La foresta italiana, la Grande Malata [di Veronica Ulivieri]
La Stampa15/09/2015. Dal secondo dopoguerra ad oggi la superficie dei boschi in Italia è raddoppiata. Ma mentre l’Italia si riempie di alberi allo stesso tempo si moltiplicano le frane e la cattiva gestione del territorio di montagna. La foresta non ha bisogno dell’uomo: dopo che se ne è andato dai campi, gli alberi hanno preso il posto delle terre coltivate, con il risultato che dal secondo dopoguerra ad oggi la superficie dei boschi in Italia è raddoppiata. L’uomo, però, ha bisogno della foresta: nel nostro Paese si consumano ogni anno 50 milioni di metri cubi di legno, tra quello usato per scaldarci e quello da opera. I due terzi del nostro fabbisogno, però, arrivano da oltre confine. «Siamo il primo importatore europeo di legname per l’industria e il primo importatore mondiale di legna da ardere», spiega Piermaria Corona, direttore del Centro di ricerca per la selvicoltura dell’ente scientifico CREA. Qualcosa non torna: mentre l’Italia si riempie di alberi (i boschi coprono il 36% della superficie nazionale) e allo stesso tempo frana, perde posti di lavoro e accumula tristi primati per l’alta disoccupazione giovanile, la situazione attuale delle foreste è il risultato di una ricetta collaudata, fatta di incuria ambientale e inefficienza economica. In molti casi il bosco non si taglia, e quando lo si fa, non sempre il modo è quello giusto: si preleva tanta legna quando serve, poca quando non serve, in maniera estemporanea. «Ai 13 milioni di metri cubi di legname che preleviamo ogni anno dai nostri boschi se ne potrebbero aggiungere altri 7 o 8 milioni, senza creare problemi di tipo ambientale o paesaggistico. Nonostante l’obbligo di legge, oggi solo il 15% delle foreste ha un Piano di gestione, che comunque di per sé non è garanzia di un effettivo sfruttamento sostenibile del bosco», continua Corona. I vantaggi economici che potrebbero derivare da una gestione pianificata del nostro patrimonio arboreo sono tanti, dal sostegno alla filiera alla creazione di nuovi posti di lavoro («almeno 35 mila nel medio periodo»). Ma c’è dell’altro: «I servizi economici rappresentano non più del 20% di tutti i servizi pubblici che ci può dare un bosco. Dall’avanzamento delle foreste, in questi decenni abbiamo ottenuto gratuitamente lo stoccaggio delle emissioni di CO2, mentre per beneficiare di altri servizi ambientali, come il blocco di frane, valanghe e la protezione dalle esondazioni, abbiamo bisogno di un’attenta gestione», spiega Pier Giorgio Terzuolo di IPLA, l’Istituto per le piante da legno e l’ambiente della Regione Piemonte. Chi lavora con il legno si trova di fronte a distorsioni tutti i giorni: «In Sud Tirolo soffriamo la concorrenza delle segherie austriache, che si comprano il legno delle nostre foreste e rivendono poi in Italia il manufatto finito. Per sopravvivere, le segherie tradizionali della provincia di Bolzano hanno dovuto trovare tutte un’alternativa, mentre una parte dei boschi locali sono comunque in stato di abbandono», racconta Gerhard Laimer, titolare di una segheria della remota val d’Ultimo, da anni specializzatasi nella costruzione di case in legno. «In Piemonte – racconta Terzuolo – abbiamo 200 mila ettari di castagneti non gestiti, e così i mobilieri comprano il legno di castagno dalla Francia». In Friuli, aggiunge Samuele Giacometti, titolare dell’impresa Sadilegno, «anche le aziende che hanno sede vicino ai boschi non usano più il legno della zona. Lo acquistano da oltre confine». Il problema principale è la mancanza di filiere locali, una lacuna che è legata a diversi fattori, a partire da quello legislativo: «Ogni Regione e Provincia autonoma ha la sua legge sulla selvicoltura, con una diversa definizione di bosco», spiega Corona. Se non ci mettiamo d’accordo neanche sul significato delle parole, cosa possiamo aspettarci? Inoltre, la proprietà dei boschi è polverizzata: «In Italia ci sono 1 milione di appezzamenti inferiori a un ettaro, così piccoli che è impossibile attuare una gestione pianificata se i proprietari non si riuniscono. E anche nel caso di foreste pubbliche, manca la cultura della gestione sostenibile: in tempi di minori trasferimenti statali come questi, i Comuni stanno ricominciando a utilizzare i boschi, ma il rischio è che, dovendo fare cassa, si mangino subito le risorse migliori», riflette Corona. Alcune esperienze italiane dimostrano che una soluzione però è possibile. «In Piemonte stiamo lavorando per creare centri di consumo locali, con proprietari raggruppati in associazioni, ditte locali e piccoli impianti di cogenerazione per il riscaldamento dei territori, alimentati a legna del luogo. In val di Susa ci sono già esperienze di questo tipo», racconta Terzuolo. In Friuli Venezia Giulia, Samuele Giacometti ha dato vita al modello di rete di imprese della filiera forestale 12-to-many, già esportato anche in Piemonte: «L’obiettivo è sostenere edilizia e arredamento realizzati con legno locale. Con il legno straniero non possiamo competere sul prezzo: il segreto è allora non vendere un semplice pezzo di legno, ma un valore e una storia legati a un territorio. Solo così ce la possiamo fare». |