dall’alto della sua audience italiana, non mi voglio certo sostituire anche perché non sono un tecnico… Comunque Le faccio presente che sempre per un certo Piussi “le conseguenze del taglio raso nel ceduo sono analoghe per vari aspetti a quelle che si hanno nella fustaia sottoposta ad analogo trattamento….” e questo vale a maggior ragione in presenza di pascolo di selvatici quali cervi che ormai numerosissimi e affamati sono già alle porte dei vari paesi dell’area del Linas-Marganai e non solo (legga Unione sarda). Quanto alle perturbazioni non mi risulta, ed io non sono come Lei un uomo di scienza, che nei corsi di laurea in Scienze Forestali e Ambientali di tutta Italia non sia presente lo studio attento dei vari rischi ambientali la maggior parte dei quali però è proprio di origine antropica. Per questo appare strano che tali rischi non possano essere attentamente valutati per esempio con la prescritta Valutazione di Incidenza Ambientale il cui studio era stato predisposto addirittura dalla ditta vincitrice dell’appalto milionario per la redazione dei Piani Particolareggiati delle foreste demaniali della Sardegna (ATI DREAM RDM) ma che l’Assessorato Regionale della Difesa dell’Ambiente non ha ritenuto fosse necessaria (che strano), neppure alla luce dei cambiamenti climatici in atto e dei quali in Sardegna stiamo pagando sistematicamente tragiche conseguenze a causa probabilmente di decenni di Ha ragione anche Lei quando parla di circa 100.000 ettari di bosco ceduo in Sardegna ma proprio come da Lei affermato questi dati si riferiscono in gran parte alla proprietà privata e non ai soli 1200 ettari circa di fustaie e cedui di leccio del Marganai (dati DREAM pubblicati), di proprietà pubblica demaniale che anziché essere drasticamente dimezzati con il taglio raso nell’arco di 20 anni dovrebbero essere sottratti a qualsiasi speculazione anche perché in larga parte rientranti nell’area intesa e promossa dalla Unione Europea come Sito di Importanza Comunitaria, del cui futuro stiamo parlando e nella quale i moduli gestionali dovrebbero modernamente evolversi su ben altri modelli di sicuro quelli che consentono il pieno svolgimento di tutti i principali servizi ambientali destinati alla collettività. Non certo i modelli propri degli interessi dell’impresa privata che in merito alla redditività della legna può parlare meglio di tutti noi messi insieme tanto è vero che anche immettendo le ingenti quantità nel mercato di cui parla Lei continuerà ad importarne da Toscana e Lazio. E quante occasioni perdute di posti di lavoro proprio perché gli Enti competenti non fanno i calcoli facilmente rinvenibili anche on line (vedi Gruppo di Intervento Giuridico) sugli investimenti che proprio in area SIC possono essere sviluppati rispettando e proteggendo il bosco, non tagliandolo a raso! Spiace concludere che purtroppo non c’è proprio da stare allegri: tecnici ed istituzioni proteggano e valorizzino davvero le nostre risorse ambientali comprese quelle forestali. Di certo non potranno essere confusi con gli speculatori. |