Le catastrofi non sono naturali [di Angelo Roth]

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Per spiegare il diluvio universale, in un antico midrash, quelle favolette popolari ebraiche nate per commentare e divulgare la Bibbia, si raccontava come tutto fosse accaduto dopo che gli uomini avevano tagliato gli alberi. Il senso è molto chiaro e la morale evidente: c’era già scritto nella Bibbia che «le catastrofi non sono mai naturali».

Nel gioco dei destini incrociati ci deve essere qualcosa di divino nella paradossale coincidenza fra il fortunale chiamato Cleopatra e la presentazione del nuovo Piano paesaggistico regionale, il Ppr, da parte del presidente Cappellacci. Si proprio quel Ppr che era servito a Silvio Berlusconi per sconfiggere Renato Soru, e con lui il progetto di dare alla Sardegna le regole giuste per salvaguardare e ritrovare non solo la sua identità paesaggistica e naturalistica ma anche storica e culturale.

Mentre scriviamo sentiamo alla radio Cappellacci lamentare l’eccezionalità del disastro in Sardegna conteggiando i millimetri di pioggia caduti dal cielo. Mentre, proprio con il suo nuovo Ppr sta per dare il via all’allentamento di tutte quelle  norme  edilizie che sono la vera causa della tragedia in atto in Sardegna. Non è la pioggia che uccide. Ma è il cemento. Il cemento senza regole. Il cemento del piano casa che da cinque anni sta distruggendo paesi e villaggi e città. Il cemento del turismo selvaggio. Il cemento che come un cancro sta consumando a un ritmo vertiginoso un territorio paradossalmente salvato proprio dalla arretratezza economica dell’isola. Un isola depredata dalle sue risorse naturali. Con un’aggravante: Che i sardi stessi sono stati i primi predatori.

Perché c’è un tragico parallelismo fra le distruzioni perpetrate nell’Ottocento quando furono distrutte le foreste per fornire all’Italia le traversine per le strade ferrate, e la nascita della Costa Smeralda simbolo di una depredazione turistica che per imitazione ha contribuitola distruggere chilometri e chilometri delle coste sarde fino a pochi decenni ancora intatte. L’interdizione dei tre chilometri voluta dal Ppr di  Soru è apparsa come una imposizione totalitaria invece di essere vissuta come una salvaguardia paesaggistica. Per cui ora non è affatto singolare che sia possibile costruire anche a due metri sotto il livello del mare. Ma ciò che ci appare ancora più tragico e più grave sono gli effetti distruttivi del maltempo provocati dalla perdita di memoria culturale dei luoghi. Il genius loci è stato travolto dalla sregolatezza urbanistica.

Nel tempo passato mai nessuno avrebbe pensato in Sardegna di costruire nell’area di esondazione di fiumi e torrenti. Si potrebbe stabilire una relazione fra le morti di questi giorni e la misura dell’incuria ambientale dei luoghi. Olbia per esempio. Ma se le colpe del potere politico ci appaiono chiare, c’è anche una colpa dell’opinione pubblica dell’intera regione Sardegna che si è rivelata incapace di reagire con una cultura ambientale condivisa alla cultura prepotente del mattone.

Perciò nella tragedia che stiamo attraversando ci appare come una occasione virtuosa il convegno nazionale del Fai (il Fondo per l’ambiente italiano), voluto da Giulia Maria Crespi, guidato dal presidente Andrea Carandini, sotto la direzione scientifica di Maria Antonietta Mongiu,  che si aprirà a Cagliari il 28 di novembre con un titolo altamente simbolico, carico come è di una nuova speranza: Sardegna domani. 

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